Già nel 1384 un’immagine del gallo nero venne scelta per identificare la Lega del Chianti, istituzione politica creata per delimitare il territorio di produzione del vino. Da lì in poi una grande storia per uno dei vini italiani più famosi al mondo. Perché, dunque, ne parliamo come una zona “emergente” su cui puntare? Detta così, il paradosso è evidente. Anche perché se i fondatori di questa denominazione hanno mostrato coraggio e visione, negli ultimi anni – tra i Novanta e i primi del 2000 – errori ne sono stati fatti tanto che il nome Chianti Classico sembrava abbastanza decaduto e se alcuni appassionati estimatori hanno continuato a seguirne le etichette migliori, per il grande pubblico il nome era diventato sinonimo di una certa polverosità poco in sintonia con i nuovi modi di bere (e ancora troppo spesso confuso col più generico Chianti). Eppure…
Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, sta emergendo in maniera evidente, un nuovo volto del Chianti Classico. Tanto da poter essere modello per la sfida col futuro da diverse altre zone vitivinicole d’Italia.
Una realtà nuova
Si percepisce oggi, attraverso molti dei vini nati in Chianti Classico, una Denominazione rivolta al futuro, capace di non essere presa in contropiede dalle sfide del tempo. Sembrano lontani i momenti in cui i Supertuscan imperavano: allora, i vitigni internazionali usati in assemblaggio col Sangiovese venivano chiamati migliorativi e gli aggettivi usati per la descrizione del Chianti Classico erano molto vicini a quelli utilizzati da Mario Soldati nelle pagine di Vino al Vino... un vino forte, denso, allappante, che ha bisogno di essere invecchiato in botte per esser bevuto normalmente. Oggi, probabilmente, sembra non esserci nessun altro distretto dell’Italia enoica che risulti così strutturalmente attrezzato per affrontare le prossime prove a partire da quelle sul cambio climatico.
Boschi e biodiversità
Qui la natura regala ancora una grande presenza boschiva che protegge la biodiversità. Una natura capace di offrire sia alta collina, con climi ascrivibili a quelli più continentali, sia vallate che fanno emergere di più i tratti mediterranei.
Maurizio Alongi, ideatore del "piccolo grande progetto” Vigna Barbischio, a questo proposito ha idee molto chiare: «Il Chianti Classico vive oggi un periodo di ottima salute – asserisce – Ciò per molti fattori, sia interni alla denominazione sia anche dovuti al suo stile medio, maggiormente in linea con le tendenze di questi ultimi anni. Elemento importantissimo è la naturale vocazione di questo territorio a “contenere” gli eccessi climatici che il Sangiovese soffre in modo particolare. I suoi pH, per fortuna ancora tendenzialmente bassi, consentono ai vini uno slancio in freschezza e contrasto sempre più difficile da ritrovare al di fuori di questa storica denominazione».
Piccoli artigiani e grandi cantine
Le sfide, però, si affronteranno al meglio anche grazie ad altri fattori. Quello aziendale per esempio. Il territorio si sviluppa attraverso piccole realtà artigiane e giovani appassionati che si mettono in gioco; ma anche cantine storiche grandi e consolidate, figlie di famiglie nobiliari del vino che producono da generazioni o, ancora, è frutto di investimenti importanti che però si approcciano all’areale con massimo rispetto per tutto e tutti. L’altra prova riguarda l’aspetto stilistico. La maggior parte dei vini messi in bottiglia esprimono finezza, bevibilità, eleganza e scorrevolezza pur mantenendo un carattere unico e identitario. La struttura si mostra attraverso una complessità verticale, fatta di un’armonia perfetta tra tannini, acidità e spinta sapida: ben lontana da derive alcoliche sovrastanti, estrazioni esagerate, volumi eccessivi.
Un nuovo vino
Questa “nuova area” la racconta con passione Angela Fronti, giovane vignaiola chiantigiana titolare di una cantina a Radda in Chianti con vigne anche a Castellina e Gaiole: «La ricchezza del Chianti Classico è la sua complessità in tutte le sue sfaccettature... Un territorio vasto, con pendenze dolci e impervie, suoli diversi più morbidi in certe zone e più rocciosi in altre, boschi animati che riempiono i nostri occhi e poi vigne curate nel rispetto dell’ambiente e della comunità. Una terra vissuta, di storia e di castelli, di muretti a secco, di ville e case di contadini. Non è un areale statico, qui tutto è in movimento: si rispetta la tradizione e se ne trae ispirazione per fare sempre del nostro meglio guardando al futuro. Qui protagonisti diversi e generazioni diverse lavorano insieme. Il vino è versatile e non stanca. Elegante, a volte austero, ma fresco e vivace, non manca di struttura e impronta tannica, ma al tempo stesso ha grande bevibilità. Puoi sorseggiarlo subito o aspettare 20 anni… e poi, non è meraviglioso trovarlo sia nel semplice Alimentari che nei ristoranti stellati del mondo?»
Ecco, questi racconti noi li abbiamo ritrovati nel bicchiere: sorsi capaci di delineare un tratto comune. E che al tempo stesso narrano le differenze: c’è Castellina e poi Castelnuovo Berardegna, c’è Gaiole e ci sono anche Greve, Lamole, Montefioralle, Panzano, Radda, San Casciano, San Donato in Poggio e Vagliagli.
Terroir in etichetta
Sono le 11 Unità Geografiche Aggiuntive che possono esser messe nero su bianco in etichetta, all’interno della Gran Selezione, una delle ultime novità approvate dal Consorzio. Ma la qualità non si vede di certo solo nella punta della piramide, anzi. In questi ultimi anni abbiamo assaggiato vini identitari e di gran carattere sia che fossero Chianti Classici dell’annata più recente, sia Riserve o Gran Selezione (che sempre più si propongono come vini da singola vigna). Vini che riescono a essere grandi compagni della tavola, ideali se vogliamo custodirli in cantina e sempre fedeli al territorio. Un’immagine di alto artigianato che l’Italia dovrebbe sempre seguire, fatta da rispetto, salvaguardia e genuinità.
Tutto questo ve lo raccontiamo nella selezione che segue: venti Chianti Classico (2019, 2020 e 2021) che disegnano il presente, ma soprattutto il futuro della Denominazione: si sente la dimensione artigianale (che si tratti di piccole o grandi aziende: circa la metà possiede meno di dieci ettari), di territorialità, di finezza, di eleganza di beva e di profondo rispetto e valorizzazione dell’ambiente in cui nascono: la maggior parte sono biologici. Essenziale per chi voglia considerarsi una grande azienda vitivinicola.