Senz'altro l'anno appena nato è entrato in orbita sotto il segno di Trump. L'imprevedibile Trump (totally unpredictable, come lo hanno definito le principali testate internazionali). Dopo aver sganciato il drone della discordia in Iran, che rischia perfino portare a una nuova guerra planetaria, adesso l'inquilino della Casa Bianca è pronto a premere l'altro pulsante su cui campeggia la scritta “guerra commerciale”. Il tempo stringe e la lista dei prodotti che potrebbero essere sottoposti a dazio aggiuntivo sembra allargarsi, fino ad includere – come Tre Bicchieri ha scritto il 19 dicembre – anche il vino italiano, fino a ora escluso dalla prima tranche. Il 13 gennaio dovrebbe concludersi la consultazione avviata il 6 dicembre dal Dipartimento del Commercio americano (USTR) che svelerà la lista definitiva dei prodotti e la percentuale di dazio, che stavolta potrebbe arrivare fino al 100% (fino ad ora, dal 18 ottobre, era del 25% per i vini di Francia, Spagna, Germania e Regno Unito, e includeva per l'Italia anche formaggi, carni di maiale, frutta, liquori e cordiali. Ma l'aggiornamento della lista pubblicata lo scorso dicembre mette a rischio tutti gli altri Paesi membri) del valore della merce. Chiaramente l'entrata in vigore delle nuove tariffe non potrà avvenire prima di febbraio: 180 giorni da quel funesto 18 ottobre che diede inizio all'incubo, in seguito al contenzioso Boeing-Airbus (in cui l'Italia - ricordiamo - non aveva avuto alcun ruolo).
Spedizioni anticipate verso gli Stati Uniti
Così queste ultime settimane, che di solito sono l'occasione per fare il punto sull'anno appena concluso, sono state di confusione e paura. C'è chi, dall'altra parte dell'Atlantico ha preferito bloccare gli ordini, preoccupato di ritrovarsi, poi, a dover pagare di più e c'è chi, al contrario (soprattutto i grandi gruppi), si è cimentato in una corsa contro il tempo per riuscire a incamerare più prodotto possibile. Da Montalcino – ma si tratta solo di uno dei casi più emblematici - arrivano le testimonianze dei produttori che, su richieste degli importatori, hanno lavorato anche tra Natale e Capodanno per poter garantire una spedizione anticipata. "Come Consorzio non abbiamo dati specifici sulle spedizioni degli associati” dice il presidente Fabrizio Bindocci “ma nei contatti informali con le aziende, abbiamo potuto verificare che alcune cantine, non solo grandi ma anche piccole, hanno spedito anzitempo negli Usa pur di non cadere, almeno temporaneamente, sotto la possibile mannaia dei dazi”.
Rimangono pochi giorni ancora per scongiurare il peggio e, intanto, diverse petizioni stanno girando in queste settimane per tentare di allontanare l'amaro calice.
La petizione dei vignaioli italiani
In Italia a lanciarla è stato Michele Antonio Fino, insieme ai vignaioli Marilena Barbera, Gianluca Morino e Paolo Ghislandi, rivolgendola alla ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, al ministro degli Affari Esteri Lugi Di Maio, al presidente della Commissione Agricoltura alla Camera Filippo Gallinella, al presidente del parlamento Ue David Sassoli, al commissario Ue per l'Economia Paolo Gentiloni e al commissario dell'Agricoltura Ue Janus Wojciechowski. Ad oggi - a pochi giorni dal verdetto – sono già state raccolte 6mila firme (qui il link).
“Siamo vignaioli di tutta Italia” si legge nel testo “e abbiamo scritto e firmato un grido di aiuto: l'aumento dei dazi americani sul vino proveniente dall'Ue sarà una catastrofe senza precedenti. Noi diciamo no a questa guerra commerciale, e ci schieriamo al fianco dei nostri importatori e distributori americani, che in queste settimane hanno avviato numerose campagne di informazione e sensibilizzazione nei confronti dell’Amministrazione Usa e della Ustr, alle quali sono state indirizzati migliaia di commenti e di appelli affinché i nuovi dazi non entrino mai in vigore, e affinché vengano sospesi i dazi del 25% già in essere per alcuni vini europei”.
