Tra i pioppeti e i frutteti che si estendono in quella porzione di terra incastrata tra la sponda destra del Secchia e il Panaro, nel cuore della campagna modenese, la cultura vinicola affonda le sue radici in un terroir di sabbia e argilla dal quale negli ultimi quindici anni è emersa una nuova generazione di produttori con un obiettivo audace: trasformare il Lambrusco da vino popolare a simbolo di eleganza e complessità. Classe 1990, Silvia Zucchi è uno dei volti più luminosi di questa rinascita. Figlia di questa terra e delle sue tradizioni, ma con una mentalità aperta e innovativa, incarna l’energia di chi vuole superare gli stereotipi legati al Lambrusco, rivisitandolo in chiave contemporanea.
Silvia Zucchi: ironia e Lambrusco
«Sono cresciuta a San Lorenzo, frazione di San Prospero, terra di produzione di Lambrusco, principalmente Sorbara ma anche Salamino, e poi quando è stato il momento di scegliere le scuole superiori, sono andata a visitare l'Istituto Cerletti a Conegliano e me ne sono innamorata – racconta Silvia – Mi piaceva l’idea di uscire di casa a 15 anni, e lì ho scoperto un ambiente magico. Dopo due anni di agraria a Finale Emilia, mi sono trasferita a Conegliano per studiare enologia. Quello è stato il mio primo vero approccio al mondo del vino. La scuola organizzava eventi e, partecipando, ho capito quanto mi piacesse parlare di vino».
E dopo?
Dopo gli studi, nel 2010, sono tornata a casa e ho ripreso a lavorare in cantina per dare una mano ai miei genitori.
La nostra cantina è nata nel 1950 con mio nonno Bruno e mia nonna Alma, ed è poi passata a mio padre Davide e a mia madre Maura. Mio padre non ha studiato enologia, ma ha comunque un grande talento per questo lavoro. È sempre stato per me una specie di università, perché in questo settore ogni vendemmia ci insegna qualcosa. Negli ultimi anni, con i cambiamenti climatici, siamo messi continuamente alla prova. Ogni vendemmia è completamente diversa e nonostante si cerchi di impostare dei protocolli, alla fine tutto può cambiare rapidamente. È un po’ come essere in una sala operatoria: quando arrivano le uve, devi decidere rapidamente, adattarti, e a volte stravolgere tutto in corso d'opera. È un lavoro affascinante, ma può essere anche molto stressante. Quest’anno, per esempio, è stata una vendemmia lunga e complessa. Siamo partiti l'8 agosto con il Pinot Nero, una mia follia piantata nel 2021, e abbiamo finito solo 16 giorni fa (a metà ottobre ndr) con il Lambrusco di Sorbara.
E poi, dopo una decina di vendemmie, ha impresso una personale svolta all’attività di famiglia…
Nel 2019 ho creato una linea chiamata “Silvia Zucchi in Purezza”, dedicata a mia nonna e mio nonno. Produco quattro Lambrusco di Sorbara: due Charmat, un rifermentato e un Metodo Classico, per valorizzare questa varietà in tutte le sue sfumature. Il Lambrusco di Sorbara è una grande varietà. Riesce a mantenere l'acidità anche durante le annate calde. In molte zone spumantistiche si vendemmia a luglio, mentre noi finiamo più tardi e manteniamo un’acidità perfetta per le basi spumante. L'acidità totale e l'acido malico sono sempre elevati. Quest'anno, la pioggia ha reso l'acidità meno stabile verso la fine, ma ci permette comunque di affinare i vini e riporli in cantina per farli evolvere. Con il Metodo Classico, il Lambrusco Sorbara è sempre più apprezzato. Prima sembrava impensabile pagare 23 euro per una bottiglia di Lambrusco; oggi invece si avvicina a un pubblico con una mentalità più aperta e internazionale.
Dopo tanti anni in cui è stato visto come un vino non certo di qualità, oggi il Lambrusco è diventato un vino cool. Cosa ha permesso questo cambio di immagine?
