Il senza alcol potrebbe essere il nuovo Re Mida del mondo del vino. Tra abitudini salutiste, motivi medici o religiosi e giovani generazioni sempre meno legate a preconcetti culturali sull’alcol, sono sempre di più i consumatori interessati a bere bottiglie 0%. Un segmento che oltreoceano vale già un miliardo di dollari e che sta diventando la nuova frontiera del business vitivinicolo anche in Italia. L’ultimo ad averlo capito è stato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che di recente, dopo varie restistenze, ha dato il sucito alla produzione in Italia di dealcolati (a breve ci sarà un primo tavolo di confronto con la filiera per stabilire le regole di produzione), facendo tirare un sospiro di sollievo a buona parte delle aziende costrette a dealcolare fuori dai confini nazionali. I produttori non sono però gli unici ad aver investito utopicamente nella fetta del vino alcol free. Anche la distribuzione ci ha visto lungo. È il caso di Etilika, il primo e-commerce italiano ad aver aperto alla categoria del senza alcol. Una sezione dedicata ai dealcolati che, tra bottiglie quasi totalmente italiane e clienti nostrani e esteri, ha registrato ottimi risultati nel giro di soli due mesi. Ne abbiamo parlato con Giampaolo Bertini, responsabile selezione prodotti Etilika.
Come mai la scelta di aprire questa sezione?
Il mondo del vino sembra statico ma non lo è affatto. Ci sono sempre nuove tendenze e nuove strade. Noi abbiamo deciso di percorrere quella dei dealcolati su impulso un po’ del mercato americano, che non avendo freni imposti dalla tradizione ha aperto le porte al vino zero alcol quasi 10 anni fa. Del resto, checché ne dica il ministro Lollobrigida, il vino dealcolato è un vino a tutti gli effetti, un po’ come il vino fortificato. Questo ci ha fatto credere che potesse essere possibile inserire una sezione dedicata che per determinate caratteristiche riescono ad abbracciare una fascia di mercato e di clienti molto ampia.
Questo significa che il vino senza alcol è un trend in crescita in Italia?
Sì, ne siamo certi. Basti considerare che mondo degli astemi in Italia conta approssimativamente un milione di possibili clienti. Chi non beve alcol, forse un po’ sulla scia della birra zero, è molto incuriosito da questo prodotto che segue il procedimento classico del vino e mantiene gli stessi profumi e sapori. Ci sono poi persone che per motivi di salute non possono più bere alcol ma non vogliono rinunciare al momento conviviale e desiderano comunque approcciarsi al mondo del vino. Questo ci da certezze, confermate dai risultati incoraggianti che abbiamo raggiunto in questi primi due mesi.
Qual è la tipologia di clientela?
Siamo partiti con una forte percentuale di clienti esteri, soprattutto dalla Germania dove il concetto del alcol free è molto radicato e nei paesi del nord Europa. Ma l'Italia sta lentamente recuperando, tanto che al momento il 50% dei prodotti zero vengono venduti qui e l’altro 50% fuori dall’Italia. È sorprendente, pensavamo che all'inizio che ci avremmo messo un po’. E invece la curiosità dei clienti ci ha premiato. Ci sono fedelissimi, ma anche nuovi consumatori e soprattutto una forte presenza di donne. Non abbiamo però solo privati: ci sono tanti ristoratori che hanno già inserito in carta vini dealcolati esattamente come le birre analcoliche. E che aumenteranno, speriamo, grazie alla nostra campagna Horeca.
Come avete scelto le bottiglie e le etichette? Quali aziende spingono di più?
Abbiamo deciso di puntare quasi totalmente su produttori italiani, che nel 90% dei casi vanno a fare il processo di dealcolazione in Germania, perché ci hanno offerto assaggi davvero sorprendenti. Nella nostra sezione ci sono solo due realtà estere, le bollicine francesi di French Bloom e il riesling tedesco di Colon. I prodotti più venduti sono principalmente i vini fermi bianchi e rossi di Zaccagnini, l’abruzzese noto per la linea Tralcetto, ora disponibili anche in versione 0.0%. Ma anche la siciliana Barone Montalto ha molto successo. Tra le bollicine invece vanno molto bene quelle di Hofstatter, un bravissimo italiano che produce dealcolati nella Mosella. Mentre la versione senza alcol del Limoncello di Pallini sta andando a ruba all’estero e nei paesi nordici, dove gli spirit per i cocktail analcolici, specie in Inghilterra, hanno un grandissimo mercato a differenza dell’Italia.
Con le evoluzioni sul tema dei dealcolati da parte del governo, quale sarà il vantaggio per l’Italia? Che cosa vi aspettate?
Crediamo sia doveroso aprire questa strada sia in termini di vantaggi commerciali sia in relazione a alle richieste dei consumatori. È un po’ come il caffè senza caffeina e il latte senza lattosio. Nascono per rispondere a esigenze diverse senza essere un’eresia e stravolgere o vanificare il lavoro le tradizioni centenarie in Italia sul vino. Non c’è nulla di negativo finché questa categoria di prodotto non diventerà industriale e dunque contro l’etica del vino sano. Per togliere la paura del mostro bisogna esorcizzarlo. E se ora potremo ufficialmente chiamarli dealcolati e non bevande analcoliche, sarà sicuramente più facile.