Quando stacca dal turno del pranzo, a pochi giorni dall'ottavo anniversario dal terremoto che il 24 agosto 2016 ha distrutto il paese di Arquata del Tronto, nel piceno, Cristina Diaconu è un fiume in piena. È assai difficile, però, parlare con lei di cucina, anche se il ristorante che gestisce con il marito Salvatore Bracciani è per tanti simbolo di una cultura del cibo capace di valorizzare il territorio montano, di raccontare e allo stesso tempo far crescere una comunità: Osteria del Castello ha apparecchiato i primi coperti il 26 maggio 2018, presso la “cittadella delle Attività” realizzata lungo la via Salaria, a ridotto del quartiere Sae, le soluzioni abitative d'emergenza, di Pescara del Tronto, una delle frazioni di Arquata. Sul sito dell'Osteria si specifica che la situazione è questa «in attesa di tornare alla nostra sede che sarà ricostruita» ma oggi Diaconu, che non ci crede più, si sfoga: «La vita qui si è trasformata in un surrogato di vita, non è una vita. In 8 anni andando via saremmo riusciti a costruire un'altra vita diversa, invece abbiamo provato a restare aggrappati a quella vita di prima, che non esiste più».
La vita di prima, per la sua famiglia, era un albergo di 15 camere, il Regina Giovanna, il cui scheletro resta ancora in piedi, lungo la strada per Forca di Presta, il passo che unisce Arquata alla piana di Castelluccio, sotto il Monte Vettore, la quarta cima più alta dell'Appennino, nel Parco nazionale dei Monti Sibillini. «Nel 2014 avevamo deciso di "separare" il ristorante dalla struttura ricettiva, che d'inverno era chiusa. L'avevamo chiamata Osteria perché volevamo entrare nelle Osterie d'Italia di Slow Food, perché fosse un riconoscimento del nostro modo di lavorare e d'intendere il mestiere: abbiamo finito i lavori nel maggio del 2016, pochi mesi ed è arrivato il terremoto» racconta Diaconu.
Una ricostruzione lentissima
Dopo il sisma, «abbiamo mandato giù tutte le manfrine che ci hanno detto, ci chiedevano di lottare, di restare sul posto, di difendere la nostra casa, e a noi è sembrato la cosa più giusta da fare, solo che a lungo andare abbiamo capito che siamo solo dei numeretti, in più c'è stata la tempesta perfetta, prima il Covid-19 e poi il superbonus 110%, che ha rallentato ulteriormente la ricostruzione».
Arquata del Tronto si sta spopolando: dopo il terremoto se n'è andato un residente su cinque, «manca un'identità, e chi è rimasto ha perso la fiducia: dopo otto anni, non pensavo di essere a questo punto e vedo i residenti qui intorno nella Sae con le facce smunte, i più anziani hanno capito che non rivedranno le loro case. Oggi c'è una scuola elementare bellissima, non come quella che hanno frequentato i miei due figli, che oggi hanno 17 e 19 anni, ma non ci sono più bambini».
Il ristorante dentro al container
Cristina Diaconu e il marito hanno riaperto in un edificio che avrebbe dovuto essere sostenibile, a parole, ma che in realtà ha i pavimenti di cemento, da cui durante l'inverno sale la condensa, mentre i muri, in una zona dove d'inverno le temperature scendono a -6, sono fatte da un pannello isolante di 6 centimetri, con una foglietta d'alluminio, uno spessore vuoto di 10 centimetri e poi il cartongesso, mentre in estate i condizionatori non funzionano. «Mio marito diceva di andare via, ma dopo esser rimasti per 6 mesi in albergo a San Benedetto del Tronto siamo rientrati, quello che avevamo visto non ci era piaciuto, dobbiamo riconoscere che la vita in montagna è più tranquilla. Questo popolo italiano non si rendo conto di ciò che sta accadendo al nostro territorio» lamenta Diaconu.
All'Osteria del Castello è cambiato necessariamente anche il modo di lavorare. Anche se lungo la via Salaria il ristorante è aperta ogni giorno, chi si ferma è alla ricerca di un pasto veloce ed economico, «una situazione che è sostenibile per chi ha 200 coperti a disposizione, ma per noi no» spiega la ristoratrice, che lamenta la fatica anche nel trovare dipendenti: i giovani non ci sono, «e se prima potevo offrire agli stagionali una casa indipendente con un bagno per due persone, ora non più, e mi trovo costretta a lavorare 14-16 ore al giorno, perché facciamo tutti noi».
Pasta fatta in casa e grandi tortelloni al tartufo
Tutto significa tutto: dalla pasta che è rigorosamente fatta in casa («Tua figlia ha mangiato le tagliatelle con i funghi, strano perché l'impasto è fatto anche con farina integrale, spesso i bambini non apprezzano un gusto così particolare») ai tortelloni al tartufo («Prenotiamo per tempo la ricotta migliore, la forma è quella caratteristica di alcune frazioni di Arquata, come Pretare, dove però normalmente si servono dolci») fino alle olive all'ascolana, seguendo tutta la filiera dal campo, e al gelato al cioccolato, unico meraviglioso dessert elencato nel menu scritto a mano, mantecato con una vecchia Carpigiani dal marito, che in passato è stato gelataio.
«Non è facile, anche perché qui è scomparso anche un tessuto economico, molte aziende agricole hanno chiuso e chi continua a lavorare spesso lo fa dopo aver chiuso la partita Iva, sottobanco, e noi non possiamo acquistarle. Resistono alcuni allevamenti, da cui acquistiamo carne di grande qualità». Anche se all'Osteria del Castello vorrebbero fare un lavoro diverso, in tanti ordinano semplicemente una amatriciana o una gricia, cacio e pepe con l'aggiunta del guanciale che nasce e prende il nome da Grisciano, il paese accanto ad Arquata del Tronto, che è già Lazio e provincia di Rieti, un confine oggi solo immaginario perché tutti questi Comuni fanno parte del grande cratere figlio dei devastanti terremoti che hanno colpito l'Appennino centrale tra l'agosto del 2016 e il gennaio del 2017.