“Il biologico può essere una trappola con il clima che ci rema contro!”. La versione di Luigi Moio, presidente dell’OIV

19 Set 2024, 17:36 | a cura di
Il presidente dell'Oiv senza filtri anche su vini naturali, macerati, affinati sott'acqua o in anfora: "Così si sposta il focus sulle tecniche di produzione senza valorizzare il terroir. Il risultato è l'omologazione"

«Il biologico è stato creato a tavolino senza nessun fondamento scientifico», facendo un passo indietro «fino a 150 anni fa». L’accoppiata zolfo e rame «è stata proposta dappertutto, anche dove non è possibile farlo». Il risultato? «Le piante sono maggiormente esposte ad attacchi: l’uva sana non si riesce più a fare: un paradosso». A parlare senza peli sulla lingua, dall'evento Etna Days, è Luigi Moio, professore ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell'Università Federico II, ma anche presidente dell'Organizzazione internazionale della vigna e del vino.

Biologico - acini verdi - Foto di flockine da Pixabay

L'attacco di Moio al biologico

Produttore di vino egli stesso in Irpinia, Moio si occupa da oltre trent’anni degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell'aroma del vino. «È chiaro che alcune cose non è possibile farle dappertutto. Non è possibile pensare di portare avanti approcci meno precisi nella difesa della vite dagli attacchi della natura», insiste Moio. Attenzione, precisa, «non parlo di suoli: sono per la lavorazione dei suoli. Quelli non bisogna toccarli, devono vivere, quindi stop diserbo, ma da sempre». Il problema è un altro: la difesa della pianta. «Bisogna difendere la pianta da oidio, peronospora e botrytis. La pianta non si difende con i trattamenti biologici: vale per tutte le piante», continua il presidente dell’Oiv come un fiume in piena. «Il biologico, frutto della sensibilità per l’ambiente e la sostenibilità, è una trappola, perché le piante così sono più esposte, si stanno indebolendo. Adesso arriva in cantina uva imperfetta con vini improbabili. Infine, i vini non sono più identitari e se non c’è un’identità, diventa difficile», assicura Moio.

Le trappole applicate al vino

La metafora della trappola è presa in prestito dal libro di Vito Mancuso intitolato Non ti manchi mai la gioia dove il filosofo e teologo espone una «filosofia della liberazione per riconoscere e smantellare le trappole che ci attanagliano». Moio è convinto: «Anche il nostro mondo del vino è si trova di fronte a delle trappole». Oltre a quella del biologico, ne vede altre tre. Una di queste è il rapporto tra vino e salute. «Il vino è cultura ma è una bevanda percepita sempre più nell’immaginario collettivo generale come dannosa per via del contenuto di alcol», spiega Moio. Viceversa, bisogna dire che «è completamente diversa dalle altre, che l’alcol è il frutto della fermentazione, che il vino è stata assunto per anni per assumere acqua in modo sicuro visto che di acqua si moriva: quei 12 gradi alcolici sono stati sufficienti per aiutare gli esseri umani a evitare malattie», ricorda Moio, convinto che il vino «contribuisce ad aumentare la soglia del benessere mentale e sociale».

 

I nuovi stili di vino cozzano con il cambiamento climatico

Un’altra trappola è la ricerca di nuovi stili di vino. «È diventata una cantilena: i vini devono essere più leggeri, più freschi, più agili, meno colorati. Ma è una trappola perché il clima va in un’altra direzione», avverte Moio. Secondo l’esperto, «pure in Borgogna i vini sono sempre più concentrati. Il nerello mascalese è leggero e riconoscibile, ma il riscaldamento climatico va in altra direzione: maggiore concentrazione zuccherina, maggiore colore, più antociani, più tannini, ph più alti, acidità più basse, non resistenza dei vini all’ossidazione, vini affetti da invecchiamento precoce che deperiscono rapidamente, contrazione del carattere varietale». La soluzione non è quella di andare a piantare sempre più in alto o in altri territori senza vocazione. Serve piuttosto «sviluppare la ricerca scientifica» e «valorizzare quelle varietà autoctone dimenticate che diventano migliorative di varietà internazionali che oggi stanno soffrendo perché sono più precoci».

Vini naturali, macerati e ancestrali sono solo mode 

L’ultima trappola segnalata da Moio riguarda la produzione. «Il principio agrario basilare è la vocazione di un suolo. Non si può fare tutto dappertutto, è un delirio di onnipotenza», ammonisce. «Deve esserci perfetta sintonia tra la pianta il suolo e il clima. I grandi vini - aggiunge - sono solo quelli che si trovano in un grande terroir: sono longevi e non hanno bisogno di correttivi». Viceversa, «quasi ovunque ormai i vini sono buoni ma non durano nel tempo». Secondo il presidente dell’Oiv, sempre più il modo in cui si fa il vino prevale sul legame con il terroir: «Biologici, naturali, in cemento, in anfora, macerati, in ceramica, con i lieviti autoctoni, vegani, ancestrali: tutto ciò crea confusione, scivolare sulle tecnologie alimentari è la madre delle trappole». Moio denuncia la «beffa dell’omologazione sensoriale», legata a difetti, come la volatile, «che vengono fatti passare come parametri identitari». Nella contestazione delle mode, Moio segnala anche il ritorno ai franchi di piede: «Un’altra cosa che non sta né in cielo né in terra. Il portainnesto è uno strumento fondamentale per resistere nei suoli più aridi, cruciale per fronteggiare il cambiamento climatico. Ma con la storia dei franchi di piede, dopo anni che avevamo risolto il problema, sta ripartendo la fillossera: me lo hanno segnalato in tanti», racconta.

Le colpe della comunicazione

In tutto ciò, secondo il professore, una grande responsabilità ricade sulla comunicazione che «negli ultimi anni è stata confusionaria, contraddittoria, illogica, non fondata sulle conoscenze scientifiche. Pensiamo al vino messo sott’acqua: non c’è uno straccio di prova scientifica che ne dimostri la validità. Addirittura ho letto che qualcuno ha proposto di ascoltare il vino». Secondo Moio, «la comunicazione si è spostata sulla tecnica di produzione: ogni produttore dice “io lo faccio così”. Invece di parlare del terroir si parla della tecnica, spostando il discorso dalla terra alle tecnologie alimentari. Ma il vino è un atto agricolo, è agricoltura pura».

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