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I 10 migliori oli della Calabria premiati dal Gambero Rosso

Ormai da qualche anno, ai produttori calabresi va riconosciuto un grande merito: aver intrapreso una strada nuova, verso oli di qualità

  • 12 Aprile, 2025

Non solo quantità, ma anche crescita qualitativa con tante aziende in vetta al panorama nazionale e molte altre che, più timidamente, cercano di emergere. Anche la Calabria, come il resto della Penisola, non si sottrae nel far emergere produzioni d’eccellenza, emozionanti, che negli ultimi anni sono cresciute sia in termini di numeri che nella ricerca di uno standard qualitativo sempre più elevato. D’altronde si parla di una delle regioni dalla storia olivicola più ricca di contaminazioni e influenze da ogni parte della penisola e del Mediterraneo. La Calabria ha saputo fare tesoro della sua storia e oggi ci regala alcuni tra gli oliveti più affascinanti d’Italia e oli emozionanti dalla grande versatilità in cucina, come quelli assaggiati per l’ultima edizione della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso, realizzata in collaborazione con Banca Monte dei Paschi di Siena.

Tra le sfide che si trova ad affrontare c’è quella dell’abbandono degli oliveti, tanto che negli ultimi dieci anni, la Calabria ha visto una riduzione del 30% delle aziende olivicole, nonostante una superficie coltivata stabile. Per contrastare questa tendenza, la Regione ha approvato un Piano olivicolo da 50 milioni di euro e ha destinato 16,5 milioni di euro del PNRR all’ammodernamento dei frantoi, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza produttiva e ridurre l’impatto ambientale.

La campagna olearia 2024/2025 in Calabria

La Calabria dispone di 181mila ettari dedicati all’olivicoltura, rappresentando così il 17,3% della superficie nazionale. L’ultima raccolta si è svolta in un contesto complesso, segnato da condizioni climatiche avverse e sfide strutturali, ma ha confermato il ruolo centrale della regione nel panorama olivicolo italiano. Le condizioni climatiche avverse, tra cui siccità prolungata seguita da precipitazioni intense, hanno influito negativamente sulla produzione in diverse aree. Ad esempio, nella piana di Lamezia Terme la varietà Carolea ha subito danni significativi durante la fase di allegagione, compromettendo così la resa in fase di lavorazione.

La storia olivicola calabrese

A differenza di molte regioni italiane che aspettarono l’arrivo dei Romani per vedere la presenza dell’olivo nei loro areali, in Calabria furono i Greci a introdurre sistematicamente questa pianta insieme alle tecniche di coltivazione e spremitura, in un periodo riconducibile a quello ella Magna Grecia, ovvero intorno all’VIII secolo a.C. L’olio d’oliva era già allora un bene prezioso, usato non solo nell’alimentazione, ma anche nei rituali religiosi, nei cosmetici e per l’illuminazione.

Durante il periodo romano l’olivicoltura si sviluppò ulteriormente grazie alla costruzione di frantoi e mulini, mentre nel Medioevo i monasteri ebbero un ruolo chiave nel mantenere viva l’olivicoltura e la produzione di olio, soprattutto nelle aree collinari. A partire dal XVI secolo, l’olio calabrese cominciò a essere esportato in grandi quantità, specialmente verso il nord Italia e l’estero e nell’Ottocento si comincia ad assistere all’espansione di frantoi a trazione animale (i cosiddetti “frantoi a sangue”) e poi meccanica, soprattutto nel catanzarese e nel reggino.

Le varietà tipiche di cultivar più diffuse

Oggi la Calabria è la seconda regione d’Italia per produzione di olio d’oliva, dopo la Puglia, e gode di un patrimonio olivicolo vasto, con oltre 25 cultivar autoctone. Tra le più presenti ci sono sicuramente la Carolea con i suoi toni delicati tutti giocati sulle note vegetali, l’Ottobratica (molto diffusa nella Piana di Gioia Tauro), i cui alberi sono tra quelli che si sviluppano più in altezza rispetto agli altri olivi e la Dolce di Rossano (molto diffusa nel cosentino e che regala note di erbe aromatiche e pomodoro).

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