Il messaggio sui social è asciutto e poco retorico: «Informiamo la clientela che Molo Diciassette ha chiuso». «Ci dispiace darvi questa notizia, ma non preoccupatevi, torneremo presto con nuovi progetti! Ringraziamo chi ci ha supportato in questi anni e chi ha sempre creduto in noi». Così, martedì 19 novembre, Simone Curti ha annunciato la chiusura del suo ristorante, aperto nel 2016 in via dei Lucilii a Ostia.
La storia di Molo Diciassette
Ai gourmet in zona in quegli anni il locale è già noto: si tratta degli ambienti che hanno ospitato la prima vita de Il Tino di Lele Usai, trasferitosi allora a Fiumicino. Dalla fine del 2016 ecco invece l'insegna di Simone Curti, che avvia l’attività con il socio Fabrizio Moscara (poi uscito dalla società nel 2020). Curti è nato e cresciuto a Ostia, ama il mare e vanta esperienze solide nella ristorazione del litorale romano. L'ambiente del locale è piacevole, impreziosito dai colori delle ceramiche e dei quadri, creati dall'estro artistico del patron stesso. I prezzi sono giusti – i menu degustazione tra i 40 e i 60 euro - e, nonostante la posizione defilata, Molo Diciassette diventa in breve tempo ritrovo marinaro per una clientela di affezionati, con una proposta incentrata sul pescato locale, piatti godibili e ben fatti, una carta che cambia spessissimo, un po’ di inventiva, mai azzardi.
I motivi della chiusura
Niente spazi esterni, un locale non ampio che si struttura su due livelli, durante la pandemia resta chiuso un anno per le restrizioni di legge. Ma trova ugualmente modo di ripartire, con un’estate (la 2021) in collaborazione con lo stabilimento Il Capanno e la sua terrazza vista mare. «Subito dopo il Covid si è lavorato molto, la gente aveva voglia di uscire e si spostava facilmente da Roma per venire da noi» racconta Simone. Il problema è arrivato dopo: l’affluenza dalla Capitale, della quale Ostia (suddivisa in Lido di Ostia Ponente, Levante e Castelfusano) è il X Municipio, ha cominciato a scemare sensibilmente. «Il lavoro nell’ultimo anno è calato tantissimo, ho lavorato bene praticamente solo il fine settimana. In un ristorante piccolo, su 40 coperti, con il sabato e la domenica non potevo risollevare i bilanci dell’impresa». Questo vale soprattutto quando si parla di insegne in cui si mangia in santa pace, prendendosi il proprio tempo, non di locali mordi e fuggi o organizzati su turni. «Ho aspettato, ma poi ho dovuto prendere questa decisione».
Le criticità di Ostia
I motivi del calo di afflusso? «Innanzitutto quest’anno il Comune di Roma non ha rilasciato i permessi per fare eventi musicali a nessuno stabilimento di Ostia, anche in estate»: questo vuol dire che dai quartieri più centrali della Capitale è arrivata sul litorale molta meno gente. In alcune sere, riporta Simone, il lungomare era quasi deserto. «Io ad oggi penso che qui funzioni solo la guerra del ribasso dei prezzi». «Ovviamente non dico che tutti i ristoranti di Ostia non hanno lavorato: sicuramente però nello scenario attuale funzionano gli all you can eat, chi ha un’offerta generalista, posti dove trovi pizza, carne, pesce, un po’ di tutto, e spendi poco».
Restare o andare via?
Quali sono i progetti per il futuro di Simone Curti? Intanto staccare la spina, per un periodo magari facendo qualche collaborazione in attività ristorative "amiche". «Ma ho già delle idee: ho tutto stipato in un magazzino, se trovo un posto che mi piace, sono pronto a ripartire». Non è chiaro, però, se i piani per il futuro includano ancora il Lido: «Ovviamente ho anche il pensiero di spostarmi a Roma, ma mi dispiace tanto, perché sono molto legato al mio territorio: purtroppo sembra quasi che dall’amministrazione ci sia un disegno per screditare l’immagine di Ostia». Che non è quella nota solo per le pagine di cronaca. Anzi, negli ultimi mesi, in una zona che non ha mai brillato per una ricca offerta ristorativa, abbiamo notato un nuovo fermento. «Ostia non è come la dipingono i tg, non è solo delinquenza, per questo mi rode. Però in fin dei conti si deve pur lavorare».
Il nodo concessioni balneari
L’ipotesi di trovare un locale sul mare potrebbe essere una via di salvezza per una nuova attività imprenditoriale, ma anche questo versante è difficile perché, oltre alla chiusura di alcuni stabilimenti per problemi di erosione e per contenziosi giudiziari (vedi il famoso Kursaal), da anni c’è l’affare concessioni in scadenza: «Gli imprenditori che per ora stanno dentro sono in un limbo, vivono di proroghe di anno in anno, ma non hanno certezze sul futuro. Per questo motivo nessuno pensa a investire, non c’è progettualità, è tutto fermo». Il confronto con la vicina Fiumicino, che invece gode di un enorme dinamismo, soprattutto nell’ambito gastronomico, arriva quasi naturale: «Fiumicino è partita bene, ma lì funziona soprattutto il fatto che si tratta di un comune a sé. Ostia ha il suo progetto di autonomia (è in corso da tempo una raccolta firme per promuovere Ostia Comune, ndr) ma lo vedo difficile. Oggi noi siamo solo la periferia di Roma. Roma ha il mare, ma non lo valorizza».