Mosti concentrati, gelatine animali, uve da tavola che si spostano da Sud verso Nord, operazioni dubbie dell’Icqrf. Report, la trasmissione in onda su Rai 3, ha confezionato un bel pacco bomba per il vino italiano da mettere sotto l’albero in occasione delle prossime festività e con tanto di dedica: “Ai piccoli chimici dell’enologia”. Da qui si parte e qui si arriva, mettendoci dentro tutta una serie di argomenti per convalidare la tesi iniziale: il vino non si fa in vigna, l’enologia altro non è che un laboratorio. Ma è davvero così? Non staremo qui a difendere il settore. Come sempre la verità sta nel mezzo e il metodo Report è ormai arcinoto. Ma ci sono delle cose in particolare che ci hanno colpito.
L'inchiesta di Report sul vino
Come funziona la pratica dei mosti concentrati
Visto dall’interno – da chi con il vino ci lavora da sempre – le verità rivelate da Report non sono così sconvolgenti: la pratica del mosto concentrato non è di certo nascosta. Basta leggere i disciplinari per capire che è pratica ammessa (ma devono essere le Regioni a dare il via libera) quando condizioni avverse non consentono di raggiungere il grado zuccherino previsto. Si pensi che in altri Paesi, Francia su tutti, è consentita la pratica dello zuccheraggio, che in Italia è assolutamente vietata. Motivo per cui, quando è necessario si preferisce ricorrere ai mosti. Tutto naturale, tutto legale.
Additivi e coadiuvanti: cosa è legale e cosa no
Nella stessa “confezione” Report ci ha messo la questione delle sostanze aggiunte, senza troppa distinzione tra quelle legali e quelle no. Per esempio, gelatina di pesce usata per la chiarificazione (pratica legale) e aromi estratti come ribes o fragola (pratica illegale).
Nessuno mette in dubbio che qualcuno ricorra anche a questa pratica, ma presentarla all’interno di un intero sistema, sostenendo che “a tutti piace giocare ai piccoli chimici” risulta fuorviante per chi guarda e non ha gli strumenti per discernere le cose.
Se si pensasse all’etichetta come arma di difesa?
Senz’altro, però, lo spunto è interessante per affrontare la questione etichette. In un momento in cui si parla tanto di elenco degli ingredienti, e-label e blockchain, senz’altro la trasparenza è un valore sempre più importante e magari passaggi che in passato non erano così degni di nota, oggi esigono una maggiore attenzione (vedi l’astro nascente dei vini naturali). Usarla un po’ di più potrebbe essere utile per creare un rapporto diretto con il consumatore e far capire che non tutto il vino va demonizzato. Un’occasione potrebbe essere il nuovo regolamento etichettatura, entrata in vigore lo scorso 8 dicembre (con una proroga di tre mesi in Italia a causa delle nuove Linee guida della Commissione Ue). Lo diciamo subito: il nuovo regolamento, al momento, non prevede il riferimento a mosti concentrati o stabilizzanti del vino perché considerati come parte del processo di produzione (che, quindi, la legge non obbliga ad indicare). Ma in futuro, chissà potrebbe essere un’arma in più per difendersi da attacchi frontali come quelli del Report di turno.
Il mercato nero delle uve da tavola
La seconda parte dell’inchiesta di Report si concentra, invece, sullo spostamento di uve da tavola da Sud (Puglia in particolare) verso il Nord Italia (Veneto in particolare), soprattutto in annate particolarmente complicate come questa, in cui la vendemmia è stata poco generosa.
Un modus operandi che può avvenire tramite la licenza da “succhisti” (quella di chi produce succhi di frutta) e che già il Gambero Rosso, sul settimanale Tre Bicchieri, aveva denunciato lo scorso 11 maggio con il pezzo “Quelle deroghe che hanno favorito
la sovrapproduzione di vino”.
Una pratica - è bene ricordarlo - assolutamente vietata, dal momento che un vigneto volto alla produzione di vino ha bisogno dei diritti di impianto, al contrario di quel che accade per un vigneto destinato alle uve da tavola. Chiaramente è un fenomeno che per lo più non riguarda le produzioni a Do all’interno di un sistema vitivinicolo – è bene ricordare anche questo - tra i più controllati al mondo.
Lo stesso presidente Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, su questo tema ha più volte richiamato il settore al senso di responsabilità e nella nota appena diffusa a commento del servizio di Report non ha nascosto la testa sotto la sabbia: “Se da una parte, Report ha giustamente rilevato, come fatto in precedenza da Uiv, alcune attività non consentite dalla legge come il commercio di uva da tavola per fare il vino, dall’altra ha pedissequamente confuso pratiche perfettamente legali con altre illegali, additivi chimici con prodotti dell’uva consentiti”.
L’inchiesta Pinocchio e le “colpe” della Repressione Frodi
L’ultima parte del servizio di Report ha puntato il dito contro il sistema dei controlli della Repressione Frodi (che fa capo al ministero dell’Agricoltura), sostenendo che non sarebbero attendibili e che in passato – vedi caso Pinocchio del 2016 - l'intreccio tra politica, grande industria del vino e dirigenti dell’Icqrf ha finito per distorcere il meccanismo di controllo al punto da usare le indagini giudiziarie come un mezzo per colpire produttori scomodi (in questo caso, le aziende Minos e Podere del Gaio). Una sorta di “chi controlla i controllori”, in chiave vitivinicola.
La tesi è che la nascita della grande denominazione del Pinot Grigio delle Venezie nel Nord-Est sia stata l’occasione per far “fuori” tutti i grandi produttori di Pinot Grigio fuori zona. Un’accusa molto pesante che di certo non può esaurirsi nello spazio di 15 minuti di un servizio televisivo e su cui non sta a noi entrare nel merito.
Un minestrone di argomenti
Quello che, però, ci ha colpito (in negativo) è il senso della narrazione, che ha citato uno accanto all’altro grandi nomi della viticoltura (da Frescobaldi a Tenuta San Guido), il mercato nero delle uve da tavola, gli additivi che entrano nel processo di vinificazione e vari Consorzi (dal Prosecco Doc al Consorzio delle Venezie) in un vero e proprio minestrone di argomenti (alcuni degni di nota, altri meno). Con a tirare le fila un “esperto di vino” (questo il sottopancia che lo ha accompagnato per tutta la messa in onda della trasmissione) che nessuno conosce, tale Francesco Grossi. Il motivo è facilmente intuibile e sta tutto nel titolo dell’inchiesta: “Il piccolo chimico”: una tesi portata fino alle estreme conseguenze, per altro senza chiamare in ballo la categoria che forse è più indicata a spiegare quanto il vino sia questione di chimica e quanto di uva e territorio, ovvero quella degli enologi.
Abbiamo, dunque, provato a dare un ordine anche logico agli argomenti perché, se è vero che nel vino – come in tutti gli altri settori – ci sono delle zone d’ombra, è anche vero che non è con il qualunquismo che si combattono. Per alcuni piccoli chimici in giro per l’Italia, ci sono tanti grandi e piccoli produttori che quotidianamente fanno della qualità la loro missione.