Dallo Champagne al Lambrusco, il futuro del vino è delle bollicine

1 Gen 2025, 14:56 | a cura di
Dagli Champagne ai Lambrusco, il mondo degli spumanti è in fermento ed evoluzione e continua ad avere appeal e mercato. L'analisi e le riflessioni di un protagonista, Andrea Gori

Gli spumanti in Italia rappresentano ormai una quota impressionante della produzione nazionale arrivando a sfiorare il miliardo di bottiglie prodotte ogni anno di cui il 70% venduto all’estero. Ai 300 milioni di bottiglie che restano in Italia dobbiamo sommare il peso di Champagne (di cui ne beviamo quasi 10 milioni di bottiglie: siamo il quinto mercato al mondo per volume e quarto per fatturato) e Cremant de Bourgogne e, in misura molto minore anche se sempre meno trascurabile, bollicine inglesi, sudafricane e slovene.

Ogni ristorante deve avere le sue bollicine

In ogni ristorante italiano la carta dei vini non è completa se non ci sono almeno una decina di referenze dedicate alle bollicine e con almeno 2-3 proposte al calice, a volte con una gamma che va dai 5 euro di un Prosecco ai 50 di una Cuvèe de Prestige. Sono sempre più, infine, i ristoranti che proprio sulla quantità e diversificazione degli spumanti fondano il loro successo, finendo per promuoversi efficacemente presso un pubblico nuovo e curioso, oppure verso un pubblico esperto in cerca di proposte nuove e più accattivanti.

Il comparto delle bollicine risente del trend di tutto il vino italiano (il famoso “si beve meno ma meglio”, con meno Martinotti e più Metodo Classico e Ancestrali) ma sta perdendo meno rispetto al resto del comparto in termini percentuali e con una crescita costruita soprattutto a scapito dei vini rossi, il settore che soffre di più per il vino italiano. Qualche anno fa poteva sembrare un paradosso. Nella mente di ogni persona e nell’immaginario collettivo l’Italia era legata al vino rosso, al sangue e alla carnalità dell’ultima cena di Gesù, oggi lo scenario risulta stravolto per una serie di fattori sia interni che esterni al mondo del vino stesso.

L'appeal dello Champagne

Innanzitutto, la crescente inflazione ha portato a una capacità di spesa minore e a una maggiore attenzione verso il rapporto qualità/prezzo. La bollicina, poi, è sempre il vino della festa e della convivialità ed è quello che a parità di prezzo offre la migliore qualità. L’effetto energizzante e il maggior valore aggiunto sono ciò su cui si sono indirizzate le persone che vogliono una bottiglia importante da mettere in tavola e che vogliono essere sicure di consumare. In quasi ogni fascia di prezzo al ristorante (partendo anche da quella 15-20 euro che tuttora esiste) è praticamente impossibile trovare una bottiglia di vino fermo che porti una migliore combinazione di immagine, piacevolezza e gusto rispetto ad un equivalente bollicina. Se guardiamo in alto, il migliore e più raro Champagne sul mercato (scegliete voi tra Krug, Cristal o Dom Pérignon) si compra al massimo a 350 euro, non a 3.500 come il miglior rosso francese; anche il miglior metodo classico italiano costa 250 euro e non 1.500 come il più caro rosso toscano o piemontese (Masseto, Soldera o Monfortino).

L'importanza di stappare su TikTok

Tutto ciò senza contare l’importanza odierna dello “status” che possono garantire alcuni brand di spumanti e Champagne con un effetto dirompente sulla propria immagine social – vedi anche il boom dilagante della pratica del sabrage con tanto di filmato a partire da semplici spumanti a 10 euro aperti al tavolo di molti locali per turisti. Provate a contare le visualizzazioni di una sciabolata su TikTok rispetto all’apertura di un qualsiasi rosso…

Le abitudini più o meno domestiche anch'esse hanno contribuito col tempo a prediligere pasti più leggeri (o meglio ancora, leggiadri) che mal di sposano con i tradizionali vini rossi italiani. E se consideriamo anche il fenomeno costante della cucina orientaleggiante, ecco che di nuovo la bollicina ci garantisce un abbinamento mai perdente: perché offre gratificazione immediata e senza troppi retropensieri, compreso il fatto di non necessitare di un cavatappi a portata di mano.