La posizione dell'Unione Italiana Vini
A fianco dei produttori italiani, c'è anche Unione Italiana Vini che, insieme a Federvini, è stata tra le prime associazioni a lanciare l'allarme nei mesi scorsi: “Uiv” ricorda il presidente Ernesto Abbona “ha destinato un importante investimento economico in un’azione senza precedenti: una campagna di comunicazione social, in coordinamento con gli importatori delle nostre aziende, verso i consumatori americani e gli operatori della filiera (ristorazione, distribuzione, ecc.), affinché partecipino alla public consultation, facendo sentire la propria voce all’Amministrazione Usa. In collaborazione con gli stessi importatori e la loro associazione di rappresentanza – The National Association of Beverage Importers (Nabi) – stiamo, inoltre, coordinando un’articolata azione di lobbying verso il Congresso. La tutela del business e dei posti di lavoro in America dei soggetti che oggi importano i nostri vini e hanno investito nei nostri brand è uno degli argomenti che potrebbe convincere il governo di Trump a esonerare il nostro settore e il nostro Paese da eventuali misure”. “A oggi” puntualizza il segretario generale Uiv Paolo Castelletti "le osservazioni arrivate al Dipartimento sono circa 12.000: un numero ancora troppo basso. Quindi bisogna agire subito. La politica non ci lasci soli”.
Di fatto le risposte istituzionali, fino a qua, si sono fatte attendere. Un timido segnale è venuto last minutes dal ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli che, nella puntata di Porta a Porta dell'8 gennaio ha affermato che il Governo “sta lavorando affinché non vengano applicati dazi alla produzione vitivinicola italiana. Sappiamo benissimo che non è facile” ha proseguito “ma è assurdo che per questioni che non riguardano il nostro Paese siano i nostri produttori a dover pagare”.
L'impatto sull'industria vitivinicola Usa
Oltreoceano è soprattutto l'industria vitivinicola a far sentire la sua voce. Anche perché, se per il vino italiano le nuove tariffe metterebbero a rischio circa 1,5 miliardi di euro (questo il valore raggiunto dall'export lo scorso anno), per il mondo degli importatori americani, il prezzo da pagare sarebbe anche più alto. Secondo i dati riportati su JancisRobinson.com, se dovesse essere attuato un aumento delle tariffe del 100%, gli Stati Uniti potrebbero vedere minate le perdite di entrate di oltre 2 miliardi di dollari e circa 10mila posti di lavoro.
La campagna contro i Dazi in Usa
Spinta da questa deprimente prospettiva, la National Association of Wine Retailers Usa ha lanciato nelle settimane scorse una campagna contro l'implementazione delle tariffe, invitando tutti i diretti interessati ad inviare un'e-mail al loro governo locale e ai rappresentanti commerciali per esprimere la loro preoccupazione. C'è anche un testo già pronto a cui poter aderire, dove si leggono parole molto dure contro la decisione del Governo Trump: “Vi esorto caldamente a non punire me, i miei compagni amanti del vino, o rivenditori di vino laboriosi, per problemi che non abbiamo causato. È ingiusto. Dovreste punire i responsabili. Punire Airbus, i suoi fornitori e le società francesi di servizi digitali sarebbe molto più efficace, oltre che equo”.
Il gruppo mette in evidenza soprattutto il rischio per i consumatori locali. L'aumento delle tariffe del 100%, infatti, si tradurrebbe in un aumento del prezzo per l'acquirente americano del 150%. E sulla possibilità che questo si traduca in una opportunità in più per i produttori locali, si dimostra scettica, almeno a stretto giro: “Non vi è alcun sostituto per le importazioni di vino dall'Unione Europea. I vini europei sono diversi dai vini nazionali e da quelli degli altri Paesi produttori. Inoltre, poiché ci vogliono molti anni per piantare nuovi vigneti e consentire loro di produrre frutti maturi che possono essere raccolti per produrre vino, ci vorrà almeno un decennio prima che l'industria vinicola nazionale americana possa essere in grado di iniziare a sostituire le importazioni di vino dall'Ue”.
La critica del New York Times
Anche il New York Times non è rimasto a guardare e dalle sue colonne il critico enogastronomico Eric Asimov non ha usato mezzi termini: “L'amministrazione Trump non ha spiegato perché abbia individuato vino e cibo in una disputa sull'industria e la tecnologia. Una mossa intesa a imporre sofferenza all'Unione europea può mettere a repentaglio molti posti di lavoro e imprese americani, mettendo fuori portata i vini popolari”. Le testimonianze che il giornalista ha raccolto tra ristoratori e distributori di vino italiano in Usa esprimono rabbia e disperazione: "È punitivo per le persone sbagliate per le ragioni sbagliate". A rischio, infatti ci sono soprattutto imprese americane, così come fanno notare le stesse: "Mettere a rischio le piccole imprese americane non è un modo per risolvere una controversia commerciale internazionale". Basteranno queste motivazioni a fermare l'unpredictable Trump in questo unpredictable 2020? Il verdetto del 13 gennaio, non sarà l'unico nel corso di questi 12 mesi: ad attendere il tycoon americano il prossimo novembre ci sarà quello per lui più importante: le presidenziali statunitensi. Sbagliare mossa, in questo momento, non conviene a nessuno.
a cura di Loredana Sottile
foto di Gerd Altmann
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 9 gennaio 2020
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