Fino a due milioni di euro per un ettaro di vigneto in Piemonte per produrre Barolo Docg, un milione di euro per il Brunello di Montalcino e per la prestigiosa Doc Bolgheri, in Toscana, circa 900mila euro per un terreno vitato a Doc nell'area altoatesina del Lago di Caldaro, 600mila euro per un vigneto nelle colline del Prosecco per i vini della Docg Conegliano Valdobbiadene, fino ai 100mila euro per l'areale emergente della Doc Etna in Sicilia e ai 140mila di vigna terrazzata nell'isola di Pantelleria. Il mercato italiano delle compravendite dei terreni agricoli privilegia l'alta qualità, soprattutto nel comparto vitivinicolo e insiste sui vini più blasonati. Soprattutto su quelli del Centro-Nord, capaci di attrarre gli investimenti degli imprenditori meglio che in altre zone del Paese.
Le quotazioni vitivinicole meglio del resto dell'agricoltura
Il quadro che emerge dall'ultimo rapporto del Crea (Indagine sul mercato fondiario) indica che il vitivinicolo fa un po' meglio della gran parte dei segmenti del settore primario, ma anche che il contesto resta per tutti molto complicato. La sensazione generale è, da un lato, che le aree di pregio proseguano un cammino relativamente tranquillo ma, dall'altro lato, che tutta l'agricoltura si stia muovendo a diverse velocità, a seconda del segmento considerato, che sia olivicolo, cerealicolo o florovivaistico. Il vino di alta e di altissima qualità, tutto sommato, resta un oggetto del desiderio, con i prezzi che sono in generale tenuta. Ma il mercato non si può certo definire altamente dinamico. Ciò che sta preoccupando gli analisti è, piuttosto, la tendenza all'erosione del valore reale della terra.
Chi sale e chi scende
Facendo un confronto, seppur non esaustivo, sui trend dei prezzi dei vigneti per ettaro tra 2023 e 2022, emerge una sostanziale stabilità dei valori, con lievi correzioni al rialzo delle quotazioni nei livelli massimi come, ad esempio, sui vigneti a Doc nella zona di Gattinara, in Piemonte (da 95 a 100mila euro/ettaro), in Friuli sui Colli Orientali (da 100 a 110mila). Il Barolo, da "listino", arriva fino a 2 milioni di euro, anche se la cronaca delle ultime acquisizioni ci racconta un'altra realtà, con cifre da capogiro che arrivano anche al doppio.
Tra le zone viticole emergenti, che tra l'altro presentano caratteristiche di una viticoltura eroica, emerge il +13% dell'area Doc in zona Chambave, in Valle d'Aosta, con una crescita dei valori massimi per ettaro da 150 a 170mila euro. Zona di nicchia ma che sta acquisendo una certa importanza, anche grazie ai riconoscimenti nella Guida Vini d'Italia del Gambero Rosso, che anche nell'edizione 2025 ne ha riconosciuto l'alta qualità. Sostanzialmente stabili, poi, i prezzi in Emilia Romagna, con un lieve calo delle quotazioni dei vigneti meccanizzati in provincia di Modena (da 85 a 80mila), si rileva l'incremento dei prezzi in Toscana per la produzione di Brunello di Montalcino, coi valori massimi saliti da 900mila euro/ettaro del 2022 a 1 milione di euro/ettaro del 2023; significativo l'aumento per i vigneti Doc Bolgheri, oggi a 1 milione di euro/ettaro rispetto ai 700mila del 2022. Da segnalare, sempre in Toscana, che la quotazione massima di un ettaro vitato per Rosso di Montalcino vale 200mila euro, quasi quanto un ettaro a Chianti Classico (210mila) in provincia di Firenze.
In Umbria, ritocchi al ribasso per la Doc Montefalco (da 48 a 46mila euro/ettaro); nel Lazio, stabilità per la Doc Castelli Romani (100mila); in Abruzzo, piccoli aumenti per i vigneti Doc nelle colline di Chieti, Ortona e Roseto degli Abruzzi (da 60 a 65mila euro); in Campania, sono in lieve risalita, tra 2022 e 2023, i prezzi minimi di un ettaro di vigna a Doc nelle colline del Calore, di Avellino e dell'Irpinia centrale, con quotazioni in rialzo di circa il 15 per cento, anche per i terreni in zona Galluccio (Caserta). In Puglia, piccola flessione per i vigneti da vino in zona Doc Manduria (da 37 a 35mila euro nei valori massimi e da 23 a 21mila euro nei valori minimi per ettaro). In Sicilia, si valorizza il prezzo dei vigneti della Doc Etna, passando da 43 a 45mila euro nelle quotazioni minime e da 90 a 95mila euro/ettaro in quelle massime. Piccole correzioni al rialzo, infine, per i vigneti a Doc nel Parteolla, in Sardegna, e del Vermentino di Gallura Docg.
Valori dei terreni agricoli ad appena +1% sul 2022
Guardando in generale ai terreni agricoli, in Italia, nel corso del 2023, il prezzo medio (compresi i vigneti) è cresciuto dell'1 per cento rispetto al 2022. Si tratta del segnale di un «mercato fondiario statico - scrive il Crea - senza grandi variazioni delle quotazioni delle principali tipologie colturali». La media per ettaro rilevata è attorno ai 22.800 euro. Considerando i territori, i valori medi per ettaro continuano a presentare significative differenze. Il valore più alto (47mila euro) è nel Nord-Est, seguito dal Nord Ovest (37mila euro, +3%), mentre si registrano valori decisamente inferiori al Centro e al Sud, mediamente al di sotto dei 16mila euro. «Più numerosi sono gli scambi nelle aree agricole con maggiore reddittività delle colture, in particolare nelle zone viticole e frutticole del Nord - si legge nel rapporto - diversamente dalle aree interne e montane, dove l’offerta di terreni non trova riscontro sul mercato».