Quando studiavo a Conegliano, i miei compagni, amanti del Prosecco, mi chiedevano: "Ma Silvia, davvero sei qui per imparare a fare la Coca Cola?" (ride). Ora siamo amici, ma c’è sempre stata un po’ di ironia sul Lambrusco. Quando ho ottenuto i Tre Bicchieri, ho girato il messaggio nella chat di classe dicendo: "Amici prosecchisti, vi aspetto!"
Negli ultimi anni l’enoturismo ha giocato un ruolo importante. Ho visitato cantine in Argentina e visto come richiamavano persone, visitatori e appassionati proprio grazie alla comunicazione legata al sistema e alla rete dell’enoturismo. Questo ha spinto anche noi, in Italia, ad aprire le nostre cantine ai visitatori. I social media, ovviamente, ci hanno aiutato a comunicare direttamente con i consumatori, a trasmettere una identità del Lambrusco come un vino sincero, allegro e trasparente. Ci sono state alcune cantine che hanno guidato questo cambiamento. Per esempio Cristian, il mio compagno, e Francesco Bellei della Cantina della Volta: sono stati loro ad aver reintrodotto il metodo classico e il rifermentato in bottiglia. Io ho fatto lo stesso nel 2011. Oggi, le persone apprezzano la serietà di un processo lento e la qualità di queste produzioni.
Lei rappresenta una nuova generazione di donne nel mondo del vino, in un settore tradizionalmente maschile. Nella zona del Lambrusco, Silvia Zucchi è una delle poche produttrici. Come si è integrata in questo contesto?
Purtroppo sì, sono una delle poche produttrici. Però mi confronto con tanti colleghi giovani. Ci aiutiamo molto, anche nel reindirizzare i clienti se qualcuno finisce il vino, e questo crea un legame prezioso sia con i clienti che tra di noi. Quanto a me, ho un carattere piuttosto particolare. La mia linea “Silvia Zucchi in Purezza” nasce anche da questo: mi definisco “acida in purezza”, proprio come il Sorbara. Non mi piaceva essere presentata solo come "la figlia di Davide". Ho voluto dimostrare che sono all’altezza e che conosco ogni fase del lavoro in cantina. La difficoltà maggiore la trovo in campagna, tra i filari, dove spesso pensano che una donna non possa farcela con certe mansioni o che non sappia portare idee innovative. Anche se spiego come lavorare, infatti, a volte le mie indicazioni non vengono seguite. Ma la cosa importante, comunque, è riuscire a far capire che puntiamo alla qualità, non alla quantità.
Tradizionalmente molto legata al consumo dei vini frizzanti, l’Emilia è una delle regioni italiane in cui si apprezza molto lo Champagne. Ben quattro grandi importatori hanno qui la loro sede. Parma è la provincia italiana in cui se ne consuma di più e Modena da sette anni ospita Champagne Experience. Con un ospite così ingombrante, come se la cava il Sorbara? Può essere una alternativa o addirittura un competitor?
Assolutamente sì. Ho partecipato a degustazioni alla cieca dove, senza sapere cosa stessero bevendo, persone amanti delle bollicine e dello Champagne si sono innamorate del Lambrusco metodo classico. Quando hanno visto nel calice quelle bollicine, quel colore, sono rimasti affascinati. Il Sorbara ha una freschezza e un'acidità che molti non si aspettano in un Lambrusco. Per far conoscere il Sorbara, spesso faccio degustazioni alla cieca: nascondo la bottiglia e spiego il vino solo dopo. L’approccio al Lambrusco è spesso legato all’idea che sia dolce e semplice, ma non è solo questo. Esiste un mondo più complesso che merita di essere esplorato. Le cantine devono però fare attenzione: chi produce metodo classico non dovrebbe avere fretta di mettere il prodotto sul mercato. Non dobbiamo correre; dobbiamo valorizzare ogni fase del processo. Durante eventi come quelli di Modena, si potrebbe fare di più per promuovere il Lambrusco accanto allo Champagne: non per competere, ma per farlo conoscere. Questo è un momento molto positivo per il Lambrusco, soprattutto per il Sorbara, grazie alla sua freschezza, acidità e al suo colore unico. Dobbiamo però evitare di dimenticare e di perdere le caratteristiche distintive di questo vino. Il colore del Lambrusco di Sorbara, per esempio, è una delle sue bellezze: quando apri una bottiglia e vedi quel rosso rubino intenso, sai che è un Sorbara. A volte mi chiedono se esiste un “Lambrusco bianco”, e spiego che no, dal Sorbara otteniamo un rosato, ma mai un bianco. È importante che i produttori spieghino le vere origini del Lambrusco senza esagerare e senza forzare. Questo è un momento cruciale e dobbiamo valorizzarlo al meglio.
