«Non so chi sia stato l'autore della definizione di Pantelleria come l'isola dei veleni dolci. Io l'ho sempre trovata geniale e molto aderente alla realtà». Parola del giornalista Andrea Gabbrielli, profondo conoscitore della viticoltura pantesca a cui ha dedicato diverse pagine del suo libro Il vino e il mare – Guida alla vite difficile delle piccole isole e che ha raccontato per molti anni, sul Gambero Rosso e sul settimanale Tre Bicchieri, i retroscena di questi ultimi 50 anni della produzione vitivinicola dell’isola. Oggi ci aiuta a ricostruire i passaggi più importanti che hanno portato alla situazione attuale e alla puntata di Report che, con qualche approssimazione di troppo, ha puntato il dito contro i due grandi nomi dell’isola: Donnafugata e Cantine Pellegrino.
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Il ruolo dell'azienda Pellegrino nella viticoltura di Pantelleria
Le diatribe o i veleni, se preferite, risalgono a molti anni indietro e vedono da sempre due schieramenti: un gruppo di piccoli/piccolissimi produttori con un forte senso dell'individualità difensori di una tradizione di cui si sentono defraudati e il Consorzio di tutela, con poco meno di una decina di produttori associati – che si confrontano con il mercato e la comunicazione.
«La Carlo Pellegrino è una grande azienda (Benedetto Renda è l'amministratore delegato ma è anche il presidente del Consorzio di Pantelleria, ndr) che ha una visione sicuramente industriale – spiega Gabbrielli – ma da sola regge praticamente la viticoltura pantesca, perché agisce come una sorta di cantina sociale comprando le uve prodotte in poco più di 400 ettari da 322 viticoltori che altrimenti non avrebbero altre possibilità. Ogni anno la Pellegrino, che acquista a prezzi di mercato, una parte importante delle uve prodotte, immette nell'economia dell'isola circa un milione di euro». Il conferimento delle uve, seguendo il ragionamento del giornalista, consentirebbe quindi ai piccoli produttori di continuare a trovare uno sbocco e quindi di continuare la viticoltura. D'altra parte senza reddito, i vigneti sono destinati all'abbandono.
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Le “serre” sono strutture che servono a salvare l’uva
«Donnafugata – continua il giornalista – rappresenta un unicum sull’isola: con oltre 68 ettari tra proprietà e affitto, di cui 10 tutti nella stessa area (Khamma ), è di fatto autosufficiente e ha portato avanti un lavoro egregio, non solo riuscendo a dare valore alla sua produzione (Ben Ryé) ma portando in giro per il mondo il nome del Passito di Pantelleria. Risultato che molti altri non sono riusciti ad ottenere». Anche perché, diciamolo: la viticoltura di Pantelleria è viva per miracolo, mentre i consumi di vini dolci – lo abbiamo scritto più volte – sono ridotti ai minimi. Se ai tempi d’oro (anni Cinquanta) sull’isola si produceva qualcosa come 500mila quintali di uva, oggi la produzione di uva Doc 2022 è stata di 28mila quintali mentre l' annata 2023 ha di poco superato i 17mila qli.
L’uso delle “serre” di cui parla Report, per Gabbrielli è assolutamente pretestuoso (come hanno dichiarato anche alcuni produttori dell'isola sentiti dal Gambero Rosso): «Sono degli stenditoi che assicurano l’arieggiamento continuo, ma in sicurezza come previsto dal disciplinare di produzione. Infatti, se piove all’improvviso, l’uva in appassimento, senza un’adeguata copertura, rischia di essere attaccata dalle muffe. L'azienda ha anche dei tunnel che si basano sullo stesso principio. Ma si sa, il successo a Pantelleria non si perdona».
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Quei produttori panteschi definiti “angeli matti”
Alla base dei dissapori, emersi davanti alle telecamere di Report, ci sarebbe, quindi, la solita dicotomia: piccoli contro grandi. Per esempio, Ketty D’Ancona, sentita da Report come testimone contro i grandi nomi dell’isola, è una piccola produttrice da sempre fuori dal Consorzio di tutela: «Ha una visione molto individualista. Così come altri produttori è allergica a fare squadra. Ma come si fa a sopravvivere in un’isola difficile e sperduta come Pantelleria senza fare squadra?», si chiede Gabbrielli. L’ex sindaco Vincenzo Campo (5Stelle), dal canto suo «si è sempre dichiarato contrario al Consorzio. Abraxas (l’altra cantina sentita da Report, ndr) oggi è della famiglia Scudieri, i fondatori del Gruppo Adler Pelzer che hanno a disposizione 15 ettari di vigneto (in produzione), la collaborazione della Famiglia Cotarella e capitali da investire. Ma in passato era la cantina dell’ex ministro dell’Agricoltura Calogero Mannino. In seguito a uno sgarro, la produzione stivata nelle vasche fu sversata e andò completamente persa. Per l’azienda fu un colpo terribile e fu messa in vendita. Ma ci volle tempo prima di trovare qualcuno che la comprasse».
D’altronde Pantelleria non è proprio il posto per fare business. Luigi Veronelli, a tal proposito, aveva lanciato la definizione dei produttori dell’isola come “Angeli matti”. «Parliamo di una viticoltura che non si può meccanizzare, fatta in condizioni estreme, con la piovosità ridotta al minimo, venti di scirocco in agguato, e età dei vigneti e degli addetti molto elevata, per non parlare della bassa produttività». L’uso delle pseudo serre è probabilmente l’ultimo dei problemi.
![Pantelleria Doc Festival](https://static.gamberorosso.it/2019/09/pantelleria-doc-festival-6-800x380.jpg)
L’ultimo strappo con la Doc Sicilia
Ma c’è un altro episodio che può spiegare ancora più a fondo i dissidi sull’isola. «Al di là delle diatribe storiche, molti dei problemi recenti – rivela l’esperto – sono nati nel momento in cui si ventilò la possibilità di un ingresso nel Consorzio Doc Sicilia (presieduto proprio da Antonio Rallo, ndr) che avrebbe, tra le altre cose, praticamente azzerato i costi per tenere in piedi l’ente consortile dell’isola, usufruire dei fondi Ocm e per la promozione, in cambio della menzione geografica Doc Sicilia da apporre facoltativamente in etichetta. Nonostante la delibera del Consorzio con l’89% dei voti favorevoli, arrivò la diffida del sindaco di allora Campo (lo stesso sentito da Report), che chiese le dimissioni del presidente Renda e dell’intero consiglio di amministrazione. Contro la Doc Sicilia fu presentato un ricorso firmato da un gruppo di piccole aziende pantesche tra cui anche quella di Salvatore Murana (nonostante fosse associato allo stesso Consorzio dei vini di Pantelleria), in difesa dell'identità di Pantelleria e "contro l'omologazione", che secondo i firmatari sarebbe derivata dall'operazione. Così non si andò avanti».
Probabilmente, però, quella ferita (insieme all’intento velleitario di sciogliere il Consorzio) non si è mai risanata. Il resto è cronaca, infarcita da un po’ di sano populismo a uso e consumo delle telecamere di Report per gridare allo scandalo. Uno scandalo che non rende giustizia a nessuno di quegli “angeli matti” di Veronelli che nella viticoltura di Pantelleria ancora ci credono e che provano a darle un futuro.