Dazi potenziali al 200% sui vini europei ma effetti che sono già realtà per le imprese vitivinicole italiane, soprattutto quelle con maggiore esposizione verso gli Stati Uniti, come il brand Ruffino. Lo conferma Sandro Sartor, amministratore delegato della società nel portafoglio di Constellation Brands (gigante del beverage che potrebbe cedere parte della divisione vino): «Le nostre merci sono adesso bloccate dentro un magazzino a Livorno», spiega il manager al quotidiano fiorentino La Nazione, sottolineando che su 120 milioni di euro l’anno di fatturato, ogni mese l’export verso gli Stati Uniti vale 5 milioni di euro. Il risultato è che con l’applicazione delle super tariffe da parte dell’amministrazione Trump a partire da aprile le perdite annue stimate arriverebbero a 60 milioni di euro.
Per Ruffino, la situazione appare difficile, con circa un milione di bottiglie ferme nei depositi a causa della sospensione degli ordini da parte degli importatori americani «per timore di pagare il 200% di dazi su ogni bottiglia. Eravamo pronti, come ogni mese, a far partire oltreoceano quasi un milione di bottiglie e, invece, al momento sono ferme», ha sottolineato Sartor. Il trade ha reagito incrementando le giacenze (con effetti anche sull’export italiano di vino nel 2024) presso gli importatori americani e «almeno per due o tre mesi le nostre bottiglie saranno presenti sugli scaffali, ma il problema va risolto entro qualche settimana». Il ceo di Ruffino auspica l’avvio di un negoziato tra Ue e Casa Bianca, per rivedere le tariffe al 50% sul whisky e al 200% su vini e champagne, stralciando queste cifre».
«Adesso negli Stati Uniti – spiega – una bottiglia di Chianti è venduta in media a circa 12 dollari che, coi dazi al 200% diventano 36 dollari a bottiglia, praticamente il prezzo dello Champagne». Nessun timore, invece, per i mercati europei, ma se la situazione si dovesse protrarre a lungo «potrebbero esserci ripercussioni a livello occupazionale. Il problema è gigantesco a livello nazionale, non possiamo fare finta di niente. E oltre al calo dei consumi – conclude Sartor conversando con La Nazione in un articolo del 24 marzo – dobbiamo fare i conti anche con la crisi economica».
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