Quando si parla dell’Umbria e del suo extravergine, si fa riferimento a una delle regioni del centro Italia che da più tempo persegue un modello olivicolo improntato su produzioni di qualità che puntano alla valorizzazione delle varietà autoctone e del paesaggio olivicolo. E anche quest’anno, nell’ultima edizione della guida Oli d’Italia 2025 del Gambero Rosso, realizzata in collaborazione con Banca Monte dei Paschi di Siena, conferma molte aziende ai vertici nazionali.
Come si è verificato in molte regioni del centro Italia, anche in Umbria si è riscontrato un aumento della produzione di olive rispetto all’anno precedente, ma le rese in olio al frantoio sono state inferiori. Le prime stime, infatti, hanno messo in luce una maggiore quantità di olive in termini di un +30-40%, mentre la resa in olio è diminuita di 1/3 rispetto alla scorsa campagna olearia. Il problema principale è stato, quindi, quello di constatare, nonostante l’aumento quantitativo di olive sugli alberi, i produttori hanno ottenuto meno olio e con costi di lavorazione più alti.
Andare in Umbria durante la campagna olearia, nei mesi di ottobre e novembre, significa immergersi in un quadro di rara bellezza tratteggiato dalle foglie verdi e argentate dell’olivo. Una pianta che qui non ha solo un’importanza paesaggistica, ma è legata a doppio filo con il territorio per ragioni storiche, economiche e sociali. Piante millenarie, ma anche nuovi impianti. Frantoi di vecchia data (pochi per fortuna) e il meglio della tecnologia all’avanguardia.
Ed è proprio quest’ultima che sta dando una nuova linfa creativa e produttiva all’extravergine umbro. In questi ultimi anni, infatti, si sta assistendo a nuove e interessanti dinamiche produttive, sia dal punto di vista olivicolo che da quello estrattivo. Protagoniste della produzione olearia sono varietà autoctone come il Moraiolo, capofila tra le cultivar regionali con il suo tratto erbaceo e l’alta carica fenolica, ma anche la Dolce Agogia (più diffusa nell’areale del lago Trasimeno), San Felice e Nostrale di Rigali. Varietà e tecnologie che vengono valorizzate dalle tante Tre Foglie presenti nell’ultima edizione della guida e in particolare dai premi speciali, come quello all’azienda dell’anno assegnato a Marfuga e quello come novità dell’anno a Gea 1916.
Lo sviluppo dell’olivicoltura in Umbria, come altri territori della Penisola e del bacino del Mediterraneo, si deve all’espansione dell’Impero Romano. Nel I secolo a.C. un’ansa del Tevere a Otricoli fungeva come una sorta di porto dell’olio che, proprio attraverso il fiume, arrivava a Roma per soddisfare la richiesta di personaggi facoltosi che consideravano l’olio umbro come uno dei più pregiati. Con la sua caduta ci si avvia a una crisi produttiva destinata a durare fino all’XI secolo, durante la quale l’uso dell’olio era destinato ai rituali religiosi e ai più abbienti. Dopo questo periodo, soprattutto in Toscana e in Umbria, si ha una ripresa dell’attività agricola (vite, olivo e castagno in primis) nelle zone a ridosso delle città. Qui si muovono i primi passi per una cultura olivicola regionale, con l’organizzazione delle colture in filari e con i primi approcci agli oliveti specializzati. Nei secoli successivi una grande spinta alla produzione è stata data dagli incentivi messi in atto dallo Stato Pontificio, fino ad arrivare alle seconda metà dell’800 dove si contavano oltre 40mila ettari olivetati.
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