"Nel Collio non c'è nessuna guerra: le decisioni le prende l'assemblea, non i piccoli gruppi". Il presidente Buzzinelli rompe il silenzio

19 Dic 2024, 17:34 | a cura di
Dopo settimane di fermento e l'ok del Consorzio al Collio bianco da uve autoctone, il presidente rimette i dissidenti al loro posto: "Non hanno più credibilità del 97% dei soci che si sono espressi"

Momento di fermento nel Collio. La settimana scorsa, l’assemblea del consorzio si è conclusa con deliberazioni importanti: l’inserimento nel disciplinare di un vino da uve macerate, l’apertura di un tavolo di lavoro per la definizione di un vino bianco da varietà autoctone (friulano, ribolla e malvasia), la realizzazione di un evento consortile ufficiale nell’ottobre del 2025. Le decisioni arrivano dopo alcune settimane di acceso dibattito che ha visto coinvolti un gruppo di produttori dissidenti che da qualche anno promuove un Collio bianco da uve autoctone con tanto di etichetta propria e altri produttori della denominazione - tra i quali, per esempio, Robert Princic, già presidente del consorzio - che sul punto hanno adottato un atteggiamento più cauto. Adesso la parola passa al presidente del Consorzio David Buzzinelli che mette a tacere le polemiche dei giorni scorsi. 

Quanto hanno influito i sostenitori delle uve autoctone (interviste sul Gambero, comprese) sulle decisioni finali dell'assemblea?

Leggo più guerre sui giornali di quante ce ne siano davvero all’interno dell’assemblea. Voglio sottolineare che la data dell’assemblea era già stata decisa con largo anticipo. Inoltre, voglio sottolineare che non è grazie a 5-7 soci che abbiamo preso alcune decisioni ma grazie al coinvolgimento dell’intera assemblea dei produttori. Se dovessi lavorare per i singoli soci dovrei cambiare il disciplinare ogni 15 giorni. Ci sono alcuni produttori che hanno lavorato sul pinot bianco o sui macerati ma nessuno ne ha mai parlato. Alla fine, l’assemblea è sovrana. E poi il 97% ha dato parere favorevole: questi numeri mostrano che non c’è uno scontro.

Certo, all’interno del consorzio l’assemblea è sovrana, ma qualcuno ha avuto il merito di aprire il dibattito…

Mi dispiace che un gruppetto di persone abbia più credibilità del 97% dell’assemblea che si è espressa. Il dibattito normalmente si fa all’interno degli organi consortili. Noi abbiamo un equilibrio interno molto bello tra un numero di teste e un numero di ettari che crea un bilanciamento tra grandi e piccole aziende. Abbiamo 120 imbottigliatori su più di 300 soci: pochi produttori non possono imporre qualcosa agli altri.

Quindi al gruppo dei produttori che ha scelto di investire sulle uve autoctone non va nemmeno riconosciuto il merito di averne parlato per primi?

Se parliamo di primati nella ridefinizione del Collio bianco bisognerebbe ricordare che il primo che ha cercato di normare un bianco da uve autoctone è stato Robert Princic, quando era presidente del consorzio. Il primato è suo. È stato lui a parlare per primo di Gran Selezione.

È vero, lo abbiamo raccontato proprio nell’intervista pubblicata sul Gambero Rosso.

Una bella intervista, di cui ero stato avvisato. Peccato che qualcuno non l’abbia interpretata come avrebbe dovuto essere interpretata. Sui social del Gambero ho trovato alcuni interventi fuori luogo. Né come azienda né come presidente mi permetterei di andare a commentare l’intervista di un altro. Non ho affatto apprezzato i commenti irrispettosi di altri produttori.

Princic provò a modificare il disciplinare, ma la proposta non passò…

Quando si discusse tutto il pacchetto di norme che prevedeva il passaggio alla Docg furono fatti dei tavoli di lavoro anche sul Collio da uve autoctone. Poi però il passaggio alla Docg non fu approvato quindi è decaduta tutta la progettualità conseguente. Insieme al progetto del Collio da uve autoctone c’era anche il progetto dei vini da uve macerate. Ma la mancanza di approvazione non vuol dire che quei progetti siano stati annullati.

Visto che l’idea allora non passò, oggi la spinta dei ‘dissidenti’ potrebbe dare un nuovo impulso…

Un’idea parte dal basso ma viene sviluppata dall’assemblea. E il consorzio vede il loro progetto come quello di altre aziende. Non si può sostenere una iniziativa singola. Le tempistiche dipendono anche dalla sensibilità dei soci. Inutile avanzare iniziative se non c’è apertura da parte degli altri. Io devo tutelare l’assemblea. Se un progetto passa con il 97% dei sì vuol dire che non è merito di qualcuno in particolare. E poi, una cosa è creare un vino, un’altra cosa è creare una menzione. Per inserire un nuovo vino ci vuole un anno di lavoro, per creare una menzione il percorso è più semplice.

