"Uso lieviti indigeni e seguo la biodinamica, ma non sono talebano”. Intervista a Edoardo Ventimiglia di Sassotondo, nuovo Tre Bicchieri

10 Ott 2024, 12:47 | a cura di
Sassotondo entra tra le aziende premiate con i Tre Bicchieri, merito della passione e lungimiranza di Carla Benini e Edoardo Ventimiglia

Prima del vino c’è stato il cinema per Edoardo Ventimiglia e un lavoro lontano dalle vigne per la moglie Carla Benini, proprietari dell’azienda Sassotondo. Documentarista romano lui e agronoma trentina lei, hanno cambiato percorso di vita e lavorativo, puntando tutto sul territorio toscano di Pitigliano.

il monte amiata dietro i vigneti di sassotondo

Cinema e Scartoffie

Edoardo fa parte di una famiglia che da tre generazioni lavora nel mondo del grande schermo. Il nonno è Edoardo Ventimiglia, «appassionato di fotografia, ha partecipato attivamente alla stagione del cinema muto catanese, poi ha girato per il mondo e ha lavorato con Alfred Hitchcock come direttore della fotografia». Ma non solo: «Ha diretto la Cines ed è stato uno dei fondatori del Centro Sperimentale di cinematografia. Tornato a Catania, nel 1909 per via del terremoto, ha fondato l’omonima squadra siciliana, di cui è stato presidente». Carla prima di fondare l’azienda insieme al marito si occupava di grandi progetti internazionali, un lavoro «più vicino alle scartoffie che alla terra».

La Scozia in Toscana

Nel 1990, racconta Edoardo, «ci siamo imbattuti nella vendita di un’azienda, che abbiamo comprato». Appena un ettaro di vigneto, una casa da ristrutturare e 70 ettari di terra, ma Pitigliano riesce a folgorarli grazie a un «paesaggio che sembrava una brughiera scozzese». Nella storia della cantina giocano un ruolo importante diversi personaggi del mondo enologico, tra questi c’è Gianvittorio Baldi «produttore cinematografico, ma anche grande produttore di vini che ci ha presentato l’enologo Attilio Pagli che ci ha aiutati nei primi passi della produzione». 

Da sommelier a vignaioli

Tuttavia l’incontro con il vino risale a qualche anno prima a Roma. «Nel 1988 avevamo fatto il corso di sommelier AIS a Roma, quando c’erano come docenti Daniele Cernilli e Sandro Sangiorgi e si degustavano i vini delle lezioni in calici a tulipano, simili a quelli usati per la grappa». In quella occasione anche il Gambero Rosso entra nella loro vita. «Al corso venne presentata la prima edizione della Guida Vini d’Italia. È un enorme piacere ricevere il riconoscimento dei Tre Bicchieri per il Maremma Toscana Ciliegiolo San Lorenzo '21, perché siamo molto legati a quella guida e quel ricordo».

Nel ’97 raccolgono l’uva della prima vendemmia del loro cru di Ciliegiolo della Vigna San Lorenzo, vitigno che diventa centrale nella produzione dell’azienda. «Attilio Pagli lo assaggiò rimanendo impressionato dalla qualità. Nel 1999 a Benvenuto Brunello ci disse “vi faccio una proposta: invece di varietà internazionali, piantiamo solo ciliegiolo”. Noi acconsentimmo, ma invece di comprare le barbatelle del vivaio, facemmo una selezione massale della vigna San Lorenzo». Per il Bianco di Pitigliano, la storia è ben diversa: «È una tigna mia e di mia moglie, nemmeno Attilio lo voleva. È una delle Doc più antiche d’Italia». Tuttavia, oggi in etichetta è indicato sotto la denominazione Igt Toscana. «Purtroppo è una denominazione ancora poco valorizzata, che potrebbe dare vini minerali, longevi, di carattere».

Il metodo di coltivazione

I vigneti sono in conduzione biologica dal 1994: «siamo tra le prime aziende, se non in Italia, almeno in Toscana ad essersi certificate», dice Edoardo, ma nel 2007 si è cambiato registro. «Su indicazione di amici produttori ho seguito dei corsi a cui partecipava anche Nicolas Joly. Ero preoccupata dall’aspetto esoterico dellla agricoltura biodinamica, ma i risultati dopo aver intrapreso questa strada ci sono stati a livello di produzione e di qualità. Tanto che i miei collaboratori in azienda hanno ribattezzato i preparati come “acqua santa”» dice Carla. «Anche se oggi non dico che la mia azienda sia biodinamica. Seguo in maniera laica quello che ho imparato e gli aspetti che riguardano la natura olistica di questa conduzione. Lo scopo o l’obiettivo è quello di raggiungere un equilibrio che definirei “omeostasi”».

Non chiamateli però "naturali". «Io uso i lieviti indigeni. Nella cantina scavata nel tufo ce ne sono che permettono di avere una fermentazione spontanea senza problemi. Detto questo non sono “talebano”: qualora ne avessi bisogno userei quelli industriali. Però il concetto di naturale  non mi piace. Il termine “naturale” dovrebbe riferirsi alla natura, al vigneto, ma tutti sono più interessati alla vinificazione.  Mi sembra che questa bolla, destinata a scoppiare, abbia allontanato i giovani dal vigneto.  Se parlo dal banchetto di degustazione di micro zonazioni, di selezioni, si annoiano, se parlo di anfore si illuminano. A me si illuminano gli occhi quando sono in vigna, tra le piante».

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