Mercato statico e incertezze
L'incertezza del contesto internazionale e l'estrema variabilità climatica hanno scoraggiato gli acquisti di terreni agricoli nel corso di tutto il 2023 in Italia, secondo lo studio del Crea politiche e bioeconomia (col supporto del Conaf). Le turbolenze internazionali hanno innescato la crescita dei costi di produzione, la redditività dei prodotti è scesa e ad andare in difficoltà sono state le imprese meno strutturate. Con quali effetti sul mercato fondiario? Secondo Andrea Arzeni (Crea-Pb), da un lato c'è stato «un aumento dell’offerta di terreni marginali», specie nelle aree interne, e dell’altro lato c'è stata una «crescita contenuta della domanda per i terreni vocati a produzioni di qualità». Considerando, poi, l'incertezza economica sul medio-lungo periodo e l’attesa per le nuove opportunità del Piano strategico della Pac 2023-2027, il volume delle compravendite di terreni nel 2023 «è stato limitato a favore del ricorso agli affitti da parte degli agricoltori».
L'affitto preferito all'acquisto
L'alta rischiosità di un investimento in agricoltura, in un contesto economico incerto, ha fatto preferire l'affitto all'acquisto dei terreni. Il trend è di lungo periodo. In Italia, la superficie agricola in affitto (6,2 milioni di ettari) negli ultimi trent'anni è più che raddoppiata, ricorda il Crea, con un +27% nell'ultimo decennio. Anche il progressivo aumento delle dimensioni medie aziendali (oltre 11 ettari) rinforza questa tendenza. Le imprese si sono ingrandite per accorpamenti e ricorrendo all'affitto. «La contrazione di aziende - scrive Davide Longhitano (Crea-Pb) in riferimento ai dati del Censimento Istat dell'agricoltura 2020 - ha riguardato prevalentemente quelle con soli terreni in proprietà, mentre sono aumentate le aziende con sola superficie in affitto».
Al Nord la domanda prevale sull'offerta
Ma cosa è successo nel 2023? Al Nord la domanda di terreni in affitto ha prevalso sull'offerta, incrementando i contratti e le superfici affittate, soprattutto per le colture di pregio. Nel vitivinicolo, spiccano i 3mila euro per ettaro annui dei vigneti di Moscato d'Asti, così come gli 8mila euro per quelli a Docg Valdobbiadene e i 7mila a Castagneto Carducci (Doc Bolgheri). I canoni d'affitto, in generale, sono risultati stabili, mentre la domanda è aumentata per i giovani agricoltori al primo insediamento e a causa della siccità, che ha costretto le imprese ad affittare più superfici per compensare le perdite di prodotto. Nel Centro Italia, molte piccole aziende sono state spinte dalla crisi economica a chiudere l'attività o cercare terreni in affitto, considerata la difficoltà di acquistare a prezzi alti. Anche nel Centro i canoni sono rimasti stabili, con prevalenza di affitti brevi. Nel Mezzogiorno, infine, è stabile il volume di affitti del 2023, l'offerta è superiore alla domanda specie nelle zone interne, con canoni invariati. Alcuni canoni minimi sono relativamente bassi, come i 600 euro annui per vigneti nella Docg Vermentino di Gallura, i 1.100 euro per vigneti a Salice Salentino Dop, i 650 euro annui per vigneti in collina della provincia di Campobasso.
Chi compra e chi vende
Chi sono gli acquirenti e chi sono i venditori? Il Crea, nel suo rapporto, spiega che ad acquistare sono prevalentemente imprenditori agricoli che vogliono ampliare le superfici da coltivare. Al loro fianco, anche operatori extra-agricoli, privati, in cerca di investimenti a basso rischio «anche se poco remunerativi». Per quanto riguarda i venditori, in primis, ci sono agricoltori in fase di cessazione delle attività, poi i proprietari terrieri privati spesso eredi di appezzamenti, disinteressati a coltivare. In generale, le compravendite sono mediate da un professionista di settore anche se è ancora diffuso, fa notare il Crea, l’accordo tra le parti senza alcun intermediario. Per quanto riguarda l'uso di terreni per produzione di energie rinnovabili, l'interesse è definito «sporadico ma crescente».
Effetto inflazione, scarsa liquidità e perdita di valore reale
Inflazione e difficoltà di accesso al credito sono tra i fattori che, per il Crea, determinano la generale lieve flessione nelle superfici agricole (non edificabili) acquistate nel 2023 in Italia, come evidenziato dai dati dell'Osservatorio immobiliare secondo cui, lo scorso anno, il trend è in controtendenza sul 2022 e il 2021, anni del recupero post-pandemico. Sono anche i dati della Banca d'Italia, relativi al 2023, a testimoniare la difficoltà nel reperire liquidità per gli investimenti in agricoltura. Le erogazioni 2023, ricorda il Crea, sono scese del 19% sul 2022, a 280 mln di euro, contro i 340 mln dell'anno precedente. Per quanto riguarda l'effetto inflazione, è vero che il tasso annuo è sceso dall'8,1% 2022 al 5,4% del 2023 ma «il leggero aumento dei prezzi della terra non ha evitato l’effetto erosivo sui valori in termini reali. Tale perdita di valore, combinata con la generale bassa redditività delle produzioni agricole - scrive il Crea - scoraggia chi non è interessato a effettuare investimenti fondiari o che non può o non intende cambiare l’ordinamento produttivo».