Uno dei grandi piaceri della ristorazione fine dining (oltre ovviamente al cibo) è quello di provare gli abbinamenti studiati dal sommelier, in modo da godere dei migliori matrimoni con diversi vini. Ovviamente la formula del pairing, diffusissima in tutti i ristoranti di questa fascia, non pone nessun tipo di problema in una grande città come Milano, Roma o Firenze, ma magari la maggior parte di noi non si è mai soffermato a pensare alla fine di quelle bottiglie ormai aperte in “piazze minori”, ovvero in tutti quei paesini o località isolate che rubando un termine molto in voga nel mondo anglosassone sono dei destination place. Qui, dove magari il fine settimana si fa il tutto esaurito anche a pranzo, ci sono però dei giorni lenti, dei martedì con soltanto un paio di tavoli, dei giovedì che sanno più di preludio di melodia che di concerto. E visto che giustamente la proposta della carta è la medesima, spesso questo porta ad undestino infelice di tante bottiglie ormai aperte. Ma tra le foreste del casentino, in quella Toscana meno stereotipata, c’è un ristorante che si è inventato una soluzione anti spreco che anzi arricchisce e impreziosisce il menu, valorizzando quelle erbe spontanee del sottobosco che per secoli sono stati parte delle ricette alimentari e medicamentose delle abazie che popolano questi monti. Si tratta di Mater, e questa è la storia del loro “vermouth della casa”.
La storia di Mater
"Mater" ovviamente significa madre, terra, origine, inteso come colei che genera e nutre. Nel lessico agricolo, "mater" indica anche il ceppo, il tronco, la radice, rappresentando la parte intima dell'albero da cui nascono nuovi fusti. Mater è quindi un ritorno al principio, alla fonte di tutto, un grembo vegetale da cui scaturisce la vita. Fin da quando la sua famiglia si è lanciata in questo progetto di accoglienza e ristorazione lo chef Filippo Baroni ha voluto creare in questi luoghi una cucina moderna che partisse da sapori antichi, ispirandosi ad esempio in alcuni piatti alla tradizione povera dei monasteri della zona, piuttosto che alla ricerca vegetale legata alla spontaneità di un sottobosco ricco. La proposta Mater vuole essere nel segno di una sostenibilità che rispetta profondamente il territorio del Casentino e le sue Foreste Sacre, oggi riconosciute come Patrimonio Unesco.
Ogni piatto è preparato utilizzando prodotti di piccole realtà locali che rappresentano l'eccellenza della zona, e tutto questo lavoro viene poi trasportato nei piatti e raccontato ai commensali da l’anima fondamentale della sala, Marta Bidi, moglie dello chef che dirige le danze in un ristorante dalle tonalità legno e dai colori naturali, con ampie vetrate che collegano visivamente la sala con la natura circostante.
Il Vermouth di riciclo
Come già detto, questa parte dell’aretino non è certo celebre e parte delle rotte turistiche internazionali come altre zone della toscana, dal Chianti a Montalcino, e proprio per questo da queste parti capita quel discorso accennato all’inizio dell’avanzo delle bottiglie aperte. Nasce così nel 2019 un’idea brillante, ovvero: perché non sfruttare l’assenzio (o artemisia, che dir si voglia) che cresce spontaneo e rigoglioso ovunque intorno a noi per fare un vermouth? Il vermouth com’è noto è un vino fortificato liquoroso, bianco o rosso, aromatizzato attraverso l'infusione con artemisia, spezie, erbe e fiori (qui abbiamo raccontato come è tornato in auge). È utilizzato soprattutto per l'aperitivo e per creare cocktail. Anche se il vermouth contemporaneo ha origini piemontesi, non tutti sanno che la tradizione del vermouth in Toscana ha radici antichissime. Questa tradizione è strettamente legata alla produzione di vini e al commercio delle spezie nelle città toscane.
Testi antichi del XVIII secolo descrivono dettagliatamente la produzione del vermouth in Toscana, che era consumato per le sue proprietà stomatiche e medicinali. Il medico toscano Villifranchi, nel suo "Enologia Toscana" del 1773, e la "Pharmacopoea Taurinensis" del 1736, menzionano il vinum absinthites toscano. Nel 2019 dunque per la prima volta a Mater si inizia a blendare i vini e a fortificarli, per produrre un proprio vermouth utilizzando il metodo Solera, un metodo tradizionale usato per lo Jerez, che permette di miscelare, travasare e ripartire in diverse botti partite di vino, garantendo uniformità nelle proprietà organolettiche. La parte botanica invece è prodotta con erbe e spezie accuratamente selezionate, tra cui il già citato assenzio, un ingrediente chiave della cucina di chef Filippo Baroni (che viene anche distillato come liquore indipendente, ma ovviamente questo processo non è fattibile in maniera domestica, e ci si appoggia ad una distilleria fiorentina). Le spezie e le erbe aromatiche utilizzate sono 17 e tutte hanno riferimenti biblicim proprio per continuare il filo con la tradizione monastica così forte nella zona.
Com’è il vermouth di Mater?
Ecco, questa è una bella domanda: essendoci una “madre” comune che viene costantemente alimentata, ovviamente c’è sempre una costanza nel liquore, ma la verità è che nonostante il Solera questo prodotto è unico, bicchiere per bicchiere: se un anno piove troppo o troppo poco ad esempio, avremo un assenzio diverso, così come possiamo trovare botaniche con sapori più o meno intensi a seconda della zona dell’orto o se sono spontanee. Infine c’è la questione vino, che senza dubbio influisce: diverse proporzioni renderanno diverso il sapore. Due considerazioni gustative però ci sentiamo di farle: la prima riguarda la versione rossa, che differentemente dalla maggior parte dei vermouth sul mercato che sono fatti con uve bianche e “colorati” con il caramello, in questo caso è per ovvie ragioni figlia dei vini a bacca nera, e questo è un bene, perché lo rende estremamente interessante e parte di una sorta di rinascimento del vermouth rosso toscano da vino rosso che pare star diventando anno dopo anno un vero e proprio trato distintivo ed identitario della regione, con ad esempio aziende come Winestillery e Vermouth del Mugello a fare da capofila. Il secondo è sull’utilizzo: infatti il vermouth viene qui spesso servito liscio, in abbinamento ai piatti della cucina, riportandolo dunque in parte alla sua concezione iniziale, di prodotto da gustare indipendentemente. E l’abbinamento funziona e diverte, e merita di essere provato.