Vini no e low alcol sempre più strategici: ecco chi sono i top brand italiani che stanno investendo (e chi no)

30 Gen 2025, 17:51 | a cura di
Tutti i grandi gruppi vitivinicoli sono concordi sulle nuove opportunità legate alla bassa gradazione, ma c'è chi rilancia: "Bisognava aprire a Igp e Dop". Prossimo step? I vini low calories

L'universo dei vini dealcolati e a bassa gradazione trova il gradimento dei top brand italiani (anche se non di tutti). In un'Italia che ha acceso il disco verde, attraverso il Masaf, per una categoria che oggi pesa circa l'1,5% dei consumi mondiali di vino, il settimanale Tre Bicchieri del Gambero Rosso ha provato a sondare il punto di vista di alcuni tra i maggiori player (ai vertici per fatturati del 2024) dalla forte attitudine internazionale, per conoscere il rispettivo livello di interesse. Per tutti, il segmento è considerato altamente strategico, merita attenzione e, come tale, necessità di investimenti ponderati e mirati. Inoltre, non si intravedono nei prodotti no-low alcol dei particolari rischi di cannibalizzazione a danno dei vini tradizionali. I punti di vista, però, si dividono quando si parla dello stop imposto dal decreto nazionale, che esclude dalla gamma Dop e Igp. Per alcuni, la decisione italiana è un limite alla competitività sui mercati mentre, per altri, rappresenta una forma di tutela per le tradizionali denominazioni.

L'interesse dei grandi poli

Chi già produce i vini no-low e ha, come dire, assaporato il gusto di commercializzarli, osservando sul campo la risposta dei consumatori, soprattutto all'estero, appare più aperto anche alle opportunità di un allentamento delle maglie legislative sulle Dop e sulle Igp, in modo da non concedere vantaggi agli altri Paesi competitor dell'Italia, che - secondo quanto prevede la norma Ue - hanno la possibilità di intervenire solo parzialmente sui vini Igp e Dop, a condizione che siano modificati i relativi disciplinari. Va da sé che in questo gruppo ci siano nomi come Italian wine brands e Argea, che hanno una visione, per così dire, più laica del comparto vino. E, nell'altro, le realtà cooperative. Ma c'è anche chi, tra i big del vino made in Italy, non ha alcuna intenzione di abbracciare questa categoria. Vediamo nel dettaglio cosa ci hanno raccontato.

Iwb lancia tre prodotti zero alcol e insiste sulle Igp

Alessandro Mutinelli, presidente e Ceo di Italian wine brands, società che ha appena festeggiato i dieci anni di quotazione alla Borsa di Milano (che vende 150 milioni di bottiglie, per oltre 400 mln di giro d'affari), annuncia il lancio nei Paesi del centro-nord Europa di tre tipologie a zero alcol, col brand Grande Alberone. «Il primo - spiega il manager al Tre Bicchieri - sarà uno sparkling, a cui seguiranno un bianco e un rosso fermi. In Italia, la distribuzione sarà affidata inizialmente al nostro negozio on-line Svinando».

Le prospettive per la categoria sono ancora quelle di una «nicchia in crescita, soprattutto dove l'offerta è già ampia, come nel centro e nel nord dell'Europa», secondo Mutinelli, che non intravede rischi di cannibalizzazione: «Probabilmente sono un'alternativa a chi, comunque, aveva deciso di evitare il consumo di alcol». Il manager insiste, però, sul tema del limite normativo su Dop e Igp: «Avrei lasciato aperta questa porta, a discrezione poi dei vari Consorzi di tutela, se consentire o meno le versioni a zero alcol. Il mercato, comunque, traccerà la propria strada, nel senso che se questi prodotti avranno un deciso successo, probabilmente il tema verrà ripreso. Al contrario, fra un paio di anni, nessuno più ne parlerà».

Alessandro Mutinelli, presidente e Ceo di Iwb

Argea e l'investimento in Germania

Altro grande polo vitivinicolo italiano è Argea, che stima una chiusura 2024 in lieve crescita a 450 mln di euro, con 180 mln di bottiglie vendute. L'amministratore delegato Massimo Romani (già intervistato sul tema da Gambero Rosso) ricorda come il gruppo abbia per primo in Italia lanciato un'intera antologia no alcol: «Abbiamo all’attivo 8 etichette, dealcolate in Germania, che hanno avuto un grande successo soprattutto sui mercati internazionali. Nel 2024, abbiamo venduto tutto ciò che è stato prodotto: 500mila bottiglie delle etichette Zaccagnini, Barone Montalto, Asio Otus, Gran Passione e Doppio Passo. Per il 2025 - annuncia Romani - contiamo di alzare un po' l’asticella, pur parlando ancora di una nicchia di mercato». Germania, Uk e Nordics sono le aree più incoraggianti per le vendite. Negli Usa, non è ancora possibile vendere, in attesa di capire le norme della Fda (Food and drug administration).

