I più comuni difetti del vino. Ecco quali sono e come riconoscerli

16 Feb 2025, 12:27 | a cura di
Quando si assaggia un vino può capitare di imbattersi in alcuni difetti. Ecco una panoramica di quelli principali e quali sono le sensazioni che creano nel calice. Alle volte sono voluti e allora diventano un pregio

Rispetto a qualche decennio fa, stappare una bottiglia e trovare un vino palesemente difettato è abbastanza raro. Il progresso tecnologico e scientifico, checché se ne dica, ha portato a un miglioramento della produzione vinicola, tanto che ormai alcune malattie del vino sono un ricordo del passato. Per esempio: chi può dire di aver bevuto recentemente un vino attaccato dalla "fioretta"? Probabilmente nessun consumatore ne ha mai sentito parlare negli ultimi vent'anni.

Si tratta di una vera e propria malattia che si percepisce già alla vista. Sul vino si forma un velo bianco, causato dall'azione di un lievito, il Candida Mycoderma, che rende il prodotto piatto dal punto di vista gustativo e vagamente acetico. È dovuta di solito alla scarsa igiene dei locali di produzione e maturazione o dei recipienti (soprattutto quando sono tenuti scolmi), entrambi aspetti su cui le cantine di oggi concentrano l'attenzione molto più che in passato.

Questo preambolo, però, non vuole dare a intendere che sul mercato non siano presenti bottiglie colpite da qualche difetto. E allora, di seguito vi indichiamo i più comuni e cerchiamo di imparare a riconoscerli.

I principali difetti del vino

Acidità volatile molto alta

Abbiamo già parlato di acidità del vino nel nostro glossario e abbiamo detto che è una delle caratteristiche principali del prodotto. Possiamo dividerla in acidità fissa, volatile e totale. La prima è l'acidità data dalle varie sostanze acide presenti nel vino ed è quella che si percepisce in bocca quando lo degustiamo. La volatile invece è un tipo di acidità costituita, come dice il nome, da molecole che si disperdono nell'aria. La somma delle due dà l'acidità totale di un vino. Il più importante acido che costituisce la volatile è quello acetico. Entro certi limiti, l'acidità volatile è in grado di conferire carattere ai vini, dando una spinta di energia tanto agli aromi quanto al palato; quando però i parametri sono troppo alti, allora abbiamo davanti un vino difettato: ce ne accorgiamo perché sia gli aromi che il gusto assomigliano a quelli dell'aceto.

Contaminazione da Brettanomyces

I Brettanomyces sono dei lieviti che si possono trovare nei terreni, nella corteccia degli alberi, sulla buccia delle uve o all'interno di botti in legno non opportunamente pulite. Si moltiplicano in presenza di ossigeno e sono resistenti all'alcol, quindi possono proliferare non solo nella fase di vinificazione ma soprattutto durante la maturazione o l'affinamento. Come per l'acidità volatile, se la contaminazione da brett (è l'abbreviazione) rimane entro certi limiti, il vino subisce una certa influenza positiva dal lavoro svolto da questi micro-organismi, assumendo maggiore complessità e struttura. Ma il difetto è dietro l'angolo: tenere a bada qualcosa di selvaggio come il brett è praticamente impossibile.

E quindi come si presenta un vino "brettato"? Con odori molto sgradevoli, una sorta di galleria degli orrori che va dal cane bagnato, all'urina di topo, dalla stalla alla sella del cavallo, arrivando alla plastica, alla vernice, al sudore, alla crosta di formaggio.

Ossidazione

Il dialogo con l'ossigeno contribuisce a generare quel fascino particolare di cui il vino si ammanta. La maturazione e l'invecchiamento consistono proprio in questo: dare al liquido l'opportunità di respirare lentamente, arricchendo la sua essenza con nuove sfaccettature. Quando però questo dialogo diventa una discussione accesa, allora nascono problemi. Fuor di metafora, quando il contatto con l'ossigeno è troppo forte (o in fase produttiva o a causa di un tappo che non ha tenuto o a causa di un eccessivo invecchiamento) il vino inizia a spegnersi.