Il nuovo clima aiuta spumanti e frizzanti

Infine, sciocco sarebbe non menzionare il clima, con periodi di caldo sempre più prolungati che portano a preferire bevande con una spiccata acidità e freschezza e gradazione che non oltrepassi mai i 13% di alcol, soglia oltre la quale anche l’enofilo più incallito con 40 gradi esterni alza bandiera bianca. Provate a pensare a quanti grandi vini italiani possiamo elencare sotto quella gradazione alcolica e scoprirete che nessun Barolo, Brunello, Amarone, Bolgheri, Chianti Classico o grande bianco alto atesino, friulano o campano rientrano nella categoria in cui semmai – guarda caso – trovano spazio qualche chicca naturale o produttori funky.

Il mercato delle bollicine tira ancora e sempre di più. Ma soprattutto, chi si allontana dal vino lascia per ultimo proprio le bollicine e chi ci si avvicina non è così spaventato dagli spumanti così come è spaventato dalle altre tipologie alcoliche: gli spumante – le bollicine – sono vini goderecci e immediati ma al tempo stesso capaci anche di più letture e strati interpretativi che non è necessario conoscere per goderne appieno: elemento valido per il vino classico così come per il ribollente mercato dei vini cosiddetti naturali.

Il motivo principale della crescita delle bolle o comunque della loro resilienza sul mercato risiede principalmente nel perdurante boom del Prosecco Doc (o spumanti anche più economici, simili nel gusto e spesso prodotti dalle stesse aziende) legato alla miscelazione (spritz ma non solo) con in aggiunta la maggior diffusione degli spumanti Docg Metodo Classico.

Il “caso Lambrusco”: vino senza competitor

Non dobbiamo dimenticare il perdurante effetto sul mercato delle bollicine da uve autoctone sia in modalità petnat (soprattutto tra i vini naturali) che Martinotti e financo Metodo Classico da vermentino, nebbiolo, erbaluce, grillo, priè blanc, aglianico, falanghina, greco, carricante, sangiovese, verdeca, fiano, sagrantino, pinot grigio e chissà quanti altri ne esistono. Resta stabile il Lambrusco con più di 21 milioni di bottiglie dove però il miracolo della premiumizzazione fatica a prendere campo nonostante ci siano esempi pregevolissimi di vini degni di rilievo.

Il Lambrusco è del resto un caso particolare di vino senza competitor: una categoria a sé che però rischia di essere una commodity. L'obiettivo di farlo crescere soprattutto come valori dei terreni e remuneratività per chi si impegna nella produzione di qualità è lungi da essere centrato, ma nel frattempo è una meraviglia di sfumature di rosa, bianco e rosso e a partire dalla sfida lessicale (rosa confetto? rosa shocking? rubino chiaro? che colore ha veramente un Sorbara o un Salamino?) che prosegue nei bicchieri e oltre. Si può pensare di pasteggiare a Lambrusco dall’aperitivo e antipasto fino al dolce senza cambiare denominazione oppure provare le sue diverse doc a seconda del momento della giornata, eppure nel sentire del mercato questo vino emiliano è ancora legato alle sue versioni amabili da consumarsi con cotechino e purè. In questo microcosmo, però, ci si può avvicinare al Sorbara secchissimo e diretto, molto modaiolo  nella sua acidità e freschezza che attira gli amanti delle bollicine; oppure si può essere attratti dalla vinosità dei Grasparossa che può richiamare chi ama i rossi di struttura; oppure ci si può accostare al Lambrusco attraverso i rifermentati e petnat:  grande moda del momento nel campo dei naturali bioqualchecosa e con richiamo alla tradizione dei frizzanti e rifermentati storici dell’Emilia.

Dal Prosecco all'evoluzione dei territori

Nella zona del Prosecco possiamo dire ancora fermi al palo i lodevoli tentativi di premiumizzazione di Asolo e Conegliano che dovrebbero rappresentare i luoghi storici del Prosecco che oggi invece pare puntate verso le nuove aree di produzione, come il Carso e il mare friulano. Questo cambiamento, che ha portato anche diverse polemiche, riflette comunque un interessante tentativo di evoluzione del Prosecco stesso, che si vede “costretto” a identificarsi con territori più caratteristici per rispondere alla domanda del mercato.