«Il mercato italiano è ancora in fase di sviluppo - aggiunge - ma notiamo che anche qui c’è curiosità. Una cosa è certa, i nostri competitor internazionali si sono già posizionati su questo segmento e noi vogliamo fare altrettanto». Ma ecco l'affondo di Romani: «Riteniamo che non permetterci di essere altrettanto competitivi possa rivelarsi un errore strategico, anche se rispetto a un anno fa sono stati fatti grandi passi avanti dal nostro Governo e siamo sulla giusta direzione». Nessun rischio, infine, rispetto ai vini tradizionali. I no-low resteranno una nicchia che non li sostituirà e, in ogni caso, sarà una «ottima opportunità per avvicinare nuovi consumatori al vino ed estendere le occasioni di consumo: pensiamo, ad esempio, a chi sta facendo una dieta, a chi non può assumere alcol o a chi è designato come guidatore della serata».

Massimo Romani - AD ARGEA

Massimo Romani, amministratore delegato di Argea

Mezzacorona lancia i suoi vini no-low

Francesco Giovannini, direttore generale di Mezzacorona, che ha chiuso il bilancio 23/24 a 212 mln di euro (-2,5%) con una lieve crescita nella seconda parte del 2024, spiega come la cooperativa trentina abbia appena iniziato a produrre vini no-low: si tratta di Pinot grigio e Pinot grigio rosè a 9 gradi per l'Italia, gli Usa e i mercati internazionali. «Sono stati da poco introdotti - racconta - e pertanto non ci sono ancora dati attendibili. C'è interesse sia da parte dei buyer sia dei consumatori e prevediamo sicuramente una crescita, ma si dovranno attendere riscontri più tangibili nel medio-lungo periodo». Le prospettive di questo mercato ancora embrionale restano interessanti: «C’è un’aspettativa di crescita anche legata alle norme del Codice della strada (in Italia) e alla presenza di una fascia di popolazione che vuole sperimentare nuove tipologie di prodotto. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non è solo il tema della gradazione alcolica ad avere attenzione ma anche quello dell’incidenza calorica del vino, legata a problematiche salutistiche ed è per questo che sta emergendo anche questa nicchia dei vini low calories».

Anche per Giovannini nessun rischio per i vini tradizionali: «Escludo una cannibalizzazione. In futuro - conclude - la categoria no-low potrà rappresentare una piccola percentuale dei consumi». Infine, quanto all'esclusione di Dop e Igp dal decreto Masaf sui vini dealcolati, il dg Giovannini parla di «approccio corretto perché è doveroso - spiega a Tre Bicchieri - cogliere nuove opportunità di mercato, ma nel contempo dobbiamo tutelare la qualità e il prestigio che le Doc e le Igt garantiscono ai consumatori».

Francesco Giovannini, direttore generale Mezzacorona

Cavit monitora i vini low calories

In fase di sperimentazione c'è Cavit, altra grande realtà trentina da 253 mln di euro di ricavi nel 2023/24, che per la seconda parte del 2024 ha continuato a puntare sul segmento spumanti e che intravede un 2025 stabile, ma collegato alla variabile dazi Usa. Enrico Zanoni, direttore generale, spiega come la cooperativa (oltre 5.200 soci viticoltori e 11 cantine associate) si sia già mossa nel segmento no-low, sviluppando progetti negli Usa, e stia «attualmente testando anche soluzioni zero alcol in altri mercati esteri». Come riferisce lo stesso Zanoni, in particolare negli Usa, si osserva un interesse «spesso legato non tanto al basso contenuto alcolico in sé, quanto al minor apporto calorico. È un aspetto interessante che stiamo monitorando».

Guardando al futuro, Cavit predica prudenza sulle strategie societarie: «Il nostro approccioa questi nuovi vini è graduale e mirato, con progetti pilota per verificare l'effettiva risposta del mercato prima di eventuali sviluppi e investimenti. Il settore è in rapida evoluzione. Diversi aspetti sono ancora da valutare, dalla percezione del consumatore alla modalità di comunicazione». Per quanto riguarda il decreto Masaf, Zanoni definisce «prematuro aprire una discussione sulla dealcolazione di Dop e Igp, dato che - osserva - i disciplinari di produzione di queste denominazioni prevedono parametri molto precisi e rigorosi, tra cui specifici gradi alcolici minimi». In Italia, il decreto sui no-low è un «passo importante - dice Zanoni - per non precludersi opportunità future, ma è ancora prematuro fare previsioni sui volumi. Sarà importante fare ricerche ad hoc per comprendere se il target è pronto a recepire queste novità: se consumatore tradizionale di vino o un pubblico nuovo. La strategia è testare le opportunità, senza accelerazioni eccessive, mantenendo sempre alto il livello qualitativo».

