Il futuro del vino passa dall’espianto dei vigneti? La regola è sempre la stessa: quando una coltura si trova in difficoltà, la soluzione più papabile è passare ad altro, estirpando - nel senso letterale del termine - il problema alla radice, grazie ai contributi europei.
La difficoltà del vino, nello specifico, viene da una concatenazione di più eventi: anni di sovrapproduzione, calo dei consumi, cambiamenti climatici, aumento dei costi.
Sul tavolo della crisi c’è soprattutto la questione dei vini rossi, in perdita costante da anni, con zone rossiste (dall’Abruzzo alla Sicilia, passando per la Puglia) in grande sofferenza. E adesso l’idea di rottamare i vigneti non è più così peregrina. La Francia lo ha già fatto attraverso un piano strutturale e, al di fuori dei confini comunitari, la California e l'Australia ci stanno pensando. E l’Italia?
Se ne è già parlato a Bruxelles all’interno del Copa Cogeca, l’organizzazione europea delle associazioni di agricoltori e delle cooperative agricole. Una proposta concreta potrebbe arrivare a breve in Commissione Ue.
Estirpazione a tempo
«Ci troviamo in una situazione molto complicata, soprattutto per quanto riguarda i consumi dei vini rossi che vanno sempre più giù» spiega al settimanale Tre Bicchieri il presidente del Gruppo di Lavoro vino del Copa Cogeca Luca Rigotti «Da qui il tentativo di mettere in piedi degli strumenti europei per gestire l’offerta. Si tratta di proposte che devono ancora essere discusse con la Commissione Ue e che vengono dal basso, dagli stessi produttori europei: una sorta di autoanalisi del settore. Una di queste proposte è appunto quella di ricorrere all’estirpo. Un estirpo che potremmo definire a tempo e non definitivo. Ciò significa che il viticoltore avrebbe un tempo minino di tre anni e massimo di otto prima di reimpiantare o decidere di non farlo più. In questa fase, può dedicarsi ad altre colture o decidere di non coltivare».
Ma qual è l’obiettivo di questi paletti temporali? «Ristabilizzare il mercato» risponde Rigotti «Nel caso specifico alleggerirlo e avere il tempo di capire se eventualmente investire su altre varietà più richieste dai consumatori o uscire dal settore».
Le proposte sul tavolo
In questo piano, ancora work in progress, resta il tasto dolente dei fondi. Devono essere nazionali, seguendo l’esempio della Francia, o europei? «L’idea per l’estirpo a tempo» continua Rigotti «è di attingere dai fondi di ristrutturazione e riconversione del vigneto. Se però si finisse nell’estirpo totale, allora non si potrebbe rientrare in questa misura e bisognerebbe trovare altre risorse, escludendo quelli della promozione, perché senza la promozione il problema del calo dei consumi rischierebbe di ingrandirsi ancora di più. Poi sia chiaro» sottolinea «le Regioni che aderissero all’espianto non potrebbero richiedere l’aumento della superficie vitata dell’1% negli anni successivi, come è attualmente previsto dal sistema delle autorizzazioni: sarebbe anacronistico».
Tra le altre idee sul tavolo anche quella di bloccare le autorizzazioni dei nuovi impianti per un triennio, ma commenta Rigotti «sarebbe un problema per i giovani viticoltori e le nuove aziende. Non è facile trovare una quadra».
I prossimi passaggi in Europa e al Masaf
Nelle prossime settimane, quindi, la proposta sugli espianti potrebbe essere portata in Commissione Ue e non è escluso che si concretizzi prima delle prossime elezioni europee. «Spero che la misura - intesa come un’ulteriore possibilità di intervento per tutti gli Stati membri - possa essere attiva già dal 2024, in attesa di vedere cosa succederà con la prossima vendemmia. D’altronde» conclude Rigotti «non possiamo ricorrere solo a misure di emergenza come la distillazione di crisi. Servono interventi strutturali e credo che questa presa di coscienza e voglia di autoregolamentarsi da parte del settore vitivinicolo sia già di per sé una buona notizia».
Parallelamente, a livello nazionale, non sono mancati i primi incontri tecnici al Masaf per affrontare la questione espianti con le diverse sigle di categoria. Ma non tutti sono d’accordo.
Uiv: “Si incoraggia l'abbandono della vigna”
Non condivide la proposta, Unione Italiana Vini che ribadisce con forza la sua opposizione: «No a qualsiasi azione di estirpo con premio, nello specifico con i fondi del Programma nazionale di sostegno (Pns)». Per il segretario generale Uiv Paolo Castelletti: «Le misure del Pns mirano a rafforzare la competitività delle imprese del vino e a orientare le produzioni al mercato, non a incoraggiare l’abbandono della vigna. Gli obiettivi della Ocm vino devono restare competitività e adattamento al mercato e – domani - alla transizione climatica. Un dibattito su possibili piani di estirpo in alcune aree viticole del Paese, come accaduto in Francia, è un tema da affrontare con estrema cautela, con dati concreti sulla situazione del potenziale e sull’andamento dei consumi in futuro».
Per l’associazione, quindi, prima di qualsiasi valutazione sul potenziale di produzione, bisogna poter disporre di dati aggiornati della situazione del vigneto Italia. Da qui la richiesta di istituire subito un gruppo di lavoro al Masaf per verificare la situazione. In prospettiva, la proposta è di modificare l’attuale decreto sulle autorizzazioni, introducendo criteri di ammissibilità e di priorità, in base alla situazione di sviluppo del mercato delle diverse aree geografiche, evitando “assegnazioni a pioggia”.
Cia possibilista, ma resta il nodo delle risorse
«È ancora presto per parlare di un vero piano di estirpazione» dice al Gambero Rosso il presidente Cia-Agricoltori italiani Cristiano Fini «ma non è neanche da escludere. Bisognerà vedere quali saranno le condizioni da qui ai prossimi mesi, soprattutto in termini di consumi e di produzione. Se le giacenze resteranno alte e i consumi continueranno a diminuire saranno necessari degli interventi. Chiaramente se misure come la distillazione di crisi sono provvisorie, l’estirpazione, invece, è una misura duratura su cui, quindi, bisogna fare una riflessione più importante, in sede europea, visto che il problema non è solo italiano. Per quanto riguarda i fondi” conclude Fini “la Francia ha usato quelle nazionali. Qua in Italia però è tutto da vedere, visto che di risorse, si sa, ce ne sono poche».