Antonio Cosmi e suo fatello Fausto hanno il volto segnato dal sole. Sono gli eredi di una famiglia di contadini che dagli anni Sessanta pratica l'agricoltura nell'agro romano che dai Castelli Romani si piega verso il mare di Pomezia e Torvaianica. Dal 2004 sono certificati biologici. «Ma mai avevamo pensato di intraprendere la strada dei cosiddetti vini naturali», sorride Antonio che incontriamo alla degustazione romana di Terraviva. l'agenzia che nel Lazio rappresenta realtà come Triple A, Maurizio Cavalli, Sarfatti e Velier con il motto "Non crediamo che un vino si debba adattare al mercato che affronta, deve essere soprattutto espressione della propria terra e di chi la lavora"». Insomma, forse qualcuno si offenderà o si sentirà tirato per la giacca, ma siamo in uno dei "templi" del vino naturale. O di come vogliamo definire la galassia antagonista ai grandi player dell'industria del vino.
Una Malvasia che non somiglia alle "altre"
La prima domanda viene dopo l'assaggio di una Malvasia Puntinata, vitigno bandiera della loro zona che però non ci ha mai convinti fino in fondo; sentiamo una vaga idea di ciò che normalmente si chiama Malvasia, ma nel calice c'è un vino "contadino" che non somiglia agli altri e che al tempo stesso ha una bella pulizia e un carattere deciso. Ma davvero è Malvasia Puntinata? «Certo - sorride Antonio Cosmi - Solo che la lavoriamo con i suoi lieviti, utilizziamo come starter per la fermentazione una piccola spremuta delle stesse uve che di lì a una settimana andremo a pigiare insieme a quella primissima spremitura che ha già iniziato a fermentare e che aiuterà nella fermentazione tutta la massa». Lieviti autoctoni, uno dei leit motiv del "vino naturale".
"Tutto nasce per un errore"
Ma come ci sono arrivati i Cosmi - contadini dell'agro romano - a vinificare così, chiediamo? Li ha covinti qualcuno? Sono stati folgorati sulla via della biodinamica? «Assolutamente no - spiega Antonio - Tutto nasce come errore. Undici anni fa, un pomeriggio terminammo di vendemmiare quasi alle 17: eravamo stanchi morti, così lasciammo tutta l'uva in vasca riproponendoci di lavorare il vino la mattina seguente. Il giorno dopo vediamo che la fermentazione era già partita: ci siamo spaventati, temevamo che avremmo dovuto buttare via tutto. Alla fine, però, abbiamo lasciato la vasca così come stava e ci siamo concentrati sul resto dell'uva da vinificare. Ervamo curiosi di vedere come sarebbe andata a finire». Così nella cantina di famiglia i fatelli hanno fatto finire la fermentazione e alla fine hanno svinato. Pensavano che avrebbero assaggiato una schifezza. Ma invece... «Tutto sommato, quel vino nato per sbaglio ci convinceva. Ma non ci fidavamo di noi stessi al cento per cento, così abbiamo fatto assaggiare ad amici ed esperti quel vino "nuovo" insieme a quello "vecchio", cioè lavorato come avevamo sempre fatto. Beh, quella novità è piaciuta a tutti». Così nasce la nuova era di questa cantina dell'agro romano. Assaggiamo i loro vini, tutti molto precisi e dal carattere schietto, puliti e netti. A differenza della vulgata comune, l'omologazione "al contrario" che renderebbe tutti uguali i vini naturali non abita in queste etichette, anzi. Anche l'assemblaggio di tutte le uve della vigna realizzato per non buttare quel che restava delle pessima vendemmia 2023 che ha visto distrutto il 70% dei grappoli, ha un suo perché. Anzi. Forse anche questo potrebbe essere l'inizio di un nuovo capitolo per una cantina che ha sempre vinificato i singoli vitigni e li ha messi in bottiglia separatamente: forse con una ancor più selettiva scelta delle uve ad hoc, questo blend di territorio potrebbe davvero ben rappresentare lo spirito della loro terra.
