I cambiamenti della viticoltura sono stati al centro della prolusione con cui Angelo Gaja ha aperto ad Alba l’anno accademico dell’Accademia italiana della vite e del vino. Cambiamenti legati al modo di comunicare il vino, ma anche di produrlo viste le nuove sfide – climatiche e di mercato - davanti a cui ci troviamo. Il re del Barbaresco fa perfino un passo indietro sui vini dealcolati, ma c’è un tema su cui si dice assolutamente contrario: l’entrata dei vitigni resistenti nelle Doc.

Combattere il climate change ma senza i vitigni resistenti
«Con il cambiamento climatico, che preoccupa per la salute del vigneto, c’è da imparare a conviverci – dice Gaja - I patogeni, sempre più aggressivi, non li puoi far fuori tutti e allora diventa importante la capacità di adattamento (nel vigneto, in cantina, sul mercato), di introdurre nuove scelte e non pensare che quella sia la scelta definitiva». Tra le scelte possibili da fare quella di «piazzare i vigneti in altitudine ma senza estirpare o spostare altrove i boschi che vanno lasciati dove si trovano».
Poi il passaggio su Piwi e affini. Su cui non si professa totalmente contrario, purché non entrino nelle Doc. Tema molto attuale, in questo momento, visto che c’è una proposta di legge che eliminerebbe il divieto di inserirli nei vini a denominazione. Divieto, per altro, esistente solo in Italia: denominazioni come Champagne e Bordeaux hanno già ampiamente sperimentato i Piwi. «C’è troppo da aspettare ancora e non c’è tempo – spiega Gaja - Quindi occorre proteggere i vecchi vigneti, quelli che danno la qualità. I vitigni resistenti è bene che siano piantati, ma non devono entrare nelle doc. Abbiamo lavorato per valorizzare le denominazioni con le loro diversità, tipicità e caratteristiche, con i resistenti che vengono prodotti ovunque, sarebbe una gravissima omologazione, un inquinamento delle doc».

L’apertura ai vini dealcolati
A sorpresa, invece, il produttore e accademico piemontese, apre ai vini dealcolati: «Ero partito contro, mi sembravano un errore. Adesso non sono contrario, la ricerca metterà meglio a punto il modo di produrli». Anche perché, ricorda Gaja, bisogna trovare soluzioni, o almeno nuovi modi di comunicare, rispetto alle accuse che vengono rivolte al vino: «L’Organizzazione mondiale della Sanità ha detto che l’alcol è veleno in qualsiasi quantità, non solo se ne abusa. E noi siamo fermi, non abbiamo introdotto novità. Dobbiamo renderci conto che combattere contro la ricerca è una battaglia persa e allora dobbiamo rimodulare il nostro messaggio: bere con misura, se sai bere superi i rischi che comporta, consapevoli che tutti gli abusi fanno male e che l’alcol crea dipendenza». In quest’ottica, quindi, anche i vini dealcolati possono essere una risposta.

Il supporto dell’Intelligenza artificiale
Uno sguardo, infine, alle nuove frontiere legate all’intelligenza artificiale, senza preclusioni. «Stimolerà la creatività e abbiamo bisogno di creatività – sostiene il produttore - Ci sarà il naso artificiale per la misura dell’acidità, del tannino, della concentrazione. Ma non dell’eleganza. Per quella ci vorrà sempre l’uomo», conclude Gaja che ha ricevuto il riconoscimento di accademico onorario dell'Accademia italiana della vite e del vino, insieme a Oscar Farinetti, Ferdinando Frescobaldi, Emilio Pedron e Luca Rigotti.