Che il Friuli Venezia Giulia sia un territorio elettivo per la realizzazione di grandi vini bianchi è risaputo. Non stupisce pertanto che diverse etichette del Collio goriziano abbiano conquistato anche quest’anno i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Ma la notizia questa volta è che su cinque Collio Bianco premiati ben due riportano in etichetta la dizione “vino da uve autoctone”. Ma che cosa significa? E da dove viene l’esigenza di questa puntualizzazione?
Il rischio di perdita di identità
«Il Collio bianco con le uve autoctone - friulano, malvasia e ribolla gialla - è stato il primo inserito nel disciplinare del 1964: non l’abbiamo inventato noi, non abbiamo nessuna esclusiva. Negli anni ’90 emergono alcuni big che personalizzano il prodotto aggiungendo sauvignon e chardonnay, meno il pinot grigio che aveva già il suo mercato galoppante. Così, nel 1991, il consorzio (che proprio quest'anno festeggia i 60 anni di vita, ndr) decide di cambiare il disciplinare permettendo l’inserimento dei vitigni internazionali. Ma così, aggiungendo pinot grigio, chardonnay, sauvignon, pinot bianco e riesling, il Collio ha perso identità. In questo modo si crea confusione: il Collio bianco non è più il marchio del territorio ma diventa il vino di punta del marchio aziendale». A parlare è Fabijan Muzic, giovane titolare dell’azienda omonima, che ha ricevuto, per la prima volta, i Tre Bicchieri per lo Stare Brajde 2022: appunto un Collio Bianco da uve autoctone.
Come nasce il progetto "vino da uve autoctone"
«A partire dal 2008-2010 - continua Muzic - rinasce una richiesta di autoctoni a livello nazionale. Ma il Collio bianco è il meno identitario dei vini del territorio, perfino meno degli internazionali». Così, riparte una appassionata discussione a livello consortile dalla quale deriva, dopo la metà del decennio scorso, l’idea di «un vademecum per elevare il Collio Bianco da uve autoctone e con affinamento più lungo a Gran Selezione. Alla fine il cda di quel tempo accantona il progetto, ma molte aziende sull’onda dell’entusiasmo hanno cominciato a vinificarlo così, facendo tesoro del dibattito in assemblea», racconta Muzic. Di fronte all’impasse, tre pionieri decidono di andare avanti da soli. Si tratta di Andrea Drius di Terre del Faet, Kristian Keber della cantina omonima e, ovviamente, Fabijan Muzic. «Sapevamo che Alessandro Dal Zovo della Cantina di Cormons si fosse appassionato al tema, così andammo a trovarlo. Un incontro che ci sorprese. Dal Zovo disse: o facciamo una cosa forte o non facciamo nulla, facciamo un’etichetta comune. Non immaginavamo che il direttore della cantina sociale fosse così determinato», racconta Muzic.
L'ideatore del progetto
«Confermo tutto», sorride Dal Zovo, direttore della Cantina Produttori di Cormòns. «La nostra cantina (che ha conquistato i Tre Bicchieri con il Collio Bianco da uve autoctone 2022, ndr) ha sempre fatto il Collio bianco con blend di friulano, malvasia e ribolla gialla, fedeli alla prima tipologia del disciplinare. Il progetto con le altre tre cantine è nato davanti a un bicchiere di vino. Non ci conoscevamo ma ho detto: diamoci regole e restiamo uniti. Oggi il progetto, iniziato nel 2018, è diventato realtà sulla base di quattro norme: usare solo la bottiglia del consorzio, esibire in etichetta il logo Collio prima di quello aziendale, partire da una base del 50% di friulano e il resto malvasia e ribolla gialla, garantire 18 mesi di affinamento. Ma non abbiamo scoperto niente: l’idea della Gran Selezione era già questa». Da quel momento aderiscono al progetto altri produttori, da Korsic a Buzzinelli a Marcuzzi, e il gruppo si allarga sempre di più. In totale una decina di produttori per 110mila bottiglie.