Quindi possiamo dire che il Collio da uve autoctone alla fine sarà approvato?

Sarà inserito nel disciplinare nel momento in cui il tavolo tecnico troverà la strada giusta. Tutti sono disposti e intenzionati a creare un vino con le tre uve autoctone.

Insomma, va bene il Collio da uve autoctone purché non ci sia l’etichetta come chiede il gruppo dei ribelli?

L’etichetta non è un problema. L’espressione “da uve autoctone” è legale. In ogni caso, non è l’etichetta comune che fa il territorio ma il vino.

E quindi come si fa?

La mia idea è che il fattore comune non deve essere solo un’immagine ma il vino nella sua espressione. Un friulano allevato a Capriva dà risultati diversi da un friulano allevato a Cormons. La caratteristica del Collio bianco è che dopo tre anni di evoluzione l’elemento che marca è la terra, ovvero la ponca.

Va bene, però chi sceglie le uve autoctone lamenta un difetto di identità del Collio bianco.

Fin dall’inizio nel Collio bianco c’erano solo ribolla, friulano e malvasia ma con poco successo. Dall’apertura del '91 a tutte le varietà il Collio bianco ha avuto un aumento di etichette notevole. Ma capisco che oggi il mercato lamenta la mancanza di identità e la confusione. Adesso non vorrei che un nuovo Collio bianco possa ricadere nello stesso problema: sono state fatte delle degustazioni tecniche dalle quali emerge che vini fatti con le stesse varietà non sono poi così simili. Il Collio bianco non è ancora identificabile, ha ancora delle lacune: bisogna colmarle per evitare di cadere nelle stesse dinamiche. Prima della liberalizzazione delle varietà c’erano solo due o tre Collio bianco, altri vini erano fatti con uvaggi buoni ma ricadevano sotto Igt per via dei blend utilizzati. Comunque sono in molti quelli che già fanno il Collio con friulano, ribolla e malvasia.

Però se una minoranza di produttori ha fatto un’etichetta autonoma vuol dire che qualche resistenza c’è stata…

Non c’è nessuna resistenza, i numeri lo dimostrano. Quando ho aperto il dibattito in assemblea ho chiarito: non c’è nessuna guerra, non ci saranno né vincitori né vinti. Poi però i giornali hanno raccontato un’altra storia scegliendo dei vincitori. Consorzio e assemblea vanno gratificati: i meriti sono di tutti. Ripeto: c’è stato il 97% di sì, quindi non c’è nessuno scontro.

Forse avreste dovuto spiegarvi prima…

Non abbiamo parlato prima per arrivare all’assemblea in modo soft. E il risultato c’è stato. Tutti hanno risposto in modo positivo. Ma a mio avviso, la questione uve autoctone è marginale rispetto alla seconda delle decisioni presa dall'assemblea: il vino macerato che entra ufficialmente nel disciplinare.

Parliamone, allora. È la definitiva legittimazione dei vini macerati?

Il processo è ancora da completare, ma il risultato è stato inaspettato. Tutto merito del vicepresidente Luca Raccaro che ha gestito un dibattito molto acceso ma proprio per questo molto bello: se non c’è dibattito vuol dire che la cosa non interessa a nessuno. Il risultato finale è stato eccellente, con l’approvazione delle conclusioni del tavolo di lavoro da parte di un’ampia maggioranza. Si norma così una categoria di vini che verrà identificata con l’etichetta “da uve macerate”. È una soluzione che tutela la scelta del consumatore che quando sceglierà un vino del Collio - magari una ribolla gialla - saprà già dall’etichetta se si tratta di un vino macerato. C’era la necessità di mettere ordine: complimenti al lavoro del tavolo tecnico.

L’assemblea ha anche deciso di organizzare un evento annuale.

I nostri vini hanno caratteristiche tali da rendere difficile la realizzazione di unanteprima. I vini di annata rischierebbero di essere incompresi se assaggiati a febbraio o a marzo. Si potrebbe pensare di farla in autunno, ma a quel punto molti vini sono già esauriti. Quest’anno abbiamo sperimentato alcune degustazioni con il pubblico che hanno avuto un’affluenza eccezionale. Da qui l’idea di un evento autunnale per presentarci: sarà un focus sul friulano, il nostro vitigno rappresentativo. Un evento importante sul territorio è necessario.

Prima di salutarci, quale messaggio lancia ai soci?

Voglio dire che la vera unione fa la forza. I festeggiamenti del 60esimo anniversario del consorzio hanno ulteriormente unito i produttori. È bello vedere più di 350 persone insieme, felici di esserci, e tre generazioni di viticultori del territorio riunite. La nostra comunità è fatta da tutti, non certo da piccoli gruppetti che vogliono fare da sé.

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