Come tante preparazioni che affondano le radici in una storia antica la ricetta del pamparito è stata tramandata solo oralmente e ha subìto diverse modifiche nel corso degli anni. Oggi quelle stesse origini sono orgoglio della comunità vignanellese che vede questo prodotto oggetto di tutela De.C.o. e di approfondimento culturale in quanto si tratta di un pane unico appartenente alla gastronomia di Vignanello.
Origini del nome
Il nome così bizzarro e buffo pare abbia diverse declinazioni, ma nessuna è certa. Quel che è certo è che sia di origine dialettale, si può trovare pronunciato “panparito”, “pamparito”, “pamparido” o “pambarito”. Le donne più anziane di Vignanello credono fosse un pane di tradizione casalinga e che nessun forno lo vendesse al pubblico, e tra l'altro non era neppure di uso comune perché gli ingredienti li aveva chi possedeva le terre e quindi era più benestante rispetto al resto della popolazione che all'epoca contava un analfabetismo del 80%.
Diverse anche le interpretazioni del nome. C'è chi pensa ci sia lo zampino del termine di derivazione latina “parito” che significava “sembrare”, quindi un pane che pane non è. Altri portano a “pane fiorito” (per via dell’anice) e “pane farcito” (per via dei numerosi ingredienti). Un’altra ipotesi, che sembra la più accreditata, è che il nome pamparito derivi da una contrazione e storpiatura del nome “pane per il marito”. Ovviamente, fa riferimento ai tempi in cui le massaie assistevano i mariti che lavoravano duramente nei campi e che tornavano stanchi, necessitando di energie.
Chi prepara il pamparito oggi
Del pamparito c’è testimonianza in una antica filastrocca nel dialetto di Vignanello che racconta di gite bucoliche fatte il giorno di Pasquetta nei campi vicino al paese, precisamente a Centignano. In questo simpatico componimento si elencano anche i prodotti da forno tipici locali, oltre ovviamente al pamparito. Attualmente, sono pochi i panifici del borgo a produrre in maniera artigianale il gustoso e originale pamparito, a Vignanello c'è il laboratorio di Ezio Gnisci e a Vallerano il panificio Pac & C. Entrambi sfornano un pamparito di ottima qualità rispettando il severo disciplinare di produzione redatto dall’Amministrazione Comunale nel 2016. Per la preparazione dell’impasto sono necessari non solo grani coltivati nella Tuscia viterbese, ma anche acqua potabile locale nonché vino bianco di Vignanello Doc, olio extravergine d'oliva di alcune cultivar del posto e solo uova da galline allevate a terra. Non sono consentiti coloranti, conservanti né additivi. È invece ammesso l’uso di lievito madre.
Come riconoscere il vero pamparito
Il pamparito deve essere confezionato in buste traforate ad uso alimentare e deve riportare in modo ben visibile la scritta De.C.o. È consentita una pezzatura tra 0.5 e 1 kg, deve essere di forma ovale, con una crosta liscia e marrone, la mollica chiara e compatta e deve avere il leggero e caratteristico odore dell’anice. Ottimo da gustare tiepido, preferibilmente in fettine sottili. Dopo una decina di giorni, non buttatelo ma il consiglio è di ammorbidirlo in una tazza con caffellatte zuccherato. Provare per credere.