Ottobre, a Roma, è - spesso - una seconda estate. Le giornate calde e soleggiate invitano ancora alle maniche corte, anche se si respira già il profumo dell’autunno. È in questo scenario che si ripete un modo di dire e un rituale festoso: l’ottobrata romana, un tempo celebrazione della fine di un ciclo stagionale e del termine della vendemmia, simile alla fête de la vendange in Francia (o la paulèe in Borgogna). Ma non è solo il clima mite a fare da protagonista: le ottobrate sono soprattutto sinonimo di cibo, vino e convivialità, retaggio di una tradizione che proviene dall’antica Roma.
Le origini dell’ottobrata romana
Le radici dell’ottobrata romana risalgono all’antica Roma, quando le festività dedicate al dio Bacco, legate al ciclo della vendemmia, univano sacralità e piacere profano. Col tempo, però, il carattere popolare di questa festa è esploso tra Ottocento e Novecento, con un vero e proprio fenomeno di massa che ha coinvolto tutti i ceti sociali. Tra i protagonisti di questa festività ci sono le carettelle, che erano il mezzo distintivo dell'ottobrata romana: carrozze decorate con grande sfarzo, tirate da due cavalli, che portavano le famiglie fuori dai rioni della città per festeggiare nelle campagne di Roma, come quelle dei Castelli Romani (un gruppo di paesi e borghi storici sulle colline a sud della Capitale) o nel quartiere Testaccio, famoso per le sue grotte del vino, presenti ancora oggi all’interno delle osterie. Proprio Testaccio, cuore pulsante delle osterie romane, era una delle mete più amate dal popolo romano di fine Ottocento che non aveva la possibilità di andare a fare la gita fuori porta, così festeggiava a poca distanza da casa approvvigionandosi del vino direttamente dalle cantine scavate nel tufo.
Cucina popolare, vino e... castagne
Le ottobrate non erano solo scampagnate per nobili e popolani: erano soprattutto occasioni di convivialità a tavola, dove il vino e i piatti della cucina romana la facevano da padrone. Il giovedì e la domenica, giorni clou delle festività, le famiglie si riunivano attorno a piatti come trippa alla romana, coda alla vaccinara e pietanze a base di castagne. Il vino, considerato sacro per il suo legame con il dio Giove, «Scorreva a fiumi», racconta al Gambero Rosso Gian Marco D’Eusebi, , azzykky su Instagram, appassionato di storia romana e ricercatore autodidatta, nella sua ricostruzione delle ottobrate. Ma il vero protagonista indiscusso dell’autunno e dell’ottobrata romana era - e resta - la castagna, legata sia all'antica Roma che alla tradizione ottocentesca. In epoca imperiale, racconta Gian Marco, venivano arrostite o tritate per preparare un pane di castagne.
Il legame con la vendemmia e la stagionalità dei prodotti è talmente forte che già intorno al I secolo il primo gastronomo romano, Apicio, nel suo De re coquinaria (l’arte culinaria), citava una ricetta con castagne da realizzare proprio nel periodo post vendemmia. Era un'anticipazione di quello che poi sarebbe diventato il castagnaccio (qui la ricetta), ma assai diverso da quello dei nostri giorni, spiega meglio al Gambero Rosso D’Eusebi: «le castagne venivano tritate e ridotte a mo’ di farina, ma poi ci andava aggiunto il garum, una salsa a base di pesce fermentato, sale e spezie; brutto solo a pensarlo, ma per gli antichi romani era un po’ come la nostra salsa barbecue oggi». Mentre, facendo un passo avanti nel tempo, nel XIX secolo, erano i “castagnari” a vendere le loro castagne per le strade, servite in caratteristici cartocci, le cosiddette caldarroste, in gergo romano. Oltre a queste ultime, immancabili nelle giornate d’ottobre erano piatti come la trippa e la coda alla vaccinara. Questi manicaretti non mancavano nelle gite fuori porta verso i Castelli Romani, dove si mangiava, si beveva e si ballava il saltarello, la tipica danza popolare romana.
Falsi miti e curiosità sulla festa
Sebbene oggi si parli dell’ottobrata come di un semplice periodo dell’anno caratterizzato da bel tempo, la sua origine è ben più complessa e legata ai cicli agricoli. Spesso si associa erroneamente la festa esclusivamente al quartiere di Testaccio, ma in realtà, spiega d’Eusebi, le gite fuori porta, per chi se lo poteva permettere, toccavano molte altre mete, specialmente i Castelli Romani, con Frascati e Marino come destinazioni ideali per unire i festeggiamenti di una vendemmia ormai conclusa. La Sagra dell'uva di Marino (che quest’anno ha raggiunto il centesimo anniversario), celebre per la fontana che sgorga vino, - ci racconta D’Eusebi - è uno degli esempi più antichi di festa collegata proprio alla tradizione dell’ottobrata.
«Dopo il caldo afoso estivo, quando si comincia a sentire l’odore dell’autunno ma ci sono ancora giornate di sole pieno», descrive d’Eusebi, «Le campagne di Roma diventavano lo scenario perfetto per questa festa di mezza stagione». Un’altra ottobrata viene persino citata da Goethe nel suo saggio Viaggio in Italia (pubblicato nel 1816 – 1817), in cui racconta delle famiglie romane che partecipavano a queste festività popolari; Goethe descrive vividamente l’atmosfera festosa delle gite fuori porta e il fascino delle giornate autunnali a Roma, con una folla di gente che partiva dalle loro abitazioni per trascorrere il tempo tra cibo, vino e balli.
L’ottobrata romana oggi
Oggi, nonostante la forma dell’ottobrata romana sia cambiata, lo spirito conviviale sopravvive. Le gite fuori porta si sono trasformate in pranzi della domenica nei ristoranti tipici, ma l’atmosfera rimane la stessa. Le Ottobrate continuano ad essere un’occasione per celebrare l’autunno e la buona tavola. Roma, con le sue calde giornate di ottobre, invita ancora a tavola per gustare i sapori della sua cucina tradizionale. Da Testaccio ai Castelli Romani, l’ottobrata è ancora un inno alla convivialità e un’occasione per riscoprire i prodotti della terra, dal vino ai piatti di una tradizione culinaria ricchissima.