Al Vinitaly di quest'anno i buyer russi non c'erano tra i più di mille operatori accreditati provenienti da 68 Paesi. Dato che non sembra aver pesato sulle esportazioni di vino verso l'ex-Unione Sovietica. I numeri dell'Istat parlano chiaro: nel 2022 il vino italiano in Russia è cresciuto del 16% a valore (per un totale di 172 milioni di euro) rispetto all'anno precedente, che, è doveroso dirlo, era stato segnato dagli strasichi della pandemia. Ma allora che ne è dell'apocalisse commerciale paventata all'indomani delle sanzioni UE, emesse il 15 marzo dello scorso anno? Forse troppo rumore per nulla, visto che riguardano solo i vini dal costo superiore ai 300 euro. Va da sé che una grossa, grossissima fetta dei vini del nostro Paese rimane fuori dal blocco, volto a colpire perlopiù gli acquisti lussuosi di magnati e oligarchi.
Vino italiano in Russia: solide le denominazioni blasonate, in crescita le nuove zone
"Le attività sul mercato russo stanno andando abbastanza bene" ci conferma Edoardo Freddi, a capo della Edoardo Freddi International, società che esporta ogni anno più di 33 milioni di bottiglie in oltre 100 Paesi: "Nonostante la situazione confusa, nonché tesa, le cose stanno andando meglio del previsto. C'è un leggero calo a volume ma cresciamo a valore. Quello che si registra è un posizionamento al ribasso, molto evidente. Parte della classe più abbiente, che consumava vini premium, probabilmente è uscita dal Paese; a ciò si aggiunge il fatto che il potere di acquisto della classe media ovviamente è un po' diminuito". Gli ultimi dati, infatti, parlano di un tasso di inflazione che si aggira intorno al 7%: "Quindi meno bottiglie pregiate, più vini da grande distribuzione". E continua: "La reazione dei venditori in Russia a partire da febbraio 2022 è stata quella di concentrarsi sui vini entry level; Super Tuscan, Brunello, Amarone e Barolo rimangono molto apprezzati dai russi, ma nell'ultimo periodo si stanno iniziando a scoprire vini italiani meno costosi come il Primitivo della Puglia, o anche il Pinot Grigio, il Lambrusco, l'Asti, il Prosecco, il Chianti e il Montepulciano. Di recente c'è grande entusiasmo pure per il Vermentino, che lentamente sta sostituendo e prendendo il posto del Lugana". Ma per quanto riguarda il piano etico? È giusto continuare a fare affari con un Paese che ne ha invaso, ingiustamente, un altro? "Ci siamo interrogati molto in questi mesi su questo aspetto: staremo facendo una cosa corretta? Siamo giunti alla conclusione che comunque non stiamo vendendo prodotti pericolosi, da usare per scopi bellici, non vendiamo armi, né componenti per produrle. In più, non ci rivolgiamo nemmeno all'upper class o all'élite. Stiamo vendendo un prodotto per la massa, per il popolo".
Uno sguardo sulla concorrenza
Ma allora chi è che ha risentito di più le conseguenze di queste restrizioni? Sicuramente la Francia, che ha perso una quota di mercato importante: si parla addirittura della metà, "complice anche l'attacco mediatico russo nei confronti dello Champagne". Il rischio per il mercato dei vini italiani quindi, stavolta non deriva dal nemico di sempre, quanto dai prodotti delle Ex Repubbliche Sovietiche: "Armenia, Georgia, la stessa Crimea sono attualmente il bacino di utenza principale per il mercato russo. Per fare un esempio: la Aeroflot ora ha solo vini provenienti da questi territori". Ad avere un buon rapporto commerciale con la Russia, sempre relativamente al vino, è l'Australia "che perdendo la Cina a causa dei dazi imposti dal governo cinese nel 2021, ha riversato le sue esportazioni sulla Russia. L'Italia però rimane il Paese che vive la situazione migliore".
La normalità russa, l'incertezza ucraina
L'ultimo viaggio di Edoardo in Russia risale al febbraio scorso, per il Prodexpo (fiera internazionale dedicata al food&wine, ndr): "a Mosca ho trovato una situazione stranamente normale, ristoranti pieni, bar pure, anzi tutto quasi più ordinato, pulito. Certo mancava il turismo internazionale. Tra i padiglioni della fiera, mancavano gli europei e gli americani, una perdita comunque livellata dalle molte presenze asiatiche, cinesi soprattutto. Torneremo in Russia a luglio e ci aspettiamo una situazione simile. C'è stato un rally del rublo, che è andato su e giù diverse volte, molto strano come fenomeno, però al di là di questo non vediamo grossi cambiamenti". Discorso diametralmente opposto per quanto riguarda l'Ucraina: "Il mercato ovviamente è crollato, almeno del 50%, forse anche qualcosa in più; ci sono alti e bassi, ma non si riesce a pianificare molto, difficile fare progetti. Ci sono fiammate, ma poi settimane di silenzio. Insomma, non è una bella situazione".