Da bevanda dei nonni a re della mixology: la nuova vita del Vermouth di Torino

30 Gen 2025, 09:05 | a cura di
Presente nei cocktail più amati dagli italiani, la denominazione torinese adesso punta alle carte dei vini e alla GenZ. Il direttore del Consorzio Pierstefano Berta: "Siamo pure low alcol"

C’è stato un tempo, alla fine dell’800, in cui il Vermouth di Torino era, come ricorda Pierstefano Berta, studioso del vino e direttore del consorzio, «il primo prodotto enogastronomico italiano nei mercati» e il collegamento tra il prodotto e la città era talmente stretto che i consumatori chiedevano direttamente “un Torino”. In epoca recente, il Vermouth è un po’ passato nel dimenticatoio salvo poi riacquisire fama e notorietà grazie al successo della mixology, mentre altre regioni italiane (come la Toscana) ambiscono a creare il proprio vino aromatizzato. Nei cocktail più diffusi - Negroni, Americano, Martini - è obbligatoriamente presente.

Il cambio di passo 

La svolta avviene proprio durante la pandemia, e quasi coincide con il 2019, data dell’ottenimento della indicazione geografica protetta (e della nascita del consorzio): oggi è l’unico Vermouth al mondo ad avere tale riconoscimento secondo un preciso disciplinare (elaborato con vini italiani e aromatizzato con assenzio piemontese, erbe officinali e spezie). «A partire dal 2018 abbiamo avuto una crescita media annua nelle vendite del 24,7%. Una crescita che dimostra il grado di apprezzamento da parte del pubblico. Sono sempre più i locali che lo richiedono e che vogliono averne più di una tipologia. Questa ripresa ha generato un giro d’affari notevole, partendo da 32 milioni di euro nel 2018 e chiudendo il 2024 con 172 milioni di euro».

I dati dell’Agenzia delle Dogane confermano il salto. Nel 2018 erano stati prodotti poco più di un milione e 800 mila litri per un totale di poco più di 2 milioni e 400 mila bottiglie. L’ultima rilevazione del 2024 certifica una produzione complessiva di poco più di 5 milioni di litri pari a 6 milioni e 800 mila bottiglie da 0,75 l.

Portare i Vermouth italiano sotto il marchio Torino

Sempre sotto il profilo economico, il Vermouth di Torino continua ad aumentare ogni anno il suo valore. Spiega ancora Berta: «Nel gennaio del 2018 il prezzo medio di vendita nel mondo di una bottiglia era pari a 17,92 euro, nel gennaio di quest’anno il prezzo medio ha raggiunto i 25,20 euro. A ciò si aggiunga la crescita del Vermouth italiano che sale dagli 8,96 euro del 2018 ai 13,09 di quest’anno». I numeri dimostrano, oltre alla crescita diacronica, che, sui bracci della bilancia, prestigio, storia e qualità pesano molto di più a favore del prodotto specifico di Torino. E qui parte la prima sfida futura del consorzio del Vermouth di Torino. «Attualmente, sotto il nostro marchio ricadono 6 milioni di bottiglie. Ma almeno dieci milioni sono le bottiglie non classificate. Il nostro obiettivo è quello di portarne una larga parte sotto l’ombrello di Torino. Se riuscissimo a portarne anche solo la metà sarebbe un grande successo», afferma Roberto Bava, il presidente del consorzio.

«Attenzione però - aggiunge: il Vermouth non è un salvagente per il vino che non riusciamo a vendere». È chiaro comunque che un aumento dei volumi del Vermouth di Torino permetterebbe alla denominazione e al consorzio (che oggi conta 40 produttori associati) di giocare un ruolo da protagonista nel commercio mondiale degli alcolici di origine italiana.

Il presidente del consorzio del Vermouth di Torino Roberto Bava, a sinistra, e il direttore Pierstefano Berta

Più Vermouth nelle carte dei vini

Se il momento è abbastanza favorevole anche all'estero (il 65% del Vermouth di Torino prende la via dell’esportazione in 82 paesi, soprattutto negli Stati Uniti d’America e nel Regno Unito), non è tutto oro quel che luccica. Nel corso della giornata speciale “Il Vermouth di Torino a Torino” del 24 gennaio scorso presso la sede Ais di Torino, è emerso per esempio che il Vermouth non è presente nelle carte dei vini, nemmeno in quelle dei locali torinesi che spesso ospitano gli spritz ma non i vermouth. «Nemo propheta in patria, purtroppo, ma l’educazione è la chiave», assicura il vicepresidente del consorzio Matteo Bonoli dell’azienda Fratelli Branca, produttrice del Vermouth Carpano. «Entro fine anno la nostra azienda metterà in pista la Carpano Academy. Diverse aziende hanno una propria academy, serve fare una rieducazione, in più il consorzio ha istituito gli ambasciatori del Vermouth: per adesso sono 7-8 ma il numero è destinato a crescere».

Per finire, il consorzio ha anche promosso nel corso del 2024 la campagna Aperitivo Mediterraneo, in collaborazione con i consorzi del  Limone di Amalfi, quello del Pecorino toscano e quello delle Olive greche. L’obiettivo? Promuovere un aperitivo tipico, genuino e autentico che è perfino un “aperitivo agricolo”, come lo definisce Bava.

La sfida dei giovani

Ma la vera sfida è quella dei giovani. Fino a un recente passato, il Vermouth era percepito come la bevanda dei nonni, un prodotto ossidato da carrello del supermercato. Adesso il consorzio punta sulle nuove generazioni: grazie alla mixology l’identikit del consumatore potrebbe avere tra i 28 e i 40 anni. Il problema  - ammettono molti dei produttori presenti alla giornata di Torino - è che molti giovani lo consumano nei cocktail ma nella gran parte dei casi non sanno che il loro bicchiere contiene pure del Vermouth, almeno per una certa parte.

«Fra i giovani più consapevoli c’è un maggiore interesse ad approfondire rispetto al passato. Con loro si può parlare, per esempio, di botaniche e sono disposti ad entrare nei dettagli», spiega Giorgio Bava, ultima generazione della famiglia che, oltre a produrre vino a Cocconato d’Asti, è titolare di Cocchi e Chazalettes, due marchi storici del vino aromatizzato torinese. «Certo, dobbiamo pure ammettere che nei mercati esteri c’è una maggiore apertura in tale direzione. I consumatori americani e britannici sono più preparati: intanto sanno che devono metterlo in frigo», aggiunge. In ogni caso, continua, «il covid ha cambiato molto le abitudini di consumo. In quei mesi le persone si sono portate il Vermouth a casa: in fondo i cocktail non sono poi così difficili da fare». Insomma, «dobbiamo far capire anche agli italiani che in frigo il prodotto è più fresco e piacevole e che, al di là dei cocktail, si può apprezzare semplicemente con soda e limone». Sul punto, chiude con una battuta il presidente del consorzio: «il Vermouth è un passo avanti, con ghiaccio e soda siamo pure low alcol».

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