«Il problema è che ormai i vini si fanno a tavolino, senza correre rischi» afferma al Gambero Rosso il produttore romano Piero Riccardi, tra i protagonisti della puntata di Report che andrà in onda il 18 febbraio su Raitre, con il titolo di Nemici in casa. «Tutto il sistema ha finito per omologarsi a un gusto standard: dagli enologi, ai consumatori fino ad arrivare alle commissioni di degustazione».
Da Report alla vigna, chi è Piero Riccardi
Riccardi, con una carriera da giornalista alle spalle (portano la sua firma anche alcuni servizi per lo stesso Report) e una da scrittore davanti (l’ultimo suo libro si chiama L’enigma Cesanese), produce il suo vino certificato biologico e secondo a Olevano Romano nella Cantine Riccardi Reale (iscritte all'associazione Vinnatur): 5 ettari per 20mila bottiglie, tra Malvasia Puntinata, Rosato Lazio Igt, Riesling e Cesanese di Olevano Romano Doc. Quest’anno, però, il Cesanese non lo farà: «In annate come questa non è facile. Mi rifiuto di comprare vino da altre zone, come invece fanno molti produttori. Se l’annata non è quella giusta, inutile ricorrere ad aggiustamenti».
Come funzionano le commissioni di degustazione
Per il produttore-scrittore è tutto il sistema ad essere sbagliato. Sistema che considera solo determinati tipi di vini e ne rifiuta altri. Il meccanismo è semplice, spiega Riccardi: «Se uno, due o tre produttori iniziano ad usare un determinato lievito selezionato, allora quello diventerà il riferimento per il riconoscimento di quella specifica Doc da parte delle commissioni di degustazione che, dopo aver assaggiato dieci vini tutti uguali, tenderanno a scartare quello un po’ diverso, che magari è frutto di fermentazioni spontanee o si presenta con un colore più torbido. Così chi fa vini diversi e più territoriali finisce per essere scartato perché ritenuto fuori norma, com’è successo ad alcuni colleghi che producono vino naturale all’interno di Doc blasonate. Ma lo stesso meccanismo vale per i corsi di degustazione; ci si tara su un gusto particolare e tutti i produttori sono costretti a replicarlo se vogliono piacere».
Il ruolo dei lieviti nell'omologazione del vino
In ultima analisi, quindi, il problema è il mercato. Un mercato che chiede sempre più grandi numeri e omologazione. «Ma chi lo ha detto che grande è bello?», si chiede Riccardi. «C’è anche un altro modello economico che va oltre i grandi accentramenti monopolistici, ed è quello basato sulle piccole produzioni. Purtroppo, l’attuale modello di mercato è quello che prevede di abbassare i costi insieme alla qualità. Ma così ad avere la meglio sono le multinazionali che detengono i brevetti della chimica».
Il riferimento, come si vedrà nella puntata di Report, è anche a chi detiene i brevetti di mosti concentrati o lieviti selezionati. Vedi il caso del lievito 71B che, spiega il produttore: «Conferisce al vino degli aromi marcati lì dove è carente di sostanze aromatiche o di una propria personalità».
“Enologi troppo appiattiti sulla tecnica”
Considerazione a parte meritano gli enologi (l'inchiesta di Report riporta anche il punto di vista di Riccardo Cotarella). «Io non ce l’ho con la categoria ma credo che si siano troppi piegati e appiattiti sulla tecnica», spiega il produttore, «anzi proprio a loro rivolgo il mio invito ad aprirsi a vini non omologati: invece di applicare i protocolli dei laboratori, sono sicuro che si divertirebbero di più tra fermentazioni spontanee e lieviti naturali. D’altronde si sa, le fermentazioni controllate producono solo vini standardizzati. E io credo che, invece, il compito dell’enologo sia quello di tirare fuori il vino da un’uva e da una vigna specifica. Solo così si tornerebbe a fare vini veramente di territorio».