C’è chi è pronto a giurare che, dopo il servizio di Report “Piccoli Chimici”, per il vino niente sarà come prima. Per altri, invece, la trasmissione di Raitre ha semplicemente scoperto l’acqua calda, facendo passare pratiche già conosciute e legali per scandalose, accostandole magistralmente ad azioni, invece, vietate. Per fare chiarezza e capire le vere intenzioni del servizio ne abbiamo parlato direttamente con il conduttore Sigfrido Ranucci, portandogli le istanze del mondo del vino che, dopo l’inchiesta, si è sentito sotto accusa, senza le dovute distinzioni del caso.
Qual è la parte che l’ha colpita di più dell’inchiesta che avete mandato in onda?
Il fatto di correggere la qualità dell’uva. Non tanto le sostanze che non sono legali, quanto quelle che lo sono e che dovrebbero essere usate solo in determinate circostante, ma finiscono per essere usate sempre.
È da qui che è partita l’idea del servizio andato in onda il 17 dicembre? O avete avuto segnalazioni da parte di qualcuno?
Noi l’agroalimentare lo tocchiamo sempre. Il vino in particolare è un mio pallino da diverso tempo. Due estati fa ho provato a farlo a partire da un pergolato di uva bellone che ho in campagna, ma non è venuto fuori un buon prodotto. Allora alcuni contadini della zona mi hanno spiegato che non basta avere l’uva, ma ci vogliono una serie di correttivi: dai fermenti alla betonite. E da lì mi son chiesto se davvero chi fa vino usasse tutta questa roba. Così ho deciso di approfondire l’argomento. In questi giorni, dopo il servizio, ho letto articoli in cui si dice che la bentonite è naturale e non interferisce sul sapore. Io, invece, quando l’ho usata il suo sapore l’ho sentito, così come quello dei lieviti: non è vero che non sono così impattanti.
Però molte di queste sostanze, tra cui i chiarificatori, si usano per tante altre cose, per esempio anche per i succhi di frutta. E la pratica non ha mai scandalizzato nessuno.
Per carità, non è un problema di chimica: alla fin fine tutto è chimica. Più che altro servirebbe più trasparenza. Far sapere al consumatore cosa si usa e cosa no. Per esempio, io ho scoperto la differenza tra vino imbottigliato all’origine e non. Cosa, quest’ultima, che consente ad una cantina di imbottigliare un vino che non ha prodotto.
Questo, però, è scritto in etichetta. A questo servono i conferitori. Nel servizio, a tal proposito, si è parlato di Sassicaia, ma non è stato specificato che in quel caso la dicitura imbottigliato all’origine c’è…
Sì, ma come abbiamo detto in trasmissione i numeri della cantina non tornano. Mi chiedo, Sassicaia o meno, da qualche parte finiranno tutte queste quantità di vino Primitivo che partono dalla Puglia? Questa cosa del taglio dei vini del Nord con i vini del Sud per dare più zucchero e corpo me lo hanno confermato anche i Nas.
Ne abbiamo scritto anche noi. Ma non su certi vini importanti come Sassicaia. Nella trasmissione non si parlava di Veneto?
(ride). Beh, io sfido i degustatori a trovare tutta questa differenza tra una bottiglia di Primitivo - parlo di un marchio conosciuto e pure abbastanza buono - e il Sassicaia: forse qualcosa di simile dentro c’è.
Beh, sono vini molto diversi. Ci sta dicendo che il Sassicaia viene fatto o tagliato anche con il Primitivo? O magari si parla di altri vini aziendali?
Mi fermo qua. Per questo ci vuole la documentazione necessaria. Ma diciamo che il taglio del vino è un fenomeno noto e direi anche collaudato, altrimenti non avresti il mediatore in un noto bar pugliese pronto a metterti in contatto con chi può fornirti uva da tavola. Ma torneremo sull’argomento in modo più dettagliato.
Nel senso che tornerete a parlare di vino a breve?
Esattamente, ci sarà una nuova puntata a cui stiamo lavorando. Come spesso accade, dopo alcune inchieste ci arrivano, oltre alle critiche, anche delle segnalazioni molto interessanti. Per cui andremo ad approfondire i temi già trattati, ma stavolta riguarderanno alcune aziende vitivinicole importanti.
Ne sarà contento il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida. A proposito, l’ha poi chiamata così come aveva annunciato?
Sì, l’ha fatto. D’altronde lui fa bene a difendere il comparto: è il suo lavoro. Io, però, faccio il mio, che è dire le cose come stanno a chi paga il canone Rai.
Lollobrigida, però, oltre a difendere il settore ha anche detto che lei è un “nemico in casa”. È così che si sente?
Me lo ha ripetuto al telefono, ma tra virgolette. Il punto è di quale casa parliamo. Per me la Rai è la casa degli italiani.
Non le è sembrato una sorta di editto bulgaro quello di Lollobrigida?
A quello ci sono abituato. È dal 2000 che vivo sotto editti. Ho iniziato con Gasparri che chiedeva il mio licenziamento dopo l’intervista a posteriori a Borsellino e mi ritrovo ancora con lo stesso Gasparri che mi convoca dopo 23 anni in Vigilanza Rai.
L’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, invece, l’ha accusata di aver screditato le eccellenze italiane. Sensi di colpa?
