È una vera call to action la campagna Vitaevino in difesa del vino che il primo ottobre è stata lanciata in contemporanea in mezza Europa (per l’Italia, la presentazione è avvenuta al Masaf alla presenza del ministro Lollobrigida e di dieci associazioni di settore). Una chiamata all’azione (si può firmare sul sito www.vitaevino.org) da parte delle principali sigle di categoria che vuole coinvolgere professionisti, decisori politici e soprattutto appassionati di vino, in un momento non facile per il settore. Ma difenderlo da chi? «Il vino sta affrontando una significativa minaccia esistenziale poiché un crescente movimento anti-alcol cerca sempre più di demonizzare le bevande alcoliche – si legge nella dichiarazione - A causa della diffusione di informazioni e dati scientifici incompleti o parziali, questa visione restrittiva sta progressivamente influenzando le normative in tutto il mondo, che vanno dall'imposizione di un quadro giuridico sproporzionato e ingiusto, come divieti pubblicitari, politiche fiscali restrittive ed etichette di avvertenze sulla salute, mettendo a rischio la sostenibilità del settore vinicolo e delle sue comunità rurali».
Dei rischi presenti - e futuri – ma anche delle sfide che attendono il settore abbiamo parlato con Gaya Ducceschi, Head of wine & society and communication del Comité européen des entreprises vins (Ceev), l'associazione che rappresenta le aziende vinicole europee nell'industria e nel commercio di vino e che è tra le promotrici della campagna pro vino.
Inutile negarlo: non è un momento facile per il settore vitivinicolo, che davanti a sé ha una serie di sfide da affrontare. Quali sono quelle principali?
Il Ceev ne ha individuate almeno sei. La prima è l’incertezza per il commercio mondiale di vino, soprattutto nei principali mercati di esportazioni, a causa di un declino strutturale, ma anche di controversie geopolitiche e commerciali. A questo seguono il calo dei consumi nei Paesi Ue che sono anche quelli produttori, il cambiamento dei trend (il vino si affida sempre di più a bevitori più anziani) e la discopatia tra offerta e domanda. In particolare, le nuove generazioni preferiscono vino bianco e spumante, e questo crea tensioni di mercato nelle regioni e nelle aziende che producono principalmente vini rossi. C’è poi una complessità a livello normativo: troppa burocrazia, ad esempio nei programmi di promozione, ma anche nella vendita a distanza di vino (vedi alla voce e-commerce). Infine, si segnalano una proliferazione di eventi climatici negativi e la demonizzazione del vino nella politica sanitaria.
Proprio sulla demonizzazione, il mondo vitivinicolo ha deciso di mobilitarsi, con una campagna senza precedenti in difesa del vino, di cui il Ceev è stato tra gli ideatori. C’è davvero bisogno di iniziative come questa?
L’idea portante è quella di “aggiungere un posto a tavola” per il vino. La campagna nasce da un lavoro iniziato due anni fa. Quello che era importante era che il messaggio venisse dal basso per cambiare la visione del prodotto. In questo modo è il consumatore che diventa ambassador del vino. Al centro c’è un modello di consumo moderato che il crescente movimento per la temperanza emerso negli ultimi anni sembra ignorare.
In cosa consiste la dichiarazione che chiedete di firmare?
È una dichiarazione in cui si dice che il vino è un patrimonio storico culturale, è fondamentale nella tutela delle aree rurali e nella loro economia e ha un suo ruolo specifico all’interno di uno stile di vita sano ed equilibrato. Infine, firmando la dichiarazione si rivendica il diritto a consumare il proprio calice di vino seguendo il principio della moderazione. Ma oltre alla firma ci si può mettere la faccia:
la sezione del sito Word of wine dà parola a tutti. Chi vuole può, quindi, lasciare la propria testimonianza con un video in cui risponde a tre semplici domande: cosa rappresenta per lui il vino, come spiegherebbe la cultura vitivinicola a chi non la conosce, quale ricordo legato al vino vuole condividere. Al momento abbiamo già raccolto una novantina di testimonianze, che vengono da produttori, appassionati e anche da parecchi eurodeputati.
E questo è un buon segno per il settore, considerati i tanti attacchi al vino arrivati proprio dal cuore dell’Europa, Commissione in primis…
Purtroppo, sono stati anni complicati. Prima il Cancer plan della Commissione Beca (la commissione speciale del Parlamento europeo sulla lotta contro il cancro; ndr) poi il piano Oms di riduzione dei consumi del 10% entro il 2025. E non è ancora finita. L’Organizzazione mondale della sanità è al lavoro per un nuovo rapporto sulle malattie non trasmissibili che presenterà a settembre del prossimo anno. Il problema è che nell’ultimo documento è praticamente morta la distinzione tra consumo e abuso di alcol.
