"Sauternes? Per ora i cambiamenti climatici non incidono sulla muffa, ma il futuro è incerto”. Intervista al wine maker di Chateau d'Yquem

21 Mar 2025, 12:09 | a cura di
Lorenzo Pasquini, estate manager di Chateau d’Yquem: i vini muffati o passiti vanno benissimo con piatti e cibi salati

Lorenzo Pasquini, italiano doc, ad appena 35 anni è il wine maker del più prestigioso vino dolce al mondo, Chateau d’Yquem, fiore all’occhiello della sigla francese del lusso LMVH. Oggi che il mercato di questi vini è entrato in crisi, proprio questo giovane enologo è il protagonista della svolta che potrebbe ridefinire il loro ruolo e nuove prospettive per il futuro… a partire dal “salato: nei vini, ma anche e soprattutto negli abbinamenti.

Lorenzo Pasquini (foto Deepix)

Intervista al wine maker di Chateau d'Yquem

Per Lorenzo Pasquini inizia una nuova avventura, a Chateau d'Yquem, uno dei vini più famosi, importanti e costosi al mondo. Una nuova pagina per i vini dolci che ci facciamo raccontare direttamente dal giovane protagonista…

Lorenzo, lei è piuttosto giovane per la posizione che occupa. Come si trova nel nuovo percorso a Chateau D’ Yquem e soprattutto, come ci è arrivato?

Sono cresciuto tra Roma e la Maremma dove mio padre, quando avevo 11 anni, ha cominciato a costruire un vigneto intorno alla casa di famiglia con l’idea di fare un’azienda. Grazie a lui e a questa sua impresa folle mi sono reso conto di cos’era il vino, e me ne sono lasciato affascinare a tal punto da decidere di assecondarlo in questa follia. Sono andato a Pisa a studiare enologia. Poi, però, quella di fare vino in Maremma è rimasta un’idea: ho terminato gli studi a Bordeaux e non sono più tornato. La mia prima posizione da enologo è stata in California; poi a Margaux da Chateau Palmer e per quattro anni in Argentina da Cheval des Andes, dove sono entrato in contatto con il mondo LMVH e con Pierre Lurton, il supervisore di tutte le tenute vinicole del gruppo (tra cui anche Chateau d’ Yquem, ndr). Successivamente sono tornato in Europa per riavvicinarmi alla mia famiglia e ho lavorato tra Bordeaux e la Toscana, gestendo Chateau Giscours e la sorella italiana Caiarossa. La chiamata da Yquem è arrivata in maniera inaspettata: dopo dodici mesi che ero lì, Lurton mi ha contattato, chiedendomi di sostituire il direttore che stava andando in pensione. Da lì è cambiato tutto!

Le avrei chiesto se avrebbe mai potuto fare una carriera simile in Italia, ma mi pare che, grazie a Caiarossa, un ritorno nel Belpaese, per quanto breve, ci sia stato…

Si esatto, ho provato ad avvicinarmi a casa quanto più possibile. Poi però è arrivato questo treno imprevisto ed era impossibile non salirci. All’inizio mi dicevano “ti mancherà fare vini rossi!”. Ma in realtà sono entrato in un modo fantastico, con al centro quello straordinario paradosso della natura che è la muffa nobile: il peggior nemico dell’uva che, grazie all’effetto della ventilazione, si trasforma in qualcosa di totalmente diverso e dà al vino una seconda vita.

Chateau d'Yquem

Domanda d’obbligo, visti i tempi e visto l’anno appena trascorso che sembra sia stato il più caldo nella Storia: è ancora facile a Sauternes avere una muffa nobile perfetta, nonostante il cambiamento climatico?

Per ora non ci sono problemi: qui siamo alla frontiera della valle della Garonna che agisce come un freno all’effetto degli influssi climatici di un’altra zona vicino a noi: l’immensa foresta delle Landes di Guascogna. Questa foresta porta aria molto fredda e umida che crea le condizioni per la nebbia: così inizia la contaminazione da muffa, che però poi è stoppata dai venti che la trasformano in muffa nobile. Per ora questo fenomeno avviene senza problemi, anzi negli ultimi anni a Sauternes abbiamo fatto più spesso vini di alta qualità rispetto al passato. Chiaramente il futuro è incerto ed è probabile che le cose cambieranno nei decenni a venire. La nostra attenzione è incentrata sul fare in modo che la muffa nobile continui a esistere, malgrado il cambiamento climatico.

