"Minus tamen, caudas vulpium imitata, alopecia". A parlare, o meglio, a scrivere è Plinio il Vecchio, autore di quella che possiamo considerare una formidabile enciclopedia ante-litteram, la Naturalis Historia, opera in 37 libri pubblicata nel 77 d. C. La citazione da cui siamo partiti è contenuta nel XIV libro, dedicato alla vite e al vino; l'autore sta parlando dei vitigni adatti alla coltivazione a pergola e si sofferma sul loro aspetto. Alcune di queste non sono molto belle a vedersi, ma non la vitis alopecis, che ricorda "le code delle volpi". È la prima volta che nella storia viene citata la coda di volpe.
Questo vitigno quindi, come tanti di quelli campani, ha origini davvero antiche e, come dimostrato, perfettamente attestate. Il problema, quando la storia è così lunga, è legato però alle tante sinonimie che si registrano nel tempo, spesso tra l'altro errate o smentite dalle successive indagini genetiche. Alcuni autori, per esempio, identificavano, in maniera non corretta, la coda di volpe con il pallagrallo bianco, autoctono del casertano, o con la coda di pecora. Attualmente, sembrerebbe smentita anche l'omonimia con un altro autoctono campano che si sta guadagnando la ribalta sul palcoscenico regionale, il caprettone, coltivato soprattutto sulle pendici del Vesuvio.
Fino a una trentina di anni fa la coda di volpe veniva utilizzata per stemperare le acidità degli altri vitigni a bacca bianca campani, soprattutto fiano e greco, ma anche falanghina. Poi, l'atteggiamento nei confronti del vitigno è cambiato: i viticoltori hanno compreso che anticipando un po' il periodo vendemmiale potevano consentire alla coda di volpe di mantenere una discreta acidità, pur portando le uve a maturazione completa. Il vitigno è diffuso in diversi areali campani, soprattutton nel Sannio e in Irpinia. E proprio da qui provengono le quattro etichette che vi consigliamo: sono vini reperibili sul mercato a meno di 20 euro inclusi nelle guide Berebene 2024 o Vini d'Italia 2024 di Gambero Rosso
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Intrigante la Coda di Volpe di Michele Contrada, fresca e piacevole. Gerardo Contrada è uno dei tanti artigiani che costellano e vivacizzano il panorama vinicolo dell'Irpinia. Negli ultimi anni i vini ci avevano convinto un po' meno ma per questa edizione abbiamo ritrovato una batteria molto interessante. Del resto le parcelle insistono in alcune delle migliori zone irpine.
Molto interessante la Coda di Volpe di Tenuta del Meriggio Dall'annata 2022 arriva un bianco dal carattere montano; emergono poi belle note di timo e pompelmo che conducono a una bocca agrumata, di grande pulizia e tensione. L'azienda, fondata nel 2010, in pochi anni è riuscita ad affermarsi sul palcoscenico della produzione vitivinicola irpina. La base produttiva è a Montemiletto ma i vigneti compongono un mosaico disseminato in alcuni dei migliori areali della zona
Il Coda di Volpe Vadiaperti di Traerte è un bianco che profuma di erbe aromatiche, prato falciato e fieno fresco; la bocca è precisa, succosa, arricchita da una bella verve agrumata che allunga il sorso e la persistenza. Nel 2011 Raffaele Troisi, già affermato viticoltore con Vadiaperti, l'azienda di famiglia, con Giuseppe, Irene e Claudio, fonda Traerte con lo scopo di valorizzare al massimo i vini irpini.
Irpinia Coda di Volpe 2022 Vadiaperti - Traerte
Zirpoli è una delle più buone Coda di Volpe che abbiamo assaggiato quest'anno. Erbacea e agrumata, è molto pulita; in bocca ha una bella pienezza e un affondo sapido da manuale. L'azienda di Giovanni Fiorentino si trova nel cuore della denominazione Taurasi, a Paternopoli, nell'Alta Valle del Calore, patria di rossi molto robusti e fitti. Se la produzione è nel solco della tradizione, la struttura che ospita la cantina è un modello innovativo di bioarchitettura, completamente costruita in legno da maestranze locali e perfettamente integrata nel territorio circostante. Nei pochi ettari vitati, suddivisi tra le contrade di Barbassano, Casale, Mattine e Candriano, si coltiva l'aglianico, con una piccola parcella dedicata alla coda di volpe.