Onestamente prima di pensare al settore, penso al consumatore che ha il diritto di leggere in etichetta quello che sta bevendo. Ad ogni modo, credo che questo Paese abbia la memoria corta. In passato abbiamo anche parlato del marchio San Marzano usato impropriamente in America, così come succede con il Chianti e altri vini. Credo che noi abbiamo difeso il Made in Italy più di quanto abbiano fatto l’Italia e l’Europa.
Secondo lei, in un altro Paese, come ad esempio la Francia, un servizio del genere – che mette in difficoltà e scredita un intero comparto - lo avrebbero fatto?
Noi, come Report, lo avremmo fatto, ma probabilmente non avremmo trovato un Ministro che ci bacchettava.
Torniamo ai produttori. Il presidente di Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, che non si è sottratto alle vostre domande, ha detto che è la vostra è stata “un’occasione mancata per il servizio pubblico” in cui sono state confuse pratiche perfettamente legali con altre illegali, additivi chimici con prodotti dell’uva consentiti.
Noi abbiamo solo raccontato le pratiche che – legali o meno – vengono seguite. Lui ci accusa di aver messo troppe cose assieme. Forse son troppe le cose che vengono messe nel vino. Secondo me bisogna fare riflessione più alta. Le obiezioni che ho sentito è che Report ha scoperto l’acqua calda e che certe pratiche sono già conosciute oltre ad essere legali. Ma allora qual è il problema? Premesso che il consumatore a mio avviso è rimasto sorpreso perché non sapeva cosa davvero ci fosse in una bottiglia di vino, la verità è che abbiamo tolto la maschera in teatro ad uno dei protagonisti e, come dice Erasmo da Rotterdam, in questo modo la realtà è stata sbattuta in faccia a tutti.
La realtà, in questo caso, è oltre all’uva ci sono altri ingredienti che entrano nel processo di produzione?
È una parte della realtà. Se davvero non fosse un problema dirlo, perché gli additivi non vengono scritti in etichetta?
Un’etichetta più chiara potrebbe essere un’arma in più nelle mani dei produttori?
Quello sarebbe un bel traguardo. Oltretutto se tutte le informazioni fossero in etichetta, allora scatterebbe quella cosa per cui ogni produttore si sentirebbe incentivato a usare meno prodotti. Solo così emergerebbe chi è davvero più bravo a fare vino.
Oggi secondo lei chi è più bravo? Il futuro è dei vini “naturali”?
Ho cercato di documentarmi sulla categoria di naturali ed ancestrali. Certo bisogna vedere anche in questo caso quando ci sia davvero di naturale, però un fatto da cui partire c’è: chi si professa produttore di vino artigianale, produce molto meno vino di chi non lo è. Credo che il segreto della qualità sia nelle piccole quantità.
Proviamo a guardare oltre. Cosa si aspetta dopo un’inchiesta del genere? Qual è quella cosa che le farebbe dire “sono davvero contento di aver fatto luce su questo argomento”?
Penso a quello che qualche anno fa accadde con il mondo della pizza. Allora fummo accusati di aver rovinato tutto in settore e demonizzato un’eccellenza italiana. Da lì, però, partì una rivoluzione legata alla pizza contemporanea: senza farine raffinate e con forni a gas ben puliti. Oggi quel modello è diventato realtà.
Merito di Report, quindi?
È anche merito di Report.
Seguendo la rivoluzione della pizza, dal vino cosa si aspetta adesso?
Il fine ultimo dei nostri servizi è il miglioramento. Io credo che il vero problema è che in Italia si produce troppo vino. Ma, essendo il vino un piacere, bisognerebbe puntare di più sulla qualità e cambiare filosofia: meno additivi, meno coltivazioni intensive. Mi piacerebbe che tutto l’agroalimentare cambiasse lo sguardo.
Parlando dello sguardo di Report, mi permetta un appunto: una cosa che mi ha colpito è che in un servizio dal titolo “I piccoli chimici”, mancassero proprio quelli che, in senso buono, possono essere definiti come tali, ovvero gli enologi (vedi commenti di Cotarella) ?
Non è che tutti muoiono dalla voglia di parlare con Report. Evidentemente ci sono cose che non vogliono dire.
Quindi ci avevate provato a sentire qualche enologo che vi ha detto di no?
Bisognerebbe chiedere a chi ha fatto il servizio. Ma come dicevo prima, ci saranno altre occasioni. Magari in futuro potremmo sentire qualche enologo pentito.
Invece, la domanda che tutto il mondo del vino si sta facendo è “chi è Franceso Grossi”? Perché affidare la narrazione ad un quasi sconosciuto?
È un produttore (Fattoria Ca’ Nova), che per anni ha fatto vino per puristi. Uno dei suoi vini è stato scelto da Massimo Bottura in abbinamento ad uno dei suoi piatti. Inoltre, è stato tra coloro che hanno diretto la cantina Settecani di Castelvetro in provincia di Modena.
Domanda a bruciapelo. Dopo un servizio come quello di Report, lei da consumatore continuerebbe a comprare vino?
Lo comprerei, ma con più consapevolezza.
Ci tolga una curiosità: ha un suo vino preferito?
In realtà, non ne bevo molto.
E il suo vino Bellone continua a produrlo?
No, quest’anno la peronospora è stata devastante. Se fossi stato un produttore seriale mi sarei aiutato con mosto concentrato o altro, ma io ho preferito saltare l’annata.