«Se pubblico un post chiedendo “ti interessa una soluzione per affrontare il cambiamento climatico?”, le reazioni sono pochissime. Se invece chiedo: “ti interessa una soluzione per lo stress idrico della vite?” allora tutti si fanno avanti. Ma la risposta è sempre la stessa». Su Instagram ha 21.800 seguaci, è “The grapevine girl”, a seguirla sono soprattutto vitivinicoltori ma anche amanti del mondo del vino. Martina Broggio, laureata in viticoltura ed enologia, a quello in cantina ha preferito il lavoro in vigna e oggi ha una sua impresa, la “Soil Evolution”, che fa consulenza per la viticoltura sostenibile nei vigneti di tutta Italia e della California. Ah e la risposta alle due domande di cui sopra, i vignaioli ce l'hanno sotto i loro piedi: il suolo, ovviamente fertile. È quello che Broggio ha spiegato di recente anche a una trentina di piccoli produttori soci FIVI che da tutt'Italia si sono dati appuntamento nella Romagna post alluvione per capire come reimparare a conoscere a fondo i loro territori e quali strategie mettere in campo proprio per affrontare i cambiamenti in corso.
The grapevine girl
Trentacinque anni, di Treviso, Martina non è nata in una famiglia del vino. Però la nonna materna aveva un piccolo pezzo di terra e allora lei, mentre frequentava la scuola enologica di Conegliano, da ragazzina, ha trasformato quel piccolo campo a Silea, in un vigneto sperimentale. «Il vigneto “cento piante”, un mix di varietà, su cui facevo le mie osservazioni. Non l'ho mai trattato, vent'anni dopo ho capito che la vite è profondamente condizionata dalla vita microbiologica del suolo dove cresce». Martina ha scoperto così che quella era la sua materia, la difesa del terreno è diventata il suo lavoro. «Su questo fronte da dieci anni il focus è il microbiota: ciò che vediamo sopra suolo costituisce solo il 20% della biodiversità della terra, l'80% è sotto. È un mondo ancora inesplorato dove la ricerca deve ancora fare tantissimo».
Cosa sta succedendo nei vigneti italiani ed europei per effetto del cambiamento climatico?
In estate, già da diversi anni, il suolo può raggiungere anche i 70 gradi centigradi, i grappoli e la chioma 50 gradi. Il problema è che la vite sopra i 35 gradi centigradi non fa più fotosintesi e va in modalità di sopravvivenza. Di questo le aziende non se ne sono rese conto finché potevano risolvere i problemi in cantina.
Ovvero?
Chi fa grandi masse non ha mai potuto rendersi conto effettivamente del problema, fra i piccoli produttori c'è più sensibilità ma non è ancora abbastanza. Il clima sta cambiando più velocemente di quanto noi ci stiamo adattando e il meteo in sé non fa percepire esattamente il fenomeno, se per qualche settimana piove le persone perdono la percezione della siccità, se invece nevica per due giorni sembra tutto tornato alla norma, ma le falde e i fiumi hanno ormai livelli bassissimi di acqua. I fenomeni estremi sono il vero problema, il 2023 ad esempio ha avuto troppa acqua, e nei prossimi anni un grande problema sarà la grandine.
In che modo una vivace vita microbiologica del suolo può aiutare?
Di fronte a temperature sempre più elevate e allo stress idrico, vedo ancora i viticoltori fermi a una soluzione: l'impianto di irrigazione. Purtroppo questo atteggiamento proprio dell’uomo non funziona più: non basta una pastiglia per risolvere il problema. In futuro ci potrebbero essere condizioni per cui l’acqua sarà molto più importante per produrre cibo invece che per il vino. Bisogna ragionare in modo olistico su tutto il sistema; lavorare sul comparto microbico consente di avere piante più sane e forti che hanno bisogno di meno risorse perché utilizzano meglio la stessa quantità di nutrienti e di acqua presenti nel terreno.
Quindi in passato non è stato fatto...
