«Impedire che controversie commerciali originate in altri comparti possano avere ricadute sulle produzioni agroalimentari». L'appello è stato lanciato dalla Federvini all'attuale presidenza italiana del G7. «Stiamo attraversando un anno denso di novità e cambiamenti, primi fra tutti le ormai imminenti elezioni europee e, in autunno, le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Nel frattempo, tensioni geopolitiche, commerciali ed economiche rischiano di impattare sulle attività di filiere fondamentali per l’agroalimentare italiano», ha dichiarato la presidente Micaela Pallini, durante l'assemblea generale della Federazione italiana dei produttori, esportatori e importatori di vini, acquaviti, liquori, sciroppi, aceti e affini, svoltasi il 5 giugno a Roma. Le diverse filiere, considerate nel complesso, valgono ben 21,5 miliardi di euro di fatturato, con 2.300 imprese, oltre 81mila occupati e rappresentano circa il 20% dell’export del food & beverage italiano.
Servono più accordi commerciali
Federvini auspica regole certe per le imprese del settore in modo da affrontare le sfide internazionali in un contesto competitivo chiaro e libero: «Regole che non cedano a tendenze neo proibizioniste - ha avvertito la presidente Pallini - e che superino la logica ritorsiva dei dazi che nel recente passato (il riferimento è alla guerra commerciale Usa-Ue e ai dazi della presidenza Trump) ci hanno ingiustamente penalizzato». Al centro dell'assemblea romana ci sono state, quindi, le implicazioni della crisi russo-ucraina, le prospettive del conflitto in Medio Oriente, i timori di nuovi dazi commerciali applicati a titolo ritorsivo, non solo dagli Stati Uniti ma anche dalla Cina. Accordi commerciali come il Ceta, definito dall'Ue col Canada, rappresentano un esempio da seguire. Basti pensare che per i vini italiani tasso di crescita verso questo specifico mercato nordamericano è stato del +7,6% tra 2018-2022 rispetto al +3,7% del 2013-2017; mentre il comparto aperitivi, amari, liquori e distillati made in Italy ha registrato sempre verso il Canada un tasso del +13,1% rispetto al +2,9% del periodo precedente.
Etichettatura tra i temi chiave del prossimo Parlamento Ue
Oltre all'appello alla presidenza italiana del G7, Federvini ha chiesto anche al nuovo Parlamento europeo, che uscirà dalle urne dell'8 e del 9 giugno, un approccio «realistico guidato dalla considerazione di elementi oggettivi nell’ottica di una promozione equilibrata delle componenti produttive», a partire dall’occupazione e dall’economia dei territori. La presidente Pallini, in particolare, auspica che la prossima legislatura, che affronterà temi delicati, come, dall'etichettatura dei prodotti tipici alla competitività, possa basarsi su una «visione razionale e rispettosa delle specificità e del valore espresso da filiere strategiche». Il quinquennio di legislatura Ue appena chiuso ha affrontato temi scottanti: dalle iniziative di Irlanda e del Belgio sugli health warning, alla revisione della direttiva sugli imballaggi fino alla normativa sull'etichettatura e al Regolamento sulle Ig. «Dossier dall’evidente impatto che a volte – sottolinea Federvini - non hanno tenuto in considerazione il valore non soltanto economico ma anche sociale e culturale espresso dalle imprese e dalle produzioni vitivinicole, di spiriti e di aceti». Ecco perché, secondo la presidente Pallini, il nuovo assetto delle istituzioni europee che si definirà dopo la tornata di giugno sarà fattore determinante per l’orientamento delle politiche che riguardano i nostri comparti.
Export come ancora di salvezza
La valvola di salvezza resta l'export, anche alla luce di un 2023 che non ha consentito alle imprese di recuperare l'inflazione subita nel 2022, come ha evidenziato la presidente Pallini. Basta guardare al comparto vini che, seppure in difficoltà nel 2023, negli ultimi 20 anni, è passato da una quota di mercato del 17% nel 2003 (con la Francia al 38%) al 22% nel 2023 (i transalpini al 33%), secondo dati dell'Osservatorio Federvini, in collaborazione con Nomisma e TradeLab. Il risultato permette all’Italia di consolidare, grazie al complessivo +188% in valore di export, il secondo posto mondiale. C'è di più: l’Italia esprime una posizione di leadership nella maggior parte dei mercati: 46 contro i 51 della Francia (vent’anni fa erano 9 rispetto a 41).
Spirit a +300% di vendite estere in 20 anni
Considerando la categoria spirit, sempre negli ultimi 20 anni, l’export ha registrato un incremento del 300% per un valore di 1,7 miliardi di euro (oggi l’Italia è il quinto top exporter globale). E anche per gli aceti è evidente il ruolo determinante delle vendite estere: +180% a valore negli ultimi venti anni. In generale, anche in considerazione di un calo strutturale dei consumi interni, le esportazioni assumono un carattere strategico, rappresentando un fatturato del 50% per i vini, del 35% per gli spiriti e del 48% per gli aceti.