In questi giorni si è molto discusso sull'opportunità o meno di far pagare un pane 9 euro al chilo. Il Gambero Rosso ha dato spazio all'opinione di Paolo Manfredi secondo il quale «un pane a 9 euro non sarebbe etico». Ora, però, vorremmo ribadire ancora una volta la linea del Gambero sul tema, lo faccio io in quanto curatrice della guida Pane e Panettieri d'Italia che, tra gli altri, ho il compito di “prendermi cura” di un settore che in questi anni ha fatto passi da gigante. E la cosa ha giovato a tutti, contadini, mugnai, panificatori e consumatori finali. Breve riassunto delle puntate precedenti: tutto è partito da un articolo del Corriere della Sera dove Federica Ferrari e Francesca Gatti del forno Ambrogia a Milano hanno affermato che il loro pane più venduto costi al cliente 9 euro al chilo. Apriti cielo. I commenti degli utenti social sotto i vari lanci della notizia non si sono sprecati. «Il pane me lo faccio in casa con la farina dei nostri mulini dal costo di 2 euro al chilo», «Con questa storia della filiera corta e degli ingredienti di qualità ci marciano sopra», «Chiunque riesca a spennare il prossimo facendogli credere di avere un beneficio è un genio», «A noi agricoltori il grano viene pagato 21-22 euro al quintale. Il pane a 900 euro al quintale, caspita un bel incremento di prezzo per i consumatori finale», o l'immancabile «Vergogna!!!». Insomma, tutto nella norma per la piazza social dove la complessità non trova mai spazio.
In ogni caso, abbiamo ospitato senza pregiudizi l'opinione di Manfredi (anche se non molto argomentata), il confronto e il pluralismo sono opportunità che vanno colte, ma ci sembra doveroso spiegare (nuovamente) perché il pane non può costare poco (e con poco intendiamo meno di 6 euro al kg) e soprattutto che tipo di lavoro c'è dietro tanto da giustificare un prezzo più alto della media.
Stupiamoci del prezzo del pane al supermercato
Sapete quanto costa un pane disponibile al supermercato, fatto con “grani antichi”, così c'è scritto nel cartellino che lo caratterizza? Il prezzo è di 5,39 euro al chilo. Non ci è dato sapere quali grani antichi, dove siano stati coltivati e dove moliti. Nessuno ce lo spiega. Capite bene che se proprio dobbiamo stupirci di un prezzo, stupiamoci di questo, non di quello di un panificio artigianale (passateci il termine a volte bistrattato) che investe in una filiera etica, a proposito di etico, senza sfruttare terreno, ambiente e persone. Ma come si arriva a un prezzo di 9 euro al chilo? Domanda lecita. Su questi schermi nemmeno un annetto fa abbiamo cercato di dare una risposta che qui riassumo in due virgolettati (con buona pace per la complessità che forse annoia), uno di Pasquale Polito, cofondatore di Forno Brisa a Bologna, l'altro di Davide Longoni.
Il giusto prezzo
«Per alimentare un'azienda con tutti i dipendenti pagati bene – compresi quelli che stanno al banco a raccontare cosa ci sia dietro una pagnotta, quelli del famigerato storytelling, ndr - , senza che facciano degli straordinari, con i fornitori altrettanto pagati bene e sensibili al tema della sostenibilità ambientale, il nostro prezzo del pane (tra i 7 e gli 8 € al chilo) è ancora molto basso. Solo con un prezzo di circa 10 euro al chilo si riuscirà a tutelare l'intera filiera, compresi i contadini che devono fare i conti pure con il cambiamento climatico», ci rispondeva Pasquale Polito. Mentre Davide Longoni ci rassicurava sull'onestà, non solo intellettuale, dei panificatori che stanno intraprendendo la strada volta al giusto prezzo: «Basta guardare i nostri bilanci alle camere di commercio, sono pubblici e si vedono i margini lordi. Oggi (era il 2023) il nostro margine lordo è del 10%, sul quale ci dobbiamo pagare le tasse: vi assicuro che in questo settore nessuno si sta arricchendo». Considerando, tra l'altro, che per un'azienda strutturata come la sua l'aumento del costo dell'energia, degli affitti, delle materie prime è decisamente meno impattante rispetto a un micro panificio. «Un tempo», aggiungeva il panificatore milanese, «chi aveva un panificio guadagnava bene ma oggi, vuoi per l'aumento dei costi, vuoi per il crollo del consumo pro capite di pane, non si diventa ricchi facendo il panettiere». A testimonianza del fatto che il costo finale del pane non grava solo sul consumatore finale, il quale, tra l'altro, scegliendo con cura a chi rivolgersi per comprare il pane può fare la differenza.
Diamo al pane il giusto valore
Per quanto mi riguarda, i panifici virtuosi sono dimostrazione del fatto che un'altra distribuzione sia possibile e che questa generi un circuito virtuoso verso un'altra agricoltura non più legata solo alla grande distribuzione, capace di costruire un'alleanza con i consumatori, basata su prestazioni ecologiche, sulla tutela del territorio, sulla volontà di mantenere la fertilità dei suoli. Senza dilungarmi troppo, non mi soffermo sulla questione organolettica e sull'effettiva superiorità di un pane di filiera e da lievito madre, che dura anche settimane, riducendo così gli sprechi: ulteriore valore aggiunto che fa da contraltare a un dato sconcertante, ovvero che il pane è tra gli alimenti più sprecati in Italia con un chilo di pane buttato via a testa ogni anno. Io da quando compro il pane a 7, 8 o 9 euro al chilo non ho mai buttato via nulla. Certi tipi di pane durano molto di più di quelli che consideriamo convenzionali. Sfido chiunque a sostenere il contrario. Guardando il bicchiere mezzo pieno, se c'è un dato positivo in tutta questa storia è la dimostrazione del fatto che a pensarla come noi sono in tanti. Non a caso il pane più venduto di Ambrogia non è il più economico.