La carica dei mille. Il Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti FIVI prenderà casa nella nuova sede di BolognaFiere dal 25 al 27 novembre. Torna il mitico carrello per acquistare i vini raccontati in prima persona da chi li segue giorno per giorno, oltre mille gli espositori presenti, insieme a uno stimolante programma di masterclass. Quali sono i temi dietro la festa del vino artigianale? L'abbiamo chiesto a Lorenzo Cesconi, Presidente della Fivi.
Partiamo dalla base, chi è il vignaiolo indipendente?
Il vignaiolo indipendente è colui che lavora la propria vigna, spesso lo fa da più generazioni. Ha radici profonde e una grande fedeltà nei confronti del territorio in cui opera. Vinifica, imbottiglia e commercializza i propri prodotti, segue tutta la filiera dalla barbatella alla vendita e opera scelte sulla base delle esperienze che ha ereditato.
E come sta cambiando la sua figura?
E’ maturata, è sempre più aperto e flessibile davanti un mercato globale. Fa scelte in direzione della sostenibilità e opera in regime biologico e biodinamico come metodo non solo per fare qualità ma per produrre vini fedeli al suo territorio. Questa è l’aria che si respira.
Dei 1.700 soci quanti operano in biologico o biodinamico?
Non ho il dato preciso, ma a occhio siamo oltre il 50% degli iscritti.
Vignaiolo come custode del territorio, retorica o attualità?
Non è solo custode di varietà e di specie vegetali. C’è una duplica valenza. Il cambiamento climatico e gli avvenimenti recenti hanno posto attenzione sulla manutenzione del territorio, soprattutto in zone collinare o montanare dove la figura del vignaiolo è una componente. Un territorio ha bisogno di cura quotidiana per non degenerare in catastrofi. Abbiamo abbracciato questo tema e stiamo lavorando per esaltare questa figura, nel 2024 interverremo nel dibattito pubblico con una proposta in fase di studio.
Da anni si parla di una riforma del sistema produttivo vitivinicolo.
I tempi sono maturi per rivedere un sistema che spontaneamente tende a massimizzare le quantità come unico criterio per produrre più reddito. La vera sfida è aumentare il valore della produzione e non solo celebrare i record di quantità (Italia batte Francia, ale oh oh, ndr). La Francia va battuta sul prezzo medio, sul valore generato sui territori. Lo predichiamo da sempre e siamo contenti che il Presidente di Unione italiana vini, Frescobaldi, si sia espresso in maniera molto simile. Se un vigneto produce tanto, ha bisogno di tanta acqua, produrre il giusto ottimizza la qualità e riduce gli sprechi a 360 gradi. Per remunerare ad esempio le zone montanare oltre mille metri, abbiamo bisogno di produzioni di qualità ad alto valore. Altrimenti ne fa le spese il viticoltore che guadagna troppo poco con le sue uve.
Anche per invogliare le nuove generazioni a rimanere in agricoltura.
Il tessuto di viticoltori è sempre più anziano, non possiamo permettere che la viticoltura tramonti con l’ultima generazione di vignaioli. Soffre soprattutto chi vende le uve a privati o cooperative.
A proposito di cooperative e grandi gruppi, il problema di democrazia e rappresentanza nei consorzi è irrisolto.
Dovevamo prendere un bivio tanto tempo fa. In alcune denominazioni ci sono consorzi virtuosi, ma in alcune zone i gruppi più strutturato e le cantine cooperative detengono quote di maggioranza e indirizzano le strategie. È un peccato che piccoli produttori che partecipano in maniera importante alla fama del territorio, producendo ottimi vini esportati in tutto il mondo, non possano avere voce in capitolo nelle scelte della denominazione. Questo è un limite enorme, c’è bisogno del contributo di tutti, ci stiamo lavorando e per la primavera del 2024 presenteremo un nostro percorso di studi.
Perché vi sieste spostati da Piacenza a Bologna per quest’edizione?
Il mercato dei vini è diventato un evento di grandi dimensioni, anche molto complesso, necessitava di più spazi e di servizi. Il visitatore non deve sgomitare. Bologna offre uno spazio fiera adeguato e ben strutturato come trasporti e come accoglienza. Bologna è anche una culla della gastronomia, una città molto aperta sul vino, spontaneamente nei locali si trovano rappresentati tutti i territori viticoli. Non avviene in tutta Italia.
Veniamo ai premi di quest’anno, quello alla memoria di Leonildo Pieropan va ad Emidio Pepe, Mr. Montepulciano.