Quando si è cominciato a usare fertilizzanti di sintesi si è avuta una grande risposta dal punto di vista produttivo. Ma questi concimi sono minerali, quindi sali, e vanno a creare problemi ai microorganismi: la cellula batterica “esplode”. I fitofarmaci sono in genere antifungini e hanno ricadute su diverse tipologie di specie. Insomma, se in un terreno morto metto del concime la pianta non riesce ad assorbirlo del tutto. Il problema è che nel frattempo ho inquinato le falde acquifere e l’aria: una molecola di protossido d’azoto vale come 298 molecole di CO2. La natura invece aveva già pensato a tutto: ci sono tante specie di microrganismi che possono fissare l'azoto necessario alla vita delle piante direttamente dall’aria. Se ci pensiamo, alle sequoie alte decine di metri nessuno ha mai dato del concime.
La salubrità, anche del vino, va quindi considerata a partire dalla vigna.
Grandi quantità di concimi di sintesi rilasciano gas climalteranti in atmosfera. I vigneti, soprattutto quelli di qualità, in realtà non richiedono grandi quantità di azoto, potrebbero vivere tranquillamente con quello che la natura fissa nel suolo da millenni. Perché dunque inquinare per produrre il fertilizzante, trasportarlo, distribuirlo e avere esalazioni, quando posso fissarlo naturalmente con l'aria e il lavoro dei microbi? Tenendo il suolo inerbito si incamera carbonio, e ogni punto percentuale di sostanza organica in più in un ettaro, consente di trattenere 168 mila litri di acqua nel suolo.
Sembrerebbe semplice...
«Tenere l’erba su un terreno non consente solo una termoregolazione maggiore, quello che fa la differenza è la presenza di microrganismi. Poi non basta solo far crescere l'erba, ma occorre ad esempio farla crescere al massimo dell'altezza, solo in quel caso infatti riesce a rilasciare il 40% della sua energia nel suolo, attraverso carbonio e zuccheri. Le piante sono più intelligenti di quello che pensiamo, siamo noi che non facciamo lavorare bene la loro intelligenza. Il rispetto per il suolo è doveroso. Punto. Non abbiamo tante alternative, continuare a maltrattarlo ci farebbe male anche senza cambiamento climatico. Il microbiota è la chiave del futuro».
A proposito di microbi: viene in mente il recente dibattito sui lieviti selezionati.
Una polemica inutile, ad esempio: per fare il pane uso il lievito di birra, che è un lievito selezionato. Crea un problema per la salute? No. Il vino è un prodotto dell'uomo e passa dalla fermentazione. Bisognerebbe concentrarsi su altri problemi. Anche tante sostanze usate in enologia per avere prodotto più stabile non sono materie prime che di per sé fanno male. E allora gli antibiotici nella carne allevata o nei salmoni per il nostro sushi e le modalità stesse in cui vengono allevati? Per l'uomo quello è un problema più serio se ci interessiamo di quel che mangia quotidianamente. Anche il microbiota umano sta peggiorando mangiando cibo confezionato, meno sano e vitale.
Gli agricoltori hanno protestato di recente in tutta Europa. Nel mirino c'era anche il green deal dell'Unione europea. Sono solo alcuni che non hanno capito la situazione, o il malessere è giustificato?
La protesta è giusta quando si parla di svalutazione del lavoro dell'agricoltore. Il consumatore lo sta capendo adesso riscontrando su di sé sempre più allergie, malattie metaboliche, sindromi, che derivano spesso dalla qualità di quello che si mangia. Eppure lo stesso consumatore non è disposto a pagare il giusto per quello che mangia. C'è un grande problema di cultura alimentare e della sostenibilità. La parte di protesta che riguarda il 4% dei terreni a riposo, magari per piantare alberi e siepi, invece non è giusta. Fino a oggi è andata bene, ma se non riduciamo emissioni non si raggiungerà nemmeno la remuneratività corretta. Tante aziende stanno cambiando rotta, ma il problema è che la maggior parte ancora non si rende conto. La negazione è ancora molto spesso la prima reazione, ma nel cambiamento climatico ci siamo dentro. Le soluzioni ci sono basta metterle in atto.