"Ecco perché conviene usare gli autoctoni"
C'è un altro elemento che convince i fratelli Cosmi a continuare sulla strada dei lieviti autoctoni e che racconta anche un po' della scelta che possiamo chiamare "naturale". «Abbiamo visto - spiega Antonio - che senza lieviti esterni la fermentazione avviene in maniera meno irruenta. Questo come prima cosa ci porta a usare molto meno il freddo indotto. Inoltre, abbiamo notato che anche in fase di svinatura non abbiamo bisogno di utilizzare enzimi per la chiarificazione: forse perché le fecce sono meno dure e compatte, ma continuiamo a osservare che anche i cattivi odori sono del tutto assenti, almeno finora, e quindi possiamo limitare il nostro intervento alla osservazione continua del processo di vinificazione, ma non dobbiamo aggiungere sostanze esterne». Un percorso che tutti potrebbero fare, dunque? «Beh, è un percorso che richiede presenza e attenzione: le uve devono essere sempre sane, non deve esserci marciume e non bisogna pretendere chissacché, per esempio aromi spinti e particolarmente intensi». E così capiamo anche meglio perché la loro Malvasia ci sia piaciuta a dispetto delle altre provate in maniera randomica. Intervento sì, quindi, nel controllo e nella selezione, nell'assaggio, nella cmprensione dei tempi e nel non voler spingere troppo. Intervento no, invece, «o il meno possibile», si schermisce Antonio) quando significa aggiungere "ingredienti" esterni all'uva. Una sorta di "emulazione" di ciò che avviene nel mondo dell'extravergine: alla spremuta ottenuta meccanicamente dalle olive non si può aggiungere nulla. E forse potrebbe essere questo un percorso da cui il vino potrebbe trarre nuova forza.
Cosmico, un ancestrale con degorgement
Ora, però, parliamo del vino che specialmente tra le nuove generazioni (ma non solo, diciamo tra chi ha scelto di bere "diversamente" cercando più freschezza e leggerezza che non "vinosità" spinta) rappresenta la "nuova generazione" del vino naturale, quella che tira di più sul mercato: le bollicine ancestrali o col fondo, come vengono definiti i "contemporanei" vini frizzanti vinificati alla maniera più tradizionale e antica. Parliamo di Cosmico, vino bianco frizzante, una Igt Lazio da uve Trebbiano al 100%. Un ancestrale in cui la rifermentazione in bottiglia viene indotta con l'immissione di una piccola parte di mosto sempre di Trebbiano. Bottiglie chiuse con tappo a corona (come per i metodo classico) e che poi vengono sboccate a mano, "alla volée" come dicono gli artigiani-contadini (sempre meno se non assolutamente ormai scomparsi) dello Champagne: ovvero a mano, senza congelare il collo della bottiglia con i lieviti in sospensione. «Basta apoggiare il fondo della bottiglia alla pancia e osservare la bolla che indica quando i lieviti sono tutti sul collo - spiega Antonio - A questo punto si toglie il tappo a corona, vengono espulsi i lieviti che formano il feccino, si ricolma la bottiglia con un uguale vino frizzante e si ritappa a corona». Et voila, le vin est prêt!
Sboccatura o no? Il bello di poter scegliere
Direbbero così i cucini di Francia che - abbiamo notato nel giro di degustazione tra le varie etichette europee di Terraviva0 - anche loro fuori dalla Champagne hanno cominciato a utilizzare la sboccatura alla volée, una pratica che però divide i diversi protagonisti della galassia del vino naturale. C'è chi dice che anche il feccino, i lieviti esausti, fanno la naturalità di questo vino; c'è chi invece preferisce assicurare un prodotto più limpido (anche nel gusto) e che non comporta bevute "diverse" tra chi assaggia il primo bicchiere e chi invece ha in sorte l'ultimo. Così come c'è anche discussione tra chi spiega come tenere ferma la bottiglia per far depositare in fondo i lieviti e poi andare avanti in una sorta di "bevuta a due fasi" e chi invece terizza l'agitazione della bottiglia per avere una bevuta omogonea. La discussione piò andare avanti: l'imèportante è che ciascuno di noi possa continuare a scegliere come e cosa bere. E goderne. Questo è il vero lusso.