Non ha bisogno di presentazioni: un uomo, un territorio. È anche stato tra i soci fondatori della Fivi. È una scelta condivisa non solo dai conterranei ma da tutti i vignaioli e da chi conosce lui e le sue produzioni.
E il premio Vignaiolo come noi conferito al cantante Elio (e le Storie Tese)?
I principi dei vignaioli sono presenti anche in altri ambiti, lì dove c’è una piccola forma d’arte, di espressione di un talento specifico. Il primo premio ha Elio come candidato. È arrivato in prossimità Fivi per un progetto virtuoso, PizzAut, che dà spazio a ragazzi con problemi di autismo. Ha anche voluto produrre un vino per questa iniziato. Elio è tornato nella sua terra d’origine, ha rispolverato un retaggio agricolo. Ha tanta passione e conoscenza della materia.
Cambiamo tema, in un mondo del vino frammentato, diviso non poco tra vino naturale e convenzionale, la Fivi continua a crescere come soci e adesioni. La sua posizione?
Noi diamo un cappello ma non entriamo nel metodo produttivo che ognuno applica in libertà. Questo è un mantra. La Fivi ha come missione quella di calmierare la mancanza di rappresentanza dei vignaioli che era problematica e sistematica sui territori nazionali.
Non vede una disgregazione?
C’era bisogno di una contrapposizione, di un metodo più naturale per rispondere all’omologazione del vino. Per me è un concetto evolutivo che ha portato a ragionare sui fondamentali: l’origine, l’uva, non la tecnologia o altri fattori. Non la vedo come una disgregazione ma come un processo che porterà del bene.
A occhio, tre/quarti della base associativa è al centro-nord. Anche la Fivi ha la sua questione meridionale?
La Fivi nasce al nord, quindi si è sviluppata prima in regioni come Trentino, Valle d’Aosta o Alto Adige dove c’erano già associazioni di vignaioli locali. Ma lo sviluppo al sud sta già avvenendo spontaneamente con delegazioni un po’ ovunque. Nel cda abbiamo consiglieri produttori dalla Calabria e Puglia, lentamente ci stiamo spostando verso sud e questo ci garantisce margini di crescita.
Fa un po’ impressione vedere sotto lo stesso cappello vignaioli veri accanto a imprenditori che non sembrano parlare la stessa lingua. Non saranno troppo labili i paletti della Fivi?
Il regolamento specifico è stato approvato nel 2021, non credo ci sia necessità di rivedere i termini di ammissione. Convivono aziende molto strutturate e piccoli artigiani familiari. Il vignaiolo di piccole dimensioni può diventare un’azienda più grande, l’importante è non perdere la filosofia di base.
In programma ci sono delle belle verticali (es. Villa Diamante) raccontate da produttori di altre regioni. Ci affascina molto questo contesto.
È un concetto messo in atto per non soffermare l’attenzione dei partecipanti sulla figura del vignaiolo che presenta i suoi vini, già vista e rivista. Fivi promuove la filosofia dei vignaioli, vuole stimolare il confronto. Questo senso di comunità tra i vignaioli è molto positivo, costruttivo, è un esercizio di apertura. E anche i visitatori si pongono in maniera molto più curiosa, sono degustazioni diverse.
Confermato anche l’ordine sparso degli espositori senza alcun criterio geografico?
Assolutamente. Questa modalità consente di conoscere vignaioli nuovi e offre nuove opportunità di conoscenza agli stessi produttori. Si trovano accanto colleghi che non hanno mai incontrato, hanno possibilità di scambio su più livelli. E così evitiamo anche assemblamenti ai soliti banchetti o spostamenti in base agli orari di assaggi. Con grande onestà è un modello copiato dai saloni dei vignaioli indipendenti francesi.
In chiusura, Veronelli scriveva che il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale. Attuale?
No, dipende da come sono fatti, non si può ragionare con questo classismo, ci sono ottimi vini da entrambe le parti. Non voglio dare una risposta da politica, ma generalizzare è sbagliato, non ha senso. Rispetto agli anni ’80 e ’90 il vino è notevolmente evoluto, si beve molto meglio in media. Poi ognuno beve i vini che gradisce, c’è chi fa una scelta di filosofia e vuole il vino del contadino a tutti i costi, non tutti hanno gli stessi gusti. Per fortuna, altrimenti i vini dei contadini non sarebbero a sufficienza.
BolognaFiere S.p.A. - Viale della Fiera, 20 – Bologna
Orari
Sabato 25 e domenica 26 novembre: apertura cancelli ore 11.00, chiusura ore 19.00.
Lunedì 27 novembre: apertura cancelli ore 11.00, chiusura ore 17.00.