Yquem è all’intersezione tra due situazioni molto critiche: quella di Bordeaux e quella del vino dolce. Ma si dice che le leggende non conoscano crisi: è vero?

Non è vero che i miti non soffrono la crisi, ma l’ondulazione del Sauternes – e di Yquem – è molto diversa da quella di altri vini. Per prima cosa i vini dolci non andrebbero tutti inseriti nello stesso calderone: è un mondo assai complesso. Quanto a Sauternes, questa zona ha già vissuto una crisi molto prima del resto di Bordeaux e ha già trovato chiavi per reagire. A dire il vero, l’attuale congiuntura ci favorisce: infatti siamo l’unica zona di Bordeaux dove il valore del vino sfuso aumenta di anno in anno. E questo è indicatore di un certo fermento. Direi che c’è stato già un importante rinnovamento del substrato umano e che siamo nella fase post-crisi: abbiamo un mercato abbastanza stabile. E, in generale, i Sauternes sono vini meno speculativi rispetto ai rossi bordolesi, da consumo più che da investimento: crescono più lentamente nei momenti di boom, ma rallentano meno bruscamente in quelli difficili.

Sicuramente uno dei vostri vantaggi è che in Francia i vini dolci si bevono in più occasioni rispetto all’Italia, dove il loro momento è solo col dessert o a fine pasto. Ma c’è davvero chi beve regolarmente una bottiglia di Yquem a tutto pasto?

Proprio regolare, l’abbinamento a tutto pasto non lo è. Ma sicuramente esiste una tradizione di bere Sauternes all’aperitivo. Per esempio alla Vigilia di Natale qui è d’obbligo cominciare con Sauternes e foie gras. Nel bordolese, poi, una cosa molto tipica è il poulet du dimanche (ovvero pollo arrosto, in genere con le patate, ndr) che tradizionalmente si accompagna al Sauternes. Gli altri piatti si abbinano solitamente seguendo la convenzione anglosassone di abbinare secco al salato e dolce al dolce, fatta eccezione per i formaggi. Ma ci sono molti modi per sconfessare i preconcetti e noi facciamo molta comunicazione con questo obiettivo specifico.

So che organizzate delle cene con chef molto importanti…

Non solo. Abbiamo proprio individuato delle “lighthouse”, ovvero dei ristoranti che propongono Yquem al calice con dei piatti salati. L’Osteria Francescana di Modena è uno di questi e Massimo Bottura è anche venuto da noi a cucinare. Ma ce ne sono almeno una quarantina sparsi in tutto il mondo.

 Qualche abbinamento tra il Sauternes e i piatti della cucina italiana?

Be’ i più belli per me sono quelli con gli gnocchi gorgonzola e noci, con i tortelli alla salsa di parmigiano e formaggi erborinati. E poi con il Culatello o con un Parmigiano Reggiano molto stagionato.

Quindi tutti piatti della cucina sostanziosa del Nord…

Non per forza. Però, per trovarne uno del sud o del centro Italia, dovremmo incontrarci in un ristorante e fare delle prove. Ripeto, non si corre nessun rischio nel testare il vino dolce con qualunque piatto: basta avere un vino in cui la dolcezza non sia l’unico elemento, ma una tra tante componenti. E comunque, c’è una grande storia di abbinamento tra Sauternes e cibi diversi dai dessert: del resto questi vini esistono da 400 anni, mentre il binomio dolce-dolce di scuola anglosassone è diventato la norma solo nell’ultimo secolo.

Torniamo alle questioni tecniche. Com’è stata l’annata 2023?

Per me è la terza di una bellissima trilogia: è raro che a Sauternes si abbiano annate molto positive una dopo l’altra come 2021, 2022 e 2023. Tra le tre, la 2023 è forse la più completa perché ha la complessità della calda 2022 (che sta uscendo ora) e la freschezza della 2021. Lavoriamo in biologico, ma nonostante questo siamo riusciti a gestire bene la peronospora, quindi anche la quantità è buona.

