Grazie a un nuovo progetto innovativo gli astronauti potranno “sorseggiare” un bicchiere di vino nello spazio attraverso delle “pillole”. Il 20 e il 21 marzo, a Roma, presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana si è tenuto il Simposio A tavola nello Spazio: produzione e conservazione di cibo. Un appuntamento per discutere della messa a punto di nuove soluzioni per il sostentamento dell’equipaggio delle missioni spaziali. Un tema che non risulta nuovo e che in futuro forse coinvolgerà anche privati facoltosi che vogliono avere un’esperienza gastronomica in orbita.
Un pasto nello spazio
Al centro del Simposio, l’obiettivo di trovare nuove tecnologie e nuovi modi per fornire cibo nutriente e gradevole, ma anche progetti per il loro trasporto e il consumo. Tra i relatori presenti, la dottoressa Elena Luciani dell’Università Campus Bio Medico di Roma, ha presentato un progetto che permetterà di trasportare e consumare il vino nello spazio in forma di capsule edibili. «Il progetto va un po’ controcorrente rispetto al periodo in cui se ne limita il consumo. Il vino fa parte della nostra cultura ed è associato a momenti speciali o ad occasioni conviviali e questo progetto serve a fornire cibi piacevoli e famigliari contribuendo al benessere degli astronauti garantendo un senso di connessione con la terra» ha detto Luciani.
Il vino in pillole edibili
«L’idea di incapsulare il vino presuppone la preservazione del gusto, ma anche la piacevolezza della degustazione» e per la realizzazione del progetto è stato organizzato un panel di degustazione eterogeneo, composto da tecnici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, lo chef Gianfranco Vissani, e tecnici enologi per individuare come cambia la percezione di vini differenti al variare della quantità degustata.
«Abbiamo preso in considerazione le diverse tipologie di vino -continua Luciani- e le abbiamo assaggiate nelle quantità di 1, 3 e 5 ml. Quantità molto piccole, da cui abbiamo valutato l’intensità del sapore, la persistenza gusto olfattiva e l’impatto emozionale. Ogni tipologia ha i suoi elementi distintivi e abbiamo visto che il vino botritizzato garantiva una intensità di gusto e un impatto emozionale soddisfacente nella quantità di 3 ml, una quantità più esigua rispetto ai 5 ml del vino rosso e più semplice da usare nel processo di incapsulamento». È stato quindi elaborato una sistema di pillole edibili. «Siamo partiti dalla tecnica di sferificazione, che è utilizzata moltissimo anche nella cucina molecolare, ma poi abbiamo sviluppato film compositi di bio polimeri con carboidrati e proteine. In questo modo non andiamo a incidere sul contenuto e possiamo prolungare lo shelf life del nucleo liquido. Attualmente siamo in una fase di beta testing, quella del 21 marzo è stata una presentazione, ma sono necessari ulteriori esperimenti. Questa tipologia di involucro può essere utilizzata anche con altre sostanze liquide, come tè o caffè ad esempio».
Il tipo di contenitore offre poi diversi vantaggi come il controllo delle porzioni, una facilità di stoccaggio e di trasporto, non necessitando di bottiglie o contenitori da smaltire «e aggiunge un tocco unico e moderno al tradizionale consumo del vino, introducendo nuove possibilità per i sistemi di consegna di cibo e bevande nell'esplorazione spaziale» dice Luciani.
Il potenziale della botritizzazione
Tra i vari vini degustati è stato selezionato Orvieto Cl. Sup. Muffa Nobile Calcaia Barberani. «Questo sistema permette anche di preservare le molecole bioattive antiossidanti e antinfiammatorie che si trovano nel vino botritizzato. In uno studio che ho realizzato è emerso, infatti, che hanno un ottimo livello di elementi bioattivi dovuti alla muffa nobile. Poi per via della alcolicità più bassa, di appena 11,5 gradi il Calcaia è un ottimo candidato per essere portato nello spazio» conclude Luciani.