Uno dei maggiori nemici del vino è insospettabile. Eppure, ha effetti nefasti sulle nostre bottiglie, sopratutto sul medio e lungo periodo. Parliamo del nostro caro frigorifero, che oltre ad accogliere generi alimentari ospita spesso un paio di etichette in attesa dell'occasione giusta. Che spesso tarda ad arrivare. Il vino, elemento assolutamente vitale, odia le alte temperature così come quelle eccessivamente basse. Soprattutto, odia gli ambienti con livelli bassi di umidità e ricchi di vibrazioni come tanti frigoriferi in commercio.
Se l'intervallo di tempo non supera un paio di settimane gli effetti sono assolutamente secondari, non risibili. Ma già un mese inizia a farsi sentire, figuriamo per quelle bottiglie di Dom Perignon che prendono la polvere in attesa della serata giusta che tarda ad arrivare. Sul più bello ci ritroviamo a scapsulare uno Champagne già molto avanti in termini di evoluzione, se non ossidato. L'oggetto dirimente è il tappo.
Il frigo tende infatti a irrigidere e seccare in maniera importante il tappo, che perde elasticità, si rimpicciolisce e fa passare più aria del dovuto. Tutto ciò finisce per accelerare in maniera importante il percorso evolutivo dei nostri vini, che richiedono un'umidità almeno dell'80% per un lento e graduale invecchiamento.
La prova del nove
Vi riportiamo l'esperienza di una serata in un noto ristorante romano. Tavolata d'altri tempi, assaggiamo cinque vini, eppure su tre di questi abbiamo pareri piuttosto discordanti da bottiglia a bottiglia. A fine cena intuiamo perché. Partiamo con lo Champagne Zero di Tarlant, uno dei migliori nella sua tipologia per tensione e sapore.
La prima bottiglia è di un giallo dorato, con una trama di spezie bianche piuttosto netta, la bocca è progressiva, ben definita ma più morbida rispetto alle nostre memorie. La seconda bottiglia nel bicchiere ha riflessi decisamente più brillanti, la bocca è sferzante, tesa, di bellissima espansione. Siamo tutti d'accordo, un'altra marcia, eppure il millesimo indicato sulla retro è lo stesso.
Scocca il momento di un grande classico, la Cuvée Rosé di Laurent-Perrier, in questo caso ritroviamo le stesse sensazioni in entrambe le bottiglie, racconta esattemente ciò che era nelle attese: una bevuta più immediata e armonica. Sull'Etna Bianco a' Puddara 2020 di Tenuta di Fessina notiamo che la seconda bottiglia è anche in questo caso più vivida e vibrante: stessa annata. Sullo Chateaeauf-du-Pape l'unico dibatitto che si apre è sull'uso del legno, non ci sono differenze tra le due bottiglie. Non contenti, a fine pasto ordiniamo
L'Ouverture di Federic Savart, un Blanc de Noirs ricco di frutto e struttura. La prima bottiglia insiste su sensazioni torbate e di miele, la bocca è piuttosto molle, anche se non priva di fascino. Puntuale arriva una seconda bottiglia che ha ampiezza e ritmo, con un'evoluzione perfetta di spezie e richiami sapidi. Qualcuno, scosso da una così ampia variabilità, controlla il ciclo lunare sul cellulare. Ma la risposta è un'altra.
Tarlant, la prima bottiglia era conservata in frigo, la seconda è stata abbattuta. Laurent-Perrier, vista la richiesta maggiore, erano entrambe in frigo, probabilmente da meno tempo rispetto a Tarlant. Etna Bianco? Anche in questo caso prima bottiglia da frigo, seconda abbattuta. Non certo il metodo più ortodosso ma sicuramente meno impattante di un prolungato riposo in frigo. Stesso rapporto per lo Champagne Savart, la seconda è arrivata in un momento successivo dopo essere stata abbattuta. Le differneze? Enormi.
Lezione del giorno: non dimenticate il vino nel frigo, per favore.