Non c’era bisogno di essere esperti di vino per capire che l’ultima inchiesta di Report avrebbe scatenato un terremoto a Pantelleria. La trasmissione di Sigfrido Ranucci, già nota per la sua incursione nel mondo dei grandi del vino italiano, ha acceso i riflettori sul Passito di Pantelleria di Donnafugata, ponendo un quesito: chi sono i "furbetti" di Pantelleria che fanno uso di “serre” per l’appassimento dell’uva? Per fare chiarezza sulla situazione siamo andati a sentire la voce di diversi vignaioli panteschi, tra chi, come la cantina Marco De Bartoli, il passito – con non poca fatica – cerca di produrlo ogni anno.
La risposta di cantina De Bartoli
Sebastiano De Bartoli, seconda generazione a capo della cantina Marco De Bartoli, ci accoglie senza troppi giri di parole: «La situazione è complessa e non si è mai fatta chiarezza. Sono trent’anni che se ne parla e ancora non esiste una definizione precisa di cosa sia lecito e cosa no». Per il produttore, l’equivoco sul disciplinare della Doc Pantelleria nasce da un punto chiave: le coperture per l’appassimento dell’uva vengono chiamate genericamente “serre”, ma non tutte le serre sono uguali. «Report sta facendo una battaglia tra puristi e presunti furbi, ma la verità è che molti di quelli che oggi puntano il dito usano a loro volta strutture di copertura: ce li hanno nascosti e non lo dicono», ammette, «certo, c’è differenza tra un fruttaio ben aerato e un tunnel chiuso che potrebbe alterare alcune caratteristiche dell’uva. Ma il vero problema del Passito di Pantelleria non è questo».
Secondo De Bartoli, l’inchiesta di Report ha colpito il bersaglio sbagliato: «Oggi a Pantelleria ci sono appena cinquecento ettari di vigneti, contro i circa 5mila di sessant’anni fa. Non è la serra il problema, ma il fatto che senza di essa, con i cambiamenti climatici, il Passito si farebbe una volta ogni cinque anni, forse». Aggiunge, poi, che il Consorzio non ha mai richiesto di regolamentare le coperture e che i controlli non hanno mai evidenziato irregolarità. «Se non si possono usare queste strutture, dateci un’alternativa valida. Dobbiamo decidere se vogliamo che il Passito di Pantelleria sopravviva o meno», afferma il produttore.
Sull'isola tutti vendono le uve a Pellegrino
«Ai produttori panteschi che attaccano Donnafugata e Pellegrino va chiesto chi, senza di loro, avrebbe comprato l’uva rimasta sull’isola», continua il produttore, che poi aggiunge: «Le cantine sociali di Pantelleria sono fallite, sono rimaste solo le grandi aziende a sostenere la produzione. Si poteva discutere di regole più chiare per i viticoltori diretti, ma attaccare il sistema senza proporre alternative è solo un autogol». Su questo tema, anche alcune dichiarazioni fatte su Report, come «le serre raddoppiano la temperatura» o che esse siano un sistema forzato, Sebastiano De Bartoli risponde: «C'è chi ha fatto il paladino della giustizia a Report ma poi in estate va a vendere l’uva a Pellegrino».
Nel calderone mediatico, c'è, però anche un'altra questione che non va giù a molti, e riguarda il ruolo di Antonio Rallo, a capo di Donnafugata ma anche del Consorzio Sicilia Doc. «Il problema vero è che si è valorizzato più lo zibibbo Doc Sicilia che il Doc Pantelleria», fa notare De Bartoli. Ma questa è un'altra storia.
Una questione di terminologia
Il produttore siciliano torna, poi, sulla questione serre con una proposta: «Chiamiamoli fruttai, non serre. Io ho investito molto per avere strutture adeguate, con aperture laterali per garantire la qualità del prodotto. Se mi basassi solo sull’appassimento al sole, non potrei produrre ogni anno passito», dice senza mezzi termini. Il problema, secondo De Bartoli è che si continua a parlare di piccole questioni, perdendo di vista un quadro generale più problematico: «Report si è soffermato su un dettaglio, e specifico, un dettaglio», osserva il produttore.
Lungi dal voler intralciare il lavoro dei viticoltori, De Bartoli si mostra deciso a intervenire dall’interno del consorzio, di cui fa parte: «Mi muoverò per far migliorare questi aspetti, perché le lotte si fanno dall’interno, non dall’esterno», e auspica che venga definita una terminologia più precisa, preferendo il termine «fruttaio» a “serra” o “copertura”, per eliminare le ambiguità che alimentano polemiche infondate e pregiudizievoli.