È raro, quasi inaspettato, che gli Stati Uniti critichino il proprio settore enologico. Eppure, la rivista americana Vinepair ha deciso di chiedere a sette sommelier di rinomata esperienza, quale vino rosso, secondo loro, sia il più sopravvalutato. Una lista che include alcune delle etichette più blasonate, dai Cabernet Sauvignon della Napa Valley agli sconosciuti rossi delle Isole Canarie, fino alle sorprendenti critiche su vini come il Beaujolais. Un’autocritica che punta il dito contro le bottiglie intoccabili, dove il clamore mediatico e i prezzi elevati non sempre riflettono la qualità del vino.
Per gli appassionati di vino, se parliamo di viticoltura nella West Coast, pensiamo ai Cabernet Sauvignon della Napa Valley, che, anche se rappresenta meno del 10% della produzione di vino del paese, viene considerata il simbolo e il grande vanto della cultura vinicola della California, oltre a essere il punto di riferimento per l’intera industria vinicola della nazione. Eppure, da quanto riporta Vinepair, secondo Drea Boulanger, wine executive director al Spiegelworld di Las Vegas, questa fama è spesso immeritata: «A Napa Valley, il Cabernet Sauvignon sembra meno competitivo in termini di valore oggi e il prezzo spesso supera la qualità», afferma senza mezzi termini. Boulanger non è sola nel suo giudizio: l’elevato costo di queste bottiglie non corrisponde sempre al livello qualitativo che ci si aspetterebbe, soprattutto in un mercato dove le annate calde europee producono ormai cabernet di altissimo livello a prezzi misurati.
Ma le critiche non si fermano qui. Anche i Cabernet Sauvignon sotto i 20 dollari sono nel mirino dei sommelier. Jonny Thompson, sommelier di Denver, è lapidario: «I Cabernet economici non hanno la raffinatezza nella vinificazione per gestire la struttura innata dell’uva. I tannini e l’alcol sono comunemente sbilanciati e lasciano una sensazione di calore al naso e amarezza al palato». Secondo Thompson, l’errore comune è acquistare questi vini sperando in una qualità che non possono offrire, a causa delle tecniche di produzione economiche che privilegiano la quantità sulla qualità. Il suo consiglio? Cercare altre regioni per rossi a basso costo, come i blend a base grenache della Languedoc-Roussillon o i rossi portoghesi.
Tra le sorprese più grandi dell’articolo di Vinepair, c’è la critica ai vini da Listán Negro delle Isole Canarie. Gareth Rees, beverage director di un locale a New York, confessa la sua perplessità: «L’anno scorso stavo degustando un vino Listán Negro con alcuni colleghi sommelier e, mentre tutti loro si mostravano entusiasti, io sentivo che era una delle cose più spiacevoli che avessi bevuto tutto l’anno» racconta Rees. La sua critica è rivolta alle intense note solforose percepite in questi vini, che, a quanto pare, di pepe affumicato e di vivace salinità avevano ben poco, anzi, a suo avviso superavano i limiti del gusto piacevole, rendendo difficile apprezzarli anche dopo una lunga decantazione.
Facili da bere, senza molte pretese, con una buona concentrazione di produttori naturali e a prezzi discreti (soprattutto per quanto riguarda i Cru). Ma un’altra voce critica si alza contro il Beaujolais, un vino che, nel corso degli anni, ha subito una trasformazione che non tutti vedono di buon occhio. Sean O’Keefe, enologo in Michigan, esprime la sua delusione per come questo vino, un tempo leggero e fruttato, abbia perso la sua identità. «Oggi molti cru Beaujolais mostrano caratteristiche di frutta matura, marmellatosa e secca che li fanno sembrare i più robusti rossi del Rodano» afferma con un certo rimpianto. Secondo O’Keefe, le cause sono da vedere nel riscaldamento globale e nelle nuove tecniche di produzione, che pensano molto alla quantità e poco alla qualità, trasformando il Beaujolais in qualcosa di diverso da ciò che ha reso celebre questa denominazione.
Ma non è solo una questione di gusto o di cambiamenti climatici. Alcuni sommelier puntano il dito anche contro le strategie di marketing che spingono i vini più noti a prezzi esorbitanti, oscurando spesso la qualità del prodotto. È il caso del Caymus Cabernet Sauvignon (che ha un prezzo che varia dai 50 ai 150 euro), un vino onnipresente nei ristoranti di lusso, ma che, secondo Bruce Martin Polack, beverage director in un ristorante di Denver, non giustifica il suo prezzo: «Grazie a un ottimo marketing, il loro nome è sicuramente associato a grandi conversazioni sul vino rosso, ma quando si prova effettivamente il vino, lascia molto a desiderare», osserva Polack, aggiungendo che ci sono opzioni molto più interessanti nella stessa fascia di prezzo.
La critica si estende anche ai vini delle più famose denominazioni vinicole, incluso l’italiano Barolo, e poi, a seguire, la Borgogna. Secondo Austin Bridges, responsabile vino in un locale a Portland, queste regioni sono diventate preda dei grandi capitali: «L’attenzione si sposta dal vino stesso allo status associato, oscurando i fattori che inizialmente hanno reso grandi queste regioni», afferma Bridges. Il suo consiglio è quello di esplorare denominazioni meno conosciute o produttori che operano al di fuori dei circuiti consolidati, per scoprire cantine nascoste che mantengono un legame genuino con il loro terroir.
Perciò, mentre il marketing e la fama possono influenzare le scelte dei consumatori, è fondamentale ricordare che la qualità di un vino non dipende dal suo prezzo o dalle sue etichette blasonate. Il valore aggiunto riguarda vini che, al di là dell‘hype, sanno raccontare la storia e il territorio di chi li produce.
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