I risultati delle ultime degustazioni ci regalano unโUmbria in grande spolvero. Crescono le Denominazioni che negli anni si sono sapute ritagliare un ruolo di spicco nella viticoltura regionale, grazie anche a unโazione impeccabile dei consorzi. Piรน ombre che luci arrivano invece da tanti (troppi) Igt generici di cui non si capisce bene il senso. Un tempo erano i vinoni bandiera di tante aziende, badavano piรน a dimostrare la loro potenza che a mettere in luce aspetti varietali o territoriali. Ora hanno davvero poco senso e non rendono omaggio a una regione che stupisce sempre di piรน.
Vini dell'Umbria: le grandi conferme
Partiamo con ordine e iniziamo con le conferme. Avevamo giร scritto mesi fa della performance di Montefalco, ย area vinicola davvero sfaccettata che mette in luce, oltre al Sagrantino, il Rosso (ottenuto prevalentemente da sangiovese), il Bianco col Trebbiano Spoletino sugli scudi e il Montefalco Grechetto. Una zona capace quindi di offrire diverse tipologie, molto diverse da loro, ma segnate da un grande territorio. Se il Sagrantino sembra aver trovato una sua finezza e una sua sfaccettatura, attraverso estrazioni ponderate e uso dei legni appropriato, โlโaltroโ Rosso รจ sempre piรน protagonista del comprensorio specie quando si utilizza il sangiovese per la quasi totalitร dellโuvaggio (il disciplinare ne prevede fino a un massimo dellโ80% e saldo di sagrantino e altre uve autorizzate).
Orvieto, Grechetto, Montefanco bianco: cresce il panorama bianchista umbro
Tra i bianchi cresce il Montefalco Bianco e sono sempre piรน i produttori che puntano (a ragione) sul trebbiano spoletino, varietร che convince sia nelle versioni piรน fresche e giovani, sia in quelle affinate per piรน anni, senza dimenticare quelle che giocano la partita puntando su misurate macerazioni sulle bucce. Anche il Grechetto si conferma ottimo bianco: la varietร segna molto le peculiaritร del vino, ma il tratto montefalchese si fa comunque sentire.
A proposito di bianchi e di Grechetto, andiamo a Orvieto. Qualche mese fa abbiamo partecipato a una grande verticale organizzata dal Consorzio. Bottiglie coperte, aziende diverse, per un messaggio chiaro. LโOrvieto รจ un grande bianco italiano e โ se fatto a dovere โ non ha di certo paura di invecchiare. Le degustazioni fatte di recente confermano ciรฒ, ma dovrebbero essere di piรน le aziende che scommettono sullโinvecchiamento dei loro bianchi, anche e soprattutto tramite la messa in commercio delle selezioni piรน importanti a un anno (almeno) dalla vendemmia. Se non ci credono i produttori, perchรฉ dovrebbero farlo i ristoratori e i consumatori?
Torgiano, Ciliegiolo, Gamay, piccole star tra i vini rossi dellโUmbria
Torniamo su rossi per sottolineare lโottimo livello della piccola Doc Torgiano: poche le aziende, pochi i vini, ma senza dubbio validi per quella che fu la scommessa (vinta da tempo) della cantina Lungarotti. Anche qui troviamo una bella espressione del sangiovese, diffuso a dire il vero in tante zone della regione, come per esempio nellโareale di Todi o ancor piรน nei Colli Perugini dove perรฒ ci aspettiamo decisamente dei risultati piรน concreti. Siamo certi arriveranno.
Sono giร arrivati invece i risultati (ottimi) da Amelia e soprattutto da Narni: il Ciliegiolo รจ una delle star del firmamento rossista umbro e permette di avere bicchieri pimpanti, freschi, semplici nel senso bello del termine, perchรฉ vincono in profonditร , in ricchezza di dettagli, mantenendo una piacevolissima bevibilitร .
Ultima, ma non ultima luce quella del Gamay. Il vitigno (qui chiamato gamay, in effetti si tratta di grenache) ha trovato una sua chiara collocazione nel Trasimeno, e il lavoro fatto da alcuni viticoltori regala vini eleganti, luminosi, mediterranei e dallโaffascinante impronta sapida.
Le ombre dell'Igt Umbria
Fin qui le luci, che non sono poche. Ma - come detto allโinizio - ci sono diverse ombre e riguardano le numerose etichette che arrivano sul mercato come Igt Umbria. Nessun legame col vitigno, nessun legame col territorio. Per noi, intendiamoci, non รจ una mera questione burocratica, qui non si vuole rincorrere il disciplinare a ogni costo. Perรฒ quello che troviamo nel bicchiere non ci convince affatto. Da una parte assaggiamo vini ancora giocati sulle estrazioni eccessive, affinati in legni che divorano le varietร , figli di (sur)maturazioni importanti delle uve: vini, insomma, che giocano a fare i grandi quando grandi non sono e mai lo saranno, se lโorientamento รจ questo. Sono prodotti fuori dal tempo, che sviliscono ogni forma dโespressione varietale, men che meno dei territori. Dallโaltra troviamo rossi e bianchi banali, magari senza difetti evidenti, ma anche senza carattere e animo.
Ci chiediamo, ha senso produrre vini cosรฌ? Apportano qualcosa al prestigio della regione? Danno un contributo esemplare in Italia e ancor piรน in un mercato estero? Secondo noi no e ne vorremmo assaggiare sempre di meno. Anche perchรฉ, come detto, gli esempi virtuosi e di valore, ci sono eccome, e non resta che seguire chi il successo lo sta guadagnano sul campo (e sulla vigna).
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