Il Barolo con il tappo a vite non è più un’eresia. Non soltanto perché il disciplinare non lo vieta. Adesso c’è chi comincia a sperimentarlo, sfidando i pregiudizi che ammettono solo il tradizionale sughero per i vini rossi di grande pregio. Sergio Germano, viticultore a Serralunga d’Alba, da tempo adotta la chiusura di alluminio per i suoi bianchi: Riesling, Chardonnay e Nascetta. Ora rompe gli indugi e, con discrezione molto piemontese, presenta un Barolo 2013 con tappo a vite. L’occasione è l’incontro annuale degli Svitati, il gruppo di produttori pionieri che dal 2021 promuove il passaggio allo stelvin (Silvio Jermann, Graziano Prà, Walter Massa, Franz Haas Jr, Mario Pojer).
Germano tra gli Svitati e ora si aspetta Gaja
«Sono stufo di dover convincere chi non ci crede. Il mio sogno è chiudere il Barolo con il tappo a vite: dal 2013 lo usiamo su 100 bottiglie», confessa Germano che poi ironizza: «convinto che il vino debba soffocare, non respirare nella bottiglia». Ma gli ‘Svitati’ non si fermano qui. Dopo l’ingresso di Germano nel gruppo, formalizzato nell’evento ospitato il 4 marzo scorso nello show-room Pentole Agnelli di Lallio (Bergamo), potrebbe arrivare a breve un’altra clamorosa sorpresa.
«Ci sono già due produttori di questo gruppo che hanno la ‘J’ nel nome. Adesso ne aspettiamo un altro», scherza Walter Massa. Un’allusione ad Angelo Gaja? «Sì, io credo che sia pronto per entrare nel gruppo», conferma Massa. In attesa che il re del Timorasso e il re del Barbaresco “si diano il cinque”, resta comunque tanta strada da fare. Silvia Carlin e Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach, hanno evidenziato tutti i pregi della chiusura a vite, soprattutto per evitare l’ossidazione, ma hanno ricordato che molti disciplinari ne impediscono ancora l’uso per i vini di maggior pregio, specialmente rossi.
La resistenza dei consorzi e i pregi del tappo Stelvio
Il primo a lanciare il sasso nello stagno è ancora Walter Massa. «Per aprire finalmente al tappo a vite serve una presa di coscienza da parte di chi prende le decisioni. Di recente dei produttori toscani mi hanno confessato: «abbiamo chiesto la possibilità di applicare il tappo a vite almeno al Rosso di Montalcino, ma non c’è stato niente da fare. La verità è che dovrebbero attivarsi i consorzi che ancora resistono strenuamente, quello dell’Amarone più di tutti gli altri», continua Massa.
Secondo Graziano Prà, che a Lallio ha presentato un Valpolicella Superiore con tappo a vite, «non serve assolutamente cambiare il metodo di vinificazione. Il tappo a vite conclude il processo e conserva il vino così com’è. Poi bisogna rallentare l’ossidazione il più possibile e abbiamo capito che questo è il metodo migliore. Purtroppo, però quelli dei consorzi resistono perché conoscono poco e vanno poco in giro. Non capiscono che proprio il 90% dei vini di pregio che vorrebbero proteggere deperisce presto perché si ossida». L’ultima stoccata degli Svitati contro i consorzi arriva da Franz Haas Jr: «Il problema principale deriva dai disciplinari: sono quelli che impediscono l’adozione del tappo a vite».
Così, sul banco d’accusa finisce non soltanto la chiusura con il sughero ma soprattutto la chiusura ideologica dei consorzi. «Con quale diritto si stabilisce che il tappo a vite pregiudica la reputazione mentre usare una bottiglia di vetro da 800 grammi per un vino fermo no? In tempi di attenzione crescente per la sostenibilità, non dovrebbe essere preferita la soluzione che impatta di meno in termini di costi energetici e di riciclabilità?», provoca infine Michele Antonio Fino, giurista e docente dell’Università di Pollenzo. «Il problema di impostazione è l'idea che una chiusura determini il prestigio di una denominazione», conclude.