Una delle prime regioni italiane a capire le potenzialità di un sistema che valorizza contemporaneamente l’economia agricola locale legandola a doppio filo con quella turistica e paesaggistica. La Toscana si conferma una regione che crede fortemente in sé stessa, che ha capito che la qualità è un sistema complessivo fatto di paesaggio, racconto, prodotto e che lavora per non tradire mai il rapporto emotivo che ha creato con l’immaginario di milioni di persone nel mondo. I risultati di questo lavoro li abbiamo visti anche quest’anno durante gli assaggi per la guida Oli d’Italia 2025 del Gambero Rosso, realizzata in collaborazione con Banca Monte dei Paschi di Siena.
Un’annata molto positiva dal punto di vista qualitativo e quantitativo, ma sofferente dal punto di vista delle rese che hanno costretto gli olivicoltori a spendere una fortuna in frantoio. Tutti elementi che, in questa campagna olearia, hanno accomunato le regioni del centro Italia, soprattutto quelle del versante tirrenico. Un calo attribuibile alle condizioni climatiche, in particolare alle abbondanti piogge autunnali che hanno reso le olive più ricche d’acqua, influenzando negativamente il rapporto olio/acqua all’interno dei frutti.
In Toscana non c’è areale che non sia dedicato alla produzione di olio d’oliva. Dalle Alpi Apuane a Capalbio, dalle colline aretine alla Montagna Pistoiese, la coltivazione dell’olivo si estende su circa 100mila ettari, il 90% dei quali si trova in zone collinari o di bassa montagna. Le cultivar più diffuse sono Leccino, Frantoio e Moraiolo, che costituiscono l’80% del patrimonio olivicolo regionale. Ogni olio ha le sue caratteristiche uniche: il Leccino è noto per le sue note vegetali e e per il suo fruttato abbastanza delicato; il Frantoio si distingue per i suoi sentori di mandorla e carciofo e per il fruttato di media intensità che lo rende ideale sia come monovarietale che nell’elaborazione di blend; il Moraiolo vanta sentori erba tagliata e note balsamiche, per un fruttato che arriva ad alte intensità. Oltre a queste diffusissime varietà sono presenti molte altre cultivar tipiche dei vari areali di produzione. Tra le più diffuse c’è il Maurino che ben intreccia le nuance di pomodoro con quelle erbacee, ma anche il Leccio del Corno e il Pendolino i cui sentori rimandano alle sensazioni vegetali e ammandorlate.
La storia olivicola della Toscana è strettamente intrecciata con la cultura, l’economia e il paesaggio della regione. Gli ulivi sono una presenza costante e iconica del territorio toscano, e l’olio extravergine d’oliva toscano è sempre stato molto apprezzato sia all’interno dei confini regionali, ma anche al di fuori. La coltivazione dell’olivo in Toscana risale almeno all’epoca etrusca con evidenze archeologiche che testimoniano la produzione di olio per usi alimentari, cosmetici e rituali. I Romani perfezionarono le tecniche di coltivazione e frangitura, diffondendole ulteriormente. Durante il Medioevo, l’olivo continuò a essere coltivato nei poderi delle abbazie e dei monasteri, che svolsero un ruolo chiave nel preservare le conoscenze agricole. L’olio era usato non solo come alimento, ma anche per l’illuminazione e per scopi religiosi. L’espansione della mezzadria portò a un incremento della produzione olivicola: i contadini coltivavano gli ulivi nei terreni concessi dai proprietari terrieri, e condividevano il raccolto. Notevole sviluppo si verificò sotto i Medici e i Lorena, quando oltre all’aspetto agricolo, si migliorò molto la qualità dell’olio grazie a nuove tecniche di spremitura e conservazione.
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