Invecchiamento: Yquem è per antonomasia il vino che si beve molto tardi. Ma è ancora la norma aspettare tantissimo tempo oppure il momento del consumo è cambiato?

Non sono d’accordo sul fatto che Yquem si beva per forza tardi. Sicuramente ci sono annate vecchissime che regalano ancora enormi emozioni: è da sempre un vino che viaggia attraverso il tempo. Ma questo non significa che non sia buono da subito: io invito sempre ad assaggiarlo senza paura dopo uno o due anni dal rilascio. Diciamo che in una bottiglia di Yquem convivono due anime: una più fresca e suadente, espressa in gioventù, e un’altra, più terziaria, più istituzionale, che emerge quando svanisce la prima. Alle due fasi si addicono anche momenti e abbinamenti totalmente diversi. Un Yquem giovane è perfetto all’aperitivo, mentre uno più evoluto sta ancora meglio con i piatti già citati.

Domanda spinosa: la solforosa molto alta è un altro enorme problema dei vini dolci, specie i muffati. Avete trovato un modo di ridurla?

Certo che sì. Oggi riusciamo a metterne la metà rispetto a una ventina d’anni fa. Ovviamente per i Sauternes i rischi sono considerevoli e per questo i solfiti diventano essenziali, ma si possono ridurre lavorando nella maniera migliore possibile in vigna e in cantina: le 2022 e 2021 sono le annate che ne contengono di meno in tutta la storia di Yquem. Fare ricerca e sviluppo su questo fronte è necessario non solo per le richieste di mercato, ma anche per avere vini il più possibile cristallini. Oramai, in ogni caso, siamo molto vicini alla dose “normale” he si usa per i vini bianchi secchi.

Italia contro Francia. C’è qualcosa che i francesi potrebbero imparare dagli Italiani e gli italiani dai francesi?

È una domanda molto politically incorrect!… In realtà credo che siano due Paesi simili, forse più di quanto si pensi, per cui non ti saprei dire. La cosa migliore è continuare a provare ammirazione reciproca. In Francia c’è tanto interesse per il vino italiano e viceversa. Anche per il Sauternes l’Italia è un mercato importante: non di grande valore, ma di grande qualità, perché in ogni regione esiste una cultura del vino dolce derivante da quelli della tradizione – Vinsanti, Recioti, Passiti e via dicendo – che si estende ai vini degli altri territori.

I vini francesi che destano meno interesse in Italia al momento sono proprio i rossi di Bordeaux. Visto che ha lavorato anche in aziende del Medoc, c’è modo di riportarli in auge?

Credo che la percezione dei rossi di Bordeaux non sia quella giusta: si ritiene che sia una zona senza grandi novità e senza vigneron dove non c’è attenzione all’ambiente. Ma la verità è che Bordeaux è piena di produttori bio e biodinamici e di persone – enologi, tecnici, ma anche proprietari di Chateau – che passano la loro vita in vigna e in cantina. Un altro grande paradosso è che in questo momento Bordeaux ha la qualità media più alta di sempre: non sono mai stati fatti tanti vini così buoni. E non sono solo i soliti: lo scenario è molto più dinamico di quanto si pensi!

Fuori da Bordeaux, qual è il suo vino preferito?

Ho sempre difficoltà a rispondere a questa domanda, perché il vino è come i brani musicali: ce n’è uno per ogni momento. Amo l’Etna, i bianchi tedeschi, i grandi di Loira per me sono commoventi, quelli del Rodano anche. Ho assaggiato vini californiani degli anni ‘70 che hanno toccato le mie corde. E non saprei chi scegliere: è come chiedere chi preferisci tra Beatles, Elvis Presley e Otis Redding. Dipende dal momento.

A Yquem che canzone abbinerebbe?

Due canzoni: Sitting on the dock of the bay di Otis Redding con un Yquem più vecchio, magari bevuto da solo; ed If I can dream di Elvis Presley, con un Yquem più giovane e servito in un contesto più conviviale.

Last but not least… immagino che prima o poi tornerà a fare vino in Maremma. Ha intenzione di produrre anche lì vino dolce?

Se il territorio lo consentirà, perché no!

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