Grandi Langhe diventa quasi Grande Piemonte, con l’obiettivo ormai dichiarato di promuovere una menzione geografica allargata, capace di promuovere i vini della regione nel mondo in modo unitario. Una specialissima 'autonomia differenziata' che si esercita in grande stile nella promozione vitivinicola. Sembra questo l'ambizioso finale della manifestazione che si è svolta alle Officine Grandi Riparazioni di Torino il 27 e 28 gennaio scorsi, così come avevamo già raccontato nell'intervista a Sergio Germano (a cui era seguita la replica piccata della presidente del Consorzio Albeisa, Marina Marcarino). Non a caso, per la prima volta nel titolo, accanto al tradizionale "Grandi Langhe", viene affiancata la dizione "e il Piemonte del vino".
Se Grandi Langhe diventa Grande Piemonte
«Grandi Langhe è un’idea vincente. L’idea di portare tutti in Piemonte a parlare di Piemonte. Questo di Torino dovrebbe diventare il più grande appuntamento della nostra regione, rappresentando i vertici del mondo vitivinicolo italiano. Qui si pensa in grande». A parlare è Massimo Damonte, produttore a Canale d’Alba, ma soprattutto presidente del Consorzio Roero che - in partnership con quello più celebre di Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani - organizza e promuove l’evento. Grandi Langhe, ormai riconosciuto come l’evento più importante per la promozione dei vini piemontesi, ha visto la partecipazione di 500 produttori locali. Di questi, 380 provenivano da Langhe e Roero e 120 dalle denominazioni cosiddette minori, che per la prima volta hanno ricevuto ospitalità in un contesto tradizionalmente legato ai vini a base di nebbiolo. I buyer hanno avuto l’opportunità di testare più di 3000 referenze di tutte le doc e docg piemontesi. Continua Damonte: «Questo è un anno sperimentale. Abbiamo allargato il format ad altri consorzi con l’intenzione di creare un valore aggiunto. La risposta dagli altri consorzi non è ancora stata totalitaria, ma se l’idea piace è probabile che saremo costretti ad allungarne la durata a 3-4 giorni».
Sulla stessa lunghezza d’onda è Sergio Germano, produttore a Serralunga (Alba) e presidente del Consorzio delle Langhe. «Grandi Langhe nasce da noi e dal Roero, ma tanti produttori hanno piacere di partecipare. Quest’anno abbiamo ospitato un 20% di cantine che sono fuori dalle nostre denominazioni». L’evoluzione dell’evento verso la costruzione di una corazzata vitivinicola regionale è confermato plasticamente dalla presenza tra i banchi delle Ogr del presidente della Regione Alberto Cirio, venuto a battezzare di persona il nuovo progetto. Germano assicura che i produttori delle denominazioni più affermate non percepiranno l’allargamento come una minaccia. «C’è voglia di fare squadra e di proporsi come un gruppo unico. Un atteggiamento che mi pare ormai recepito e accettato dai produttori. Del resto, anche tante aziende di Barolo e Barbaresco producono Barbera o Moscato e possono cogliere un’opportunità in questo nuovo disegno. Il gioco di squadra esclude la concorrenza». Quanto al format, Germano non prevede cambi all’orizzonte. «Il format resta questo, qualche produttore è rimasto fuori ma non sono tantissimi. Per ora quota 500 è quella giusta, mi fermerei qui. Ovviamente, dobbiamo correggere i piccoli errori per migliorarci».
Arriva una menzione geografica allargata
Ma nel corso delle giornate di Torino emerge una novità, per ora soltanto ufficiosa ma che fa già clamore: una menzione geografica allargata capace di unificare e aumentare la potenza di fuoco del mondo vitivinicolo piemontese. «La menzione geografica allargata con l’indicazione del nome Piemonte in etichetta è una conseguenza di Grandi Langhe. Serve a portare in risalto all’ennesima potenza i diversi territori del Piemonte», assicura Damonte. Sul punto, Sergio Germano si muove con cautela: «Per adesso si tratta di un pensiero embrionale che emerge dal confronto tra Piemonte Land of Wine, che è il consorzio che riunisce i consorzi del Piemonte e l’assessorato all’agricoltura. È ancora tutto da definire, ma sarebbe interessante introdurre un marchio della regione in etichetta per dire tutti insieme: siamo Piemonte». Ma a questo punto ci si potrebbe chiedere: che fine fa la Doc Piemonte già esistente? «La denominazione di origine ‘Piemonte’ è una doc di declassazione», assicura Damonte. Per intenderci: una denominazione che serve per dare visibilità a produzioni residuali o per dare esposizione a singoli vitigni.
Mga: quale vantaggio per le grandi cantine del Barolo?
Ma come funzionerebbe la nuova menzione? Dove dovrebbe essere scritta? «La menzione sarebbe aggiunta alla base dell’etichetta, sotto le altre informazioni scelte dal produttore». In sostanza, la parola ‘Piemonte’ finirebbe sotto il nome della cantina, sotto la denominazione e, se indicati, sotto il vitigno, il vigneto e l’annata. Con il rischio di trovarsi di fronte a una etichetta perfino sovrabbondante, che potrebbe assomigliare al bugiardino delle medicine. Per Damonte si tratterebbe di un «valore aggiunto». «Esalterebbe la qualità del prodotto in quanto legato alla regione», percepita in Italia e nel mondo come una delle più importanti aree vitivinicole a livello globale. C’è un piccolo ma decisivo baco del sistema che potrebbe però sabotare l’efficacia dell’operazione: l’etichetta sarebbe facoltativa. Il che apre all’eventualità assai probabile che i produttori delle denominazioni più forti e celebrate, come Barolo e Barbaresco, che hanno già etichette assai ricche di informazioni (nome della cantina, Doc o Docg, cru, vigneto e annata), non abbiano alcun vantaggio dalla moltiplicazione delle menzioni geografiche. Ma questo si vedrà a tempo debito. Intanto il percorso di autonomia differenziata è stato avvitato.