Eccoci nel pieno della “guerra dei turisti”: estate, vacanze, mare e monti, città d’arte. È qui che esplode la “guerra”, ovvero l’allarme di urbanisti e cittadini e – di contro – la gioia di albergatori e commercianti. Così a Venezia si pensa un biglietto, come nelle Cinque Terre, a Firenze esplode la polemica, ad Amalfi non ci si entra più. Ma la cosa più complicata è che, specialmente in un Paese così composito e diversificato come l’Italia, non esiste una unica soluzione. E del resto, la “democrazia del viaggio” e il “low cost” rendono accessibili luoghi che cento anni fa sembravano impensabili alla gran parte della popolazione che oggi si accalca nelle file per vedere i Musei Vaticani o per sedersi in un locale del centro.
Il Rapporto sul turismo
I numeri, del resto, non lasciano molti dubbi, per quanto appiattiscano l’analisi. Secondo il rapporto annuale McKinsey & Company (The state of tourism and hospitality 2024), per esempio, la città con più affollamento turistico nel 2023 è stata Dubrovnik, seguita da Venezia e da Macao. Roma è al tredicesimo posto, dopo Parigi. La graduatoria è calcolata sul numero di notti trascorse dai visitatori per chilometro quadrato. La città croata, però, è una destinazione fortemente stagionale (anche se c'è un po' di Game of Thrones effects), quindi il calcolo non restituisce la vivibilità reale nei momenti dell'anno più gettonati dai turisti. Anche la conformazione urbanistica incide sul percepito: lo stesso numero di persone strette in stradicciole o distribuite in ampi vialoni non genera la stessa sensazione. Figuriamoci quando si tratta di calli tortuose come a Venezia o di stradicciole e sentieri come quelli delle Cinque Terre. Insomma, oltre alla densità di turisti per chilometro quadrato, bisogna anche considerare la conformazione di quel chilometro quadrato. L'Italia dei piccoli centri lo sa bene: bastano poche centinaia di persone per trasformare una tranquilla località in un insopportabile turistificio. E la gente comincia a vivere con disagio queste situazioni. Non è un caso che all'indomani dell'articolo di Nina Burleigh intitolato “Cinematografico, nascosto Cilento”, il relativo post del New York Times sia stato inondato di commenti negativi, molti espressi dai locals che auspicavano che quella perla nascosta rimanesse tale. Altri visitatori? No grazie, non ne abbiamo bisogno. Una presa di posizione inedita che dà conto della consapevolezza degli effetti del cosiddetto overtourism, il fenomeno per cui il turismo supera la capacità fisica o ecologica di accoglienza, crea uno stress economico, sociale, psicologico. E anche ambientale.
5 indicatori per l'overtourism
In un recente studio, Demoskopika ha individuato 5 indicatori: densità turistica (rapporto tra presenze turistiche e superficie); densità ricettiva (posti letto per chilometro quadrato); intensità turistica (rapporto presenze annuali/popolazione residente), utilizzazione lorda (rapporto presenze turistiche/disponibilità potenziale di posti letto) e quota di rifiuti urbani attribuibili al settore turistico rispetto a quelli generati complessivamente. Ma già nel 2018 lo studio Overtourism: impact and possible policy responses del Parlamento Europeo, dopo un'approfondita analisi, concludeva che non è possibile definire un insieme comune di indicatori a causa della complessità delle cause e degli effetti dell'overtourism. Anche se alcune conseguenze comuni si possono individuare: gentrificazione e trasformazione dei centri in pensioni diffuse, perdita di autenticità, invasione di attività commerciali di grandi catene – «Abbiamo pure il McDonald's grazie a voi» è una delle repliche al suddetto post del New York Times – o di chiara impronta turistica (che fine fanno i negozi di prossimità e i servizi per i residenti?), inquinamento, rischi per la conservazione del patrimonio artistico, culturale, ambientale, e poi la pressione sulle risorse, come nel caso delle Isole Baleari (ma anche in quello della Sicilia) dove la mancanza di acqua diventa critica in certi periodi dell'anno. La campagna di sensibilizzazione rivolta ai visitatori è costante, ma non è l'unica iniziativa: nel 2016 è stata introdotta nelle isole una Imposta per il Turismo Sostenibile (ITS), i cui proventi sono destinati alla riduzione degli effetti negativi dell'afflusso vacanziero e alla distribuzione dei benefici economici su tutto il territorio. Tra gli altri sono finanziati progetti a sostegno del settore idrico, dell’ambiente e della lotta contro il cambiamento climatico; l'obiettivo del Piano strategico regionale per il 2030 è trasformare le isole in una meta green e sostenibile, attrattiva 12 mesi l’anno.