Enrico Zanoni (foto Daniele Panato/Agenzia Panato)

Il forte interesse di Caviro

Pur non producendoli, guarda con interesse al mercato no-low, dove intende inserirsi a breve, il gruppo Caviro, con 385 mln di euro di ricavi nel 2023/24 (rispetto ai 423 del 2022/23, ma con indici finanziari stabili), e trend positivo nei volumi nell'ultimo quadrimestre 2024. Cosa dire, innanzitutto, del freno a Dop e Igp nel decreto Masaf? Secondo Giampaolo Bassetti, la questione andrebbe «valutata rispetto agli effetti sulla competizione internazionale, dove i produttori stranieri possono avvalersi del nome del vitigno anche sui prodotti low e zero alcol e la normativa Ue consente la dealcolazione, sebbene parziale sia sugli Igp che sui Dop, contrariamente all’attuale normativa nazionale». «Coniugare innovazione e tradizione» è l'obiettivo in materia di vini no-low alcol, afferma il dg. «Le prospettive per questa categoria emergente, sia all'estero sia in Italia, meritano attenzione strategica. Se ne consumano nel mondo circa 2,5 mln di ettolitri su 220 mln, cresce rapidamente e tale dinamismo suggerisce che mercati come Usa e Germania offrono opportunità significative».

E in Italia? «Il fenomeno è meno sviluppato, non per questo meno rilevante. Sebbene i consumatori italiani abbiano una forte tradizione legata al vino classico - osserva Bassetti - emerge un crescente interesse per i prodotti no alcol, che potrebbe aprire spazi». Pertanto, questo trend «potrebbe diventare strategico nei prossimi anni e non lo possiamo ignorare, soprattutto considerando che i grandi player internazionali stanno già investendo in modo significativo». Nulla da temere, secondo il dg di Caviro, per i vini classici: «I due prodotti sembrano destinati a momenti di consumo diversi. Nei principali mercati esteri, dove i no-low vengono consumati regolarmente, non emerge la preoccupazione che il vino tradizionale perda terreno. Questo perché, più che competere, le due categorie si completano, rispondendo a esigenze diverse dei consumatori. La chiave - conclude - sarà comprendere e valorizzare questa complementarità, offrendo prodotti coerenti con le aspettative dei consumatori».

Giampaolo Bassetti, direttore generale di Caviro

Marchesi Antinori e il rifiuto per i prodotti no-low

Su posizioni nettamente differenti troviamo Marchesi Antinori. Il «no» ai vini dealcolati e low alcol dello storico brand toscano, che nel 2024 ha chiuso con ricavi a 265 mln di euro (+7%), con una stima a +3% per il 2025, sembra suonare come una difesa delle tradizioni, ma anche un legittimo scarso interesse dal lato imprenditoriale: «Non vedo la categoria dei no-low alcol come un'opzione per la nostra azienda e per le nostre produzioni. Tuttavia - spiega l'amministratore delegato, Renzo Cotarella - è un mercato in forte crescita, soprattutto all’estero, per cui può essere un’opportunità anche per il vino italiano. Il decreto del Masaf che esclude Dop e Igp è condivisibile, perché c'è una tradizione che deve essere mantenuta».

Renzo Cotarella, amministratore delegato Marchesi Antinori

Cotarella, poi, allarga lo sguardo al tema del potenziale viticolo nazionale: «I vini no-low possono essere una strada verso cui dirottare eventuali sovrapproduzioni di vini comuni che stentano a trovare mercato. In questo modo, si potrebbero evitare estirpazioni di vigneti che qualcuno chiede e che finirebbero per depauperare zone del Paese nelle quali non ci sono alternative redditizie alla viticoltura». Come anche per altri manager, i no-low non presentano secondo la Marchesi Antinori rischi di cannibalizzazione del vino tradizionale, anzi devono essere considerati «un'ulteriore freccia all'arco del vino italiano. Tuttavia - conclude Cotarella - avrei preferito non chiamarli "vino". Purtroppo, si è deciso di consentirlo e pertanto sarebbe opportuno prevedere una chiara definizione in etichetta».

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