Questo legittimerebbe anche l’adozione degli alert in etichetta, sul modello irlandese …
Già vediamo i primi effetti. Dopo l’Irlanda, anche il Belgio ha annunciato di voler introdurre un sistema di healt warning. Proposta poi ritirata dal ministro della salute e al momento in stand by, ma bisogna capire cosa accadrà con le nuove elezioni. A luglio, anche la Lettonia ha notificato una proposta per ridurre il consumo di alcol che comprende, alert in etichetta, limitazioni pubblicitarie e divieti orari per le vendite di alcol. Gli altri Paesi europei hanno tempo fino al 6 ottobre per commentare l’iniziativa.
Ma non sarebbe meglio arrivare ad un’etichetta comune per tutti gli Stati membri dell’Ue, piuttosto che far fronte alle fughe in avanti dei singoli paesi? Magari una soluzione di compromesso tra la salute dei consumatori e le esigenze dell’industria del vino?
È una delle proposte del Ceev, infatti. Un’etichetta semplificata che inviti al consumo moderato, ma meno impattante di quella irlandese. Ad ogni modo, quello che chiediamo alla Commissione Ue è di mantenere la distinzione tra abuso e consumo moderato, riconoscere il vino come parte del patrimonio culturale dell'Ue e guidare il coordinamento delle azioni degli Stati membri nel campo della politica sanitaria per evitare la frammentazione del mercato unico. Inoltre, bisogna evitare di delegare la valutazione della politica sanitaria ad agenzie o organizzazioni esterne all’Ue. La stessa Oms comprende anche Paesi non europei.
Andando alle altre sfide, la stessa Commissione Ue ha istituito il gruppo di alto livello – di cui il Ceev fa parte - in vista della prossima Pac. Tra i temi più dibattuti c’è quello dell’estirpazione dei vigneti. Qual è la vostra posizione?
L'estirpazione non dovrebbe essere la soluzione e i fondi Ue non dovrebbero essere utilizzati per questo. L'Unione europea ha già stanziato oltre 1 miliardo di euro per il meccanismo di estirpazione sovvenzionato tra il 2009 e il 2011, perdendo oltre 164mila ettari di vite; tuttavia, la produzione vinicola non è diminuita in modo significativo dal 2011 al 2023. È auspicabile, però, una maggiore flessibilità nella gestione del vigneto.
Cosa si intende per flessibilità?
La scadenza per l'uso dell'autorizzazione al reimpianto dovrebbe essere estesa a otto anni. E, tra le misure ammissibili, dovrebbe rientrare la vendemmia verde che dovrebbe essere inclusa in tutti i piani strategici degli Stati membri in caso di necessità.
Se, invece – nonostante le tante voci contrarie - il settore decidesse di seguire la Francia sulla strada dell’espianto, quali dovrebbero essere le condizioni?
In primis, i finanziamenti dovrebbero rientrare sotto la “ristrutturazione e riconversione dei vigneti” e, quindi, non dovrebbero influenzare le misure di promozione o investimento. Inoltre, si dovrebbero valutare le zone: non quelle montane o a rischio desertificazione. Infine, chi riceve denaro per l'estirpazione non dovrebbe ricevere autorizzazioni di reimpianto; il sostegno all'estirpazione non dovrebbe essere utilizzato per i vigneti piantati negli ultimi 5-10 anni; chi è disposto ad abbandonare il settore dopo l'estirpazione, non dovrebbe avere accesso alle misure del programma di sostegno al vino per i successivi 10 anni.
Spostando lo sguardo dal vigneto al mercato - al momento così poco reattivo rispetto al vino - come si potrebbe intervenire per rendere la misura promozione un po’ più efficace?
Sicuramente le misure di promozione e comunicazione sono uno degli strumenti principali per uscire dall'attuale crisi del vino. Tuttavia, le aziende vinicole non riescono a trarne il massimo vantaggio per colpa di un complesso e gravoso quadro normativo che la regolamenta. Uno dei principali ostacoli rimane il limite di durata imposto. C’è, poi, un’oggettiva difficoltà legata a delle regole sproporzionate e alle diverse interpretazioni fornite da paese a paese, che rendono complesso per le aziende vinicole implementare i programmi di promozione. Dovrebbe essere avviata una riflessione strategica sulla sua portata, sulle regole, sulle azioni e sul meccanismo di funzionamento per aumentare la quota di mercato del vino.
Altro tema di cui si parla tanto negli ultimi tempi, è quello dei dealcolati. C’è chi li considera vini e chi ne rifiuta il termine, ma potrebbero essere una soluzione?
Di sicuro, la diminuzione dei consumi di vino è il tema principale al centro della crisi attuale del settore. Dall’altra parte il mercato globale degli alcolici e dei prodotti a basso o zero alcol è in crescita. Credo che il supporto dell'Ue dovrebbe concentrarsi sul miglioramento della competitività, anche favorendo l'accesso ai nuovi consumatori. Nel manifesto del Ceev chiediamo, infatti, di adattare l’Ocm del vino per sviluppare un quadro giuridico completo e adattato per la produzione e la presentazione di prodotti vinicoli dealcolati e parzialmente dealcolati.