La destagionalizzazione
La destagionalizzazione è uno dei punti chiave, come pure da decentralizzazione che porta gli ospiti fuori dai punti di attrazione più battuti. Si calcola infatti che circa l'80% dei turisti visitino solo il 10% dei siti mondiali. Distribuire presenze e ricchezze in un'area più ampia è possibile: basti pensare che Dublino è riuscita a ridurre l'affluenza da pub crawl a favore di una più interessata ad attività open air da fare a un passo dalla città. Lo conferma anche Roberta Garibaldi, una dei maggiori esperti di turismo enogastronomico in Italia, quando afferma che occorre «riequilibrare i territori». E punta sulle aree rurali: «La gente ha voglia di spazi aperti, borghi minori ed esperienze enogastronomiche. Tutti i dati ci indicano che questa è una via da percorrere».
Infrastrutture e modello turistico nuovo
Per fare questo, però, occorre rafforzare infrastrutture e servizi, e pensare un modello turistico diverso da quello attuale formulato nelle aree costiere o i grandi centri. Le aree rurali hanno dinamiche diverse da quelle urbane. «Faccio un esempio: se in quest'ultime si vuole fermare AirBnB altrove bisognerebbe incentivarlo. In mancanza di strutture alberghiere sufficienti o adeguate si darebbe la possibilità di mettere a reddito le seconde case vuote per la maggior parte dell'anno, animando piccoli centri altrimenti vuoti», dice Garibaldi. Lo stesso vale per Uber nelle zone in cui non ci sono taxi, che darebbe un reddito ulteriore ai residenti contrastando lo spopolamento (perché abbandonare le aree agricole significa abbandonare il paesaggio) e offrendo servizi particolarmente utili per l'enoturismo: il codice della strada non consente di guidare dopo una degustazione, ma le cantine sono spesso fuori città. Significa spalmare le presenze, ma anche i guadagni, alleggerendo la pressione su pochi siti o attività che non restituiscono che un turismo predatorio, quasi sempre mordi e fuggi, low cost e consumistico, che esaurisce risorse e genera precariato, insicurezza, degrado.
I casi di Venezia e Firenze
Insicurezza, disagio, degrado sono proprio i fenomeni che a Venezia si tenta di contrastare, per esempio, con l'introduzione del famoso biglietto d'ingresso per i visitatori giornalieri. La fase di prova dal 25 aprile al 5 maggio ha contato 195mila ticket per un totale di 975mila euro di entrate per l'amministrazione. Un po' di ossigeno per le casse della Serenissima, ma senza esiti rispetto all'obiettivo primario: lo scorso anno il numero di abitanti è stato superato da quello dei posti letto turistici. Contando poi anche i visitatori giornalieri la situazione nella città lagunare è ancora peggiore: 80mila al giorno, in media, contro i 49mila residenti; i grandi appuntamenti spalmano le visite oltre l'estate, ma la città - soprattutto in alcune aree - vive soffocata dai visitatori. Un sistema di monitoraggio delle presenze (sulla falsariga di quello adottato alle Cinque Terre) e di prenotazione potrebbe aiutare, ma non senza criticità. Molte associazioni di categoria e attori del settore dell'ospitalità guardano con ostilità alle iniziative volte al contenimento del turismo. Basti vedere quel che è accaduto a Firenze per quanto riguarda gli affitti brevi, vietati nell'area patrimonio Unesco dall'ex sindaco Dario Nardella con una delibera poi congelata per l'opposizione (e il ricorso al Tar) degli albergatori: il Tribunale amministrativo ha bocciato l'ordinanza, per cui rimane la libertà di proporre in vendita camere ai turisti senza limiti.
Roma e la mina Giubileo
A Roma, il Giubileo del prossimo anno celebra il quarto di secolo di vita del “modello Bed and Breakfast”, formule di ospitalità diffusasi nella Capitale proprio in occasione del Giubileo del 2000. Se da una parte si prevede nel 2025 l'arrivo in massa dei pellegrini, dall'altra la folla potrebbe allontanare i visitatori altospendenti, quelli dei nuovi 5 Stelle Lusso. «Ma i pellegrini e in genere i viaggiatori con margini di spesa più contenuti, si potranno permettere i prezzi di Roma che presumibilmente aumenteranno?» si chiede Roberta Garibaldi. Il rischio vale anche per lo stop agli affitti brevi: prendiamo a modello Barcellona – che ha annunciato che dal 2028 non rinnoverà le licenze per gli affitti brevi – chi ci assicura che il prezzo degli appartamenti si abbasserà per i residenti? Non solo: riducendosi la capacità ricettiva, i prezzi potrebbero diventare proibitivi soprattutto per gli stessi spagnoli. C'è un'ulteriore punto: il turismo vale circa il 10% del Pil, secondo quanto affermato dal direttore del Parlamento europeo in Italia, Carlo Corazza. Come gestire i flussi turistici senza perdere la ricchezza che generano?