Il vino si vende sempre più al bicchiere. È così ovunque, dagli Stati Uniti all’Australia cambiano i consumi e le modalità di fruizione. Un po' come nella musica: ascoltiamo solo i singoli e raramente ci prendiamo il tempo per un album intero. I requisiti dei vini sulla lavagna del giorno? Devono essere sempre più leggeri e facili da bere, al di dà del timbro territoriale e stilistico. Eppure, nessuno sa dire esattamente quale sia il contenuto esatto che deve contenere un bicchiere di vino servito alla mescita. Approfondiamo il tema dopo la pubblicazione di una ricerca inglese che ha dimostrato quanti locali del Regno Unito tradiscano in modo sistematico la fiducia dei consumatori servendo meno vino nel bicchiere di quanto indicato.
Quel bicchiere generoso
«In Bottega andiamo a occhio, non siamo lì a usare contagocce o misurini. Si procede a polso, o meglio, a gomito. Abbiamo 50 etichette permanenti alla mescita, solitamente puntiamo a fare sei bicchieri da una bottiglia, a volte ne escono giusto cinque perché siamo più generosi», ci racconta Federico Ranieri, sommelier dell’Antica Bottega del Vino a Verona, uno dei luoghi enologici più apprezzati del nord Italia. Tra le vecchie bottiglie in vista non manca mai la lavagna con la mescita degli Amaroni delle famiglie, una seconda con le etichette del territorio, oltre un’ampia selezione nazionale e internazionale sempre pronta al bicchiere. «La bellezza di questo posto è che è c'è di tutto, un luogo per tutti: puoi aprire un Valpolicella Classico come un Petrus. Ovviamente se servo al bicchiere un Mouton Rotschild del 1990 sto un filino più attento con la quantità», sorride Federico. «Non giriamoci intorno è lo stesso principio della pasta, il vino si cala a sentimento». Spesso la quantità servita in un bicchiere definisce lo spirito del locale: «Ma non manca chi si lamenta perché magari non si rende conto quanto sia capiente un bicchiere Riedel da Bordeaux», fa notare Ranieri.
Bottiglia in bella vista
Ci spostiamo in uno dei wine bar più curiosi nella ricerca della Capitale, anche per l’offerta gastronomica: Mostò, non lontano dallo Stadio Olimpico. «Mi taro con cinque bicchieri da una singola bottiglia. In genere, ho il logo sul bicchiere che è tarato sui 15cl, mi regolo con quello. Non ho altri misurini, anche perché servo il vino rigorosamente al tavolo davanti al cliente per mostrare la bottiglia. Non sempre è così», sottolinea Ciro Borriello, titolare di Mostò. «È come se ci fosse una legge non scritta con i colleghi, ci si attesta sempre tra i cinque e i sei bicchieri a bottiglia, ovviamente nel caso di un abbinamento al ristorante, all'interno di un percorso degustazione, la quantità scende altrimenti non ci si riuscirebbe ad alzarsi da tavola», prosegue. In Francia solitamente i bicchiere sono più piccoli e le quantità inferiori rispetto all'Italia. Differenze tra nord e sud Italia? «Al nord è più diffusa la cultura di farsi un bicchiere al bar, al sud un po' meno, ma spesso sono più generosi. Da me sta crescendo tanto il consumo, anni fa avevo trovato un decreto degli anni '50 che stabiliva la quantità per un bicchiere. Ma è rimasto nella polvere », conclude Borriello.
Il fattore umano
L'altro tema è la conservazione delle bottiglie, spesso in mescita ci vengono proposti vini stanchi. Per usare un eufemismo. «Al massimo li tengo due giorni, a meno che non siano vini che giocano sull'ossidazione, ma vanno sempre assaggiati», spiega Ruggero Lombardo, titolare del Casamatta, wine bar tra i vecchi vicoli di Taormina, con una mescita nettamente ispirata dai vini dell'isola. «Abbiamo usato i bicchieri con le tacche per un breve periodo, poi siamo tornati a lavorare a occhio. Ci tariamo poco sopra il punto di massima larghezza di un calice sapendo che da una bottiglia dobbiamo ricavare 5 bicchieri». Ma non manca chi si lamenta:«Gli stranieri mai, gli italiani invece sì. Ma l'errore del cameriere può capitare, basta saper gestire le situazioni con buon senso». Tra i vini emergenti alla mescita segnala il fenomeno dei pre-british: sono tra i più richiesti.