Si spengono i colori: i vini bianchi si scuriscono e virano verso il nocciola, i rossi sbiadiscono e tendono al color mattone o all'arancio. Ma soprattutto si spengono gli aromi e il sapore: i profumi svaniscono e lasciano spazio a sensazioni di solvente mentre in bocca rimane una fastidiosa sensazione asciutta e vagamente amarognola.

Detto questo, esiste una particolare tipologia di vini che fanno del contatto con l'ossigeno la loro arma vincente: si tratta dei cosiddetti "vini ossidativi", vini da meditazione, dotati di grande fascino e tanta complessità: in Italia troviamo la Malvasia di Bosa e la Vernaccia di Oristano, in Francia i Vin Jeaune dello Jura, solo per citare i più famosi.

Riduzione

È il contrario dell'ossidazione. Nelle varie fasi di produzione del vino, ci sono dei momenti in cui il contatto con l'ossigeno è fondamentale, per esempio nella prima fase della fermentazione quando i lieviti hanno bisogno dell'ossigeno per svilupparsi e dare il corretto avvio al processo. Nel caso in cui l'apporto di ossigeno non sia sufficiente, si rischia una cattiva fermentazione che crea composti volatili contenenti zolfo; gli stessi possono anche formarsi durante l’affinamento e dopo l’imbottigliamento. Nel calice si riscontreranno quindi fastidiose sensazioni olfattive che ricordano la cipolla, l'aglio, il fiammifero, fino ad arrivare a casi in cui si percepiscono chiaramente sentori di uovo marcio o cavolo bollito. In bocca il vino sarà di tendenza amarognola o eccessivamente vegetale.

Rifermentazione

Quando si parla di questo difetto, ovviamente si fa riferimento a una rifermentazione non voluta o incontrollata all'interno della bottiglia. Infatti esistono delle tipologie di vino, i "rifermentati in bottiglia", o gli "ancestrali, ma anche gli stessi Metodo Classico, in cui il processo viene proprio cercato e viene calibrato in relazione agli effetti che si desiderano.

Perché può capitare che parta una fermentazione non voluta all'interno della bottiglia? Di solito perché ci sono zuccheri residui fermentescibili nel vino e una piccola presenza di lieviti non ancora esausti; se i solfiti non riescono a bloccarli, questi si riattivano e danno avvio al processo. In bocca si percepirà una leggera sensazione frizzante data dall'anidride carbonica, che se stiamo bevendo un vino che dovrebbe essere fermo risulta un difetto; al naso invece si sentiranno perlopiù sensazioni di lievito, di mollica di pane non cotto, ma anche, nei casi peggiori, sentori sgradevoli di note lattiche e formaggio.

Tappo

Tra i difetti è sicuramente il sentore di tappo è quello più diffuso e anche quello più facile da riconoscere. Responsabile ne è una molecola – ma non è la sola - che si chiama tricloroanisolo (abbreviato in TCA) che si forma, in determinate condizioni, sulle querce da sughero attaccate da un fungo parassita, l'Armillaria Mellea (della stessa famiglia dei famosi funghi chiodini). Quindi, generalmente, il responsabile di questo difetto è proprio il tappo di sughero, da qui il nome. Ma il difetto, anche se più raramente, potrebbe derivare anche da una contaminazione microbica di uve e locali di produzione: in quel caso sarà tutto il vino a essere difettato, e non solo quello tappato con sugheri contaminati.

Ma quale odore ha un  vino che "sa di tappo"? Perlopiù sgradevole: legno secco e marcio, fungo e muffa, cartoni e giornali bagnati. Anche la bocca ne risente e il vino risulta asciugante e svuotato di quello che dovrebbe essere il suo sapore.

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