Le resistenze del Consorzio
Ma non mancano le resistenze. «Il Consorzio fino a sei mesi fa non voleva sentirne parlare, ma noi non siamo contro, anzi lavoriamo per tutti: il nostro sogno è che il Consorzio sposi il progetto. Del resto, siamo nei parametri del disciplinare, usiamo la bottiglia consortile e la scritta Collio. Né vogliamo impedire agli altri di fare il proprio Collio con vitigni internazionali. Ma se avessimo aspettato i tempi consortili sarebbero trascorsi 15 anni», spiega Muzic. E allora cosa dovrebbe fare il Consorzio? «Potrebbe creare un Collio con un nome diverso - classico, superiore, da uve autoctone - ed elevarlo a Docg. Se l’assemblea andasse in questa direzione, il consorzio potrebbe andare avanti». Gli fa eco Dal Zovo: «Il fatto che due Collio bianco da uve autoctone abbiano conquistato i Tre Bicchieri mostra che siamo sulla strada giusta: tutte le degustazioni fatte in giro per l’Italia ce lo confermano. C’è voluto coraggio imprenditoriale perché abbiamo perduto un’annata, ma io ho ci ho sempre creduto. Il progetto è partito in sordina ma il Consorzio ha capito che crescerà: ora è importante che lo faccia suo e diventi un vino bandiera». Il dibattito si sposta quindi nelle sedi ufficiali consortili. «Finora abbiamo fatto con le nostre forze, ora il progetto deve passare tramite il Consorzio - continua Dal Zovo - Il disciplinare lo permette, bisogna dargli una valenza superiore, ma ciò che già esiste non va cambiato. Nel nostro gruppo ci sono due consiglieri, Fabijan Muzic e Andrea Drius, che potranno lavorare in questa direzione. La nostra ambizione più grande è che domani non si debba più chiedere come è fatto il Collio bianco».
Le ostilità da parte degli altri produttori
Molti produttori però non sono d’accordo e restano legati alla loro versione aziendale del Collio bianco. «È vero, il problema non è il Consorzio, ma alcuni produttori che temono di perdere visibilità di fronte a questa novità - ammette Dal Zovo - così come è vero che il Collio bianco possa essere un blend aziendale come prevede il disciplinare, ma il nostro obiettivo è fare un vino che leghi il territorio alla sua storia». Lo conferma anche Muzic: «Ci sono posizioni molto dure ma va bene convivere. Addirittura alcune aziende non fanno il Collio bianco perché non si vende. Vendere i varietali in purezza è più facile, ma così restiamo sempre soggetti alle mode: la fortuna della ribolla gialla è durata dieci anni, ora è finita ed è il momento del friulano. Noi vogliamo creare un vino del territorio, come succede per Barolo o Franciacorta, con l’orgoglio di chi produce i migliori bianchi italiani. Ma ci sono grandi aziende ostili a questo progetto. MOlte di loro sostengono che a dare carattere distintivo ai vini della denominazione non sia il blend dei vitigni, ma la ponca, ovvero il suolo tipico dell’area, caratterizzato dall’impasto di marna e arenaria stratificatesi nel corso dei millenni. Diverso il punto di vista di Fabijan Muzic: «Il tratto identitario del territorio è rilevante perché dona ricchezza, salinità e lunghezza ai vini ma gli autoctoni sono molto diversi».
Il sogno di Muzic
Avverte Muzic: «Quando andiamo alle degustazioni tutti chiedono: ma il Collio bianco non dovrebbe essere fatto solo con gli autoctoni? La gente ha capito prima di noi che doveva essere così, pena la mancanza di identità del territorio. Così è molto più facile comunicare al consumatore e se partiamo da una base comune creiamo più sistema». Insomma, il gruppo dei promotori del Collio da uve autoctone non teme il confronto e rilancia. «Intanto se ne parla ed è già un grande successo. Se mai si arriverà all’obiettivo, sarà un grande risultato. Nel frattempo, abbiamo fatto parlare della denominazione in modo positivo», spiega Dal Zovo. Che avvisa: «La nostra non è una lotta: abbiamo concordato con il consorzio una comunicazione che non crei scompiglio. Non c’è un’idea migliore dell’altra: a noi interessa solo riportare alla luce le uve autoctone. Ma se il consorzio non farà nulla per cambiare il disciplinare noi continueremo a farlo ugualmente». Intanto, parlano i numeri. Messi insieme i produttori che hanno puntato sul blend di friulano, malvasia e ribolla, si arriva a 110-120 mila bottiglie di Collio bianco da uve autoctone. «Per una denominazione così piccola, si tratta di numeri importanti», conclude Dal Zovo.