Come vede il futuro del Lambrusco, soprattutto del Sorbara, nei prossimi 10-15 anni? Pensa che si consoliderà sui mercati esteri o che rimarrà invece un prodotto principalmente italiano?
Gli Stati Uniti sono un mercato importante, e abbiamo importatori che hanno saputo far apprezzare in quel Paese anche il Lambrusco realizzato con il metodo classico. Spesso, però, mi rendo conto che c’è ancora tanto da spiegare. L'approccio al Lambrusco si sta orientando verso i vini più secchi; i giovani, che hanno un’idea del bere legata a una filosofia del naturale, apprezzano anche i rifermentati in bottiglia, che sono comunque parte della nostra tradizione. Negli anni ’80, una bottiglia di vino “col fondo” veniva considerata difettata, mentre oggi c'è una curiosità diversa verso questo tipo di prodotti. Noi, nella mia linea, puntiamo su vini diretti, verticali e acidi; spero davvero che questa sia la direzione del futuro.
Nelle sue prime dieci vendemmie, c’è stato un momento che ritiene essere stato un passaggio importante per il tuo futuro? Un episodio speciale, la chiave di volta della evoluzione?
Sì, c’è stato un anno particolare: il 2012, l’anno del terremoto. Dovevo decidere come fare la vendemmia, perché la mia cantina era stata dichiarata inagibile. Era un momento difficile, in cui dovevo prendere decisioni importanti: spostare la produzione o restare. Alla fine, ho deciso di mettere in sicurezza l’azienda e fare la vendemmia e le lavorazioni nella nostra cantina. Per me, cambiare casa sarebbe stato un grande sacrificio. Quando vai in Francia, vedi cantine storiche piene di quelle muffe che sono parte di un microcosmo naturale: nessuno ne ha paura, anzi sono un valore aggiunto. In Italia, invece, siamo costretti a ripulire tutto frequentemente. In ogni caso, credo che ogni cantina abbia la sua aria, i suoi batteri, un ambiente unico che influisce sul vino che lì nasce. Trasferirmi avrebbe cambiato qualcosa nei miei vini, io sono convinta di questo. Il 2012-2013 è stato un periodo tosto. Ero giovane e ho dovuto prendere decisioni importanti, ma mi son detta: o andiamo avanti, o andiamo avanti. E così ho fatto.
Se il Lambrusco Sorbara fosse una persona, che tipo di carattere avrebbe? Potrebbe assomigliare a qualcuno di famoso?
Se dovessi associarlo a un cantante, immaginarlo in musica, penserei a Vasco Rossi. È un po’ rock, come il Lambrusco, e rappresenta le nostre radici. In cantina, spesso metto le sue canzoni. Non è il mio cantante preferito, ma se dovessi pensare a una persona che rappresenta il Lambrusco, penserei a lui.
Vasco è modenese, quindi sicuramente avremmo dovuto aspettarcelo. Però c’è un altro rocker emiliano che ha cantato del Lambrusco, ma è reggiano. Come la mettiamo?
È vero, anche Ligabue. Ma quando penso alle bollicine, penso a Vasco.
Ma quella canzone…
… parlava di Coca-Cola!