Quando si parla della nascita dello Champagne la prima associazione mentale che si fa è con l’abate Dom Pérignon, ma ancora troppo poco si parla della donna che contribuito alla nascita del “moderno” metodo classico: Barbe-Nicole Ponsardin, meglio conosciuta col nome di vedova Clicquot. La lista delle cose che si devono a lei è lunga: il primo table de remuage, il primo champagne rosé per assemblaggio ma anche il primo champagne millesimato, oltre che la conquista del mercato russo, nonostante l’embargo di Napoleone.
Una storia rivoluzionaria
Madame Clicquot prese le redini aziendali della maison ad appena 27 anni alla morte del marito. Ma la sua non fu una vita facile.
Parliamo di circa due secoli fa, quando saper leggere e scrivere per una donna era già un atto rivoluzionario. Così giovanissima e con una figlia al seguito, prima dovette convincere il suocero a lasciarle il comando e non vendere le quote ai bramosi vicini, tra cui un certo Moët, attirandosene le antipatie. Poi provò a raggirare le regole napoleoniche che vietavano ad una donna di governare una cantina, fino a subire anche un processo per condotta disonorevole.
La sua storia imprenditoriale e personale è diventata anche un film – Widow Clicquot di Thomas Napper - presentato in anteprima all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, ma ancora non arrivato al cinema.
L’invenzione dello Champagne moderno
Tra le invenzioni più sorprendenti di Madame Clicquot, il table de remuage: il metodo usato ancora oggi anche in Italia che, attraverso una precisa rotazione manuale di ogni bottiglia di bollicine, consente di farla passare da una posizione orizzontale a una verticale a testa in giù. In questo modo il deposito, dovuto alla rifermentazione e all’affinamento sui lieviti, scende nel collo della bottiglia e diventa più semplice eliminarlo insieme al tappo provvisorio.
Il sistema permise alla vedova Clicquot di chiarificare lo champagne e ottenere maggiore successo dei suoi concorrenti sul mercato. Ma anche nella Francia della égalité certe cose non venivano perdonate, soprattutto se a farle era una donna. Da qui il processo che la Grand Dame dovette subire con accuse anche molto personali, legate proprio al suo sesso e all’aver intrapreso una relazione, nonostante la sua condizione di vedovanza. Che a pensarci è una contraddizione in termini. Ma tant’è.
L’invenzione dello Champagne rosé per assemblaggio
A raccontare la vedova a livello produttivo ci pensano, ancora oggi, i suoi vini. O meglio, quelli che la maison Veuveu Clicquot continua a produrre seguendo le sue intuizioni. Uno in particolare: la Grande Dame Rosé.
«L’ultima annata - la 2015 - rappresenta l’essenza di Madame Clicquot: la perfetta espressione della sua forza d’animo, della sua energia, creatività e, soprattutto, del suo amore per il Pinot Noir», racconta lo chef de cave della Maison Didier Mariotti che svela come la vedova «sfidò i metodi convenzionali assemblando il vino rosso, proveniente dall’amata Parcelle di Clos Colin, con i suoi vini bianchi». Un’intuizione che dapprima le attirò prima le critiche degli altri produttori e che oggi le vale il titolo di ideatrice del primo champagne Rosé per assemblaggio della storia.
«Prima della pionieristica innovazione di Madame Clicquot» continua Mariotti «la tonalità rosa degli altri champagne Rosé era un “rosé de teinte”, che si otteneva con un’infusione di vino bianco, sambuco e uva nera. Madame Clicquot, che amava i colori, era attratta da quel rosa, ma era determinata a trovare un metodo alternativo per ottenere la stessa tonalità, senza compromettere la qualità del suo champagne. Ecco come nacque l’idea di assemblare il suo vino rosso di Bouzy con i vini bianchi. Il risultato fu una vera rivelazione». Come d’altronde tutta la sua vita.