Più specifici e specializzati gli aumenti di qualità e prezzo di Trentodoc, Franciacorta , Oltrepo (come sempre al bivio tra ristrutturazioni dei grandi produttori e pregevoli esempi dei vignaioli) e soprattutto Alta Langa con una sfida sempre aperta alla riconoscibilità. Di certo, il moltiplicarsi delle bollicine autoctone ha costretto le doc e docg storiche a innalzare ulteriormente la loro qualità con un allungamento medio di permanenza sui lieviti che è salito di molto con la nascita di tipologie Riserva dai risultati qualitativi importanti e dai prezzi elevati: oggi il pubblico ha ben chiara la differenza e anche in termini di gusto il passaggio al Dosaggio Zero ha finito per evidenziare le vocazioni di spumante di montagna per il Trentodoc, uno stile più accessibile ed elegante per il Franciacorta, un’idea molto gourmand per l’Oltrepo e la grande attenzione al pinot nero in Piemonte.

Il Metodo Classico: leggerezza e complessità

Oggi il Metodo Classico italiano è come il Don Giovanni di Mozart: leggero e immediato, ma capace di rivelare molti livelli di complessità pur non richiedendo una conoscenza approfondita per essere apprezzato anche distrattamente.

Enologi e produttori oggi in Italia sono in grado con il Metodo Classico di offrire prodotti ben fatti, piacevoli, originali e che leggono il territorio italiano in tutta la sua lunghezza, permettendo di bere “locale” in maniera più fresca e immediata di un tempo. Senza considerare che sono riusciti a trasferire bene l’idea di una zona e non del vitigno in sé, traducendo il concetto di territorio nei vini in maniera elegante pur usando principalmente vitigni non originari del nostro Paese.

La crisi dei Recoltànt Manipulant in Champagne

Lo Champagne in Italia è in una fase di assestamento in cui l’effetto boom dei Recoltànt Manipulant (ovvero coloro che vinificano e spumantizzano le uve di proprietà) pare essersi esaurito anche a causa delle numerose operazioni di speculazione sui prezzi effettuate da enoteche e distributori  sempre pronti a promuovere l’ultima scoperta come il nuovo fenomeno della regione. Dal gusto della scoperta del nuovo a prezzi tutto sommato accessibili con cui si presentarono i Recoltànt Manipulant dieci anni fa, oggi si assiste a un mercato sempre meno accessibile e orientato all’immagine che finisce per fare il “gioco” delle grandi Maison i cui prodotti hanno acquisito definizione e riconoscibilità sempre maggiori e rassicuranti. A livello gustativo i prodotti francesi hanno completato la loro metamorfosi arrivando a dosaggi bassissimi  inseguendo una strategia di adattamento all’innalzamento medio della temperatura: uve più ricche e mature hanno meno bisogno di zucchero per dare prodotti equilibrati, guadagnando al contempo in immediatezza e capacità di esprimere il territorio. Per non parlare dell’uso di anfore, cocciopesto, del ritorno prepotente del legno e della moda strisciante di non svolgere la malolattica: tutte tecniche spesso combinate tra loro a dare risultati sempre nuovi e spesso intriganti. Questo dinamismo impressionante in Champagne rimane oggi una delle differenze maggiori rispetto alle bollicine italiane (quanti sono i nostri Recoltànt Manipulant? quanti si promuovono come tali all’interno delle docg?); ma l’effetto sul pubblico è stato quello della richiesta di un maggior investimento in conoscenza del prodotto: oggi scegliere uno Champagne che sia di nostro gusto è operazione costosa e complessa, il che lo fa apparire meno intrigante sul mercato dove di nuovo vince sempre più la “coccola” e la semplicità comunicativa.

Le nuove bollicine: la via delle cuvée

Pare essersi fermato il boom delle bollicine rosé, che hanno imboccato una strada premium che in molti hanno rinunciato a seguire, anche se probabilmente si tratta di un passaggio momentaneo dato che i vini rosati fino al rosso scuro con bollicine potrebbero essere la sostituzione futura dei rossi ad alta gradazione che il mercato richiede sempre meno.

Per il mondo della bollicina italiana è un'occasione importante sia sul mercato interno che su quello estero: è arrivato il momento di dare continuità qualitativa oltre le annate, magari investendo con maggior convinzione nei multimillesimati con impiego di vini di riserva di vendemmie precedenti e impegnarsi in una comunicazione di territorio moderna, efficace, continua e soprattutto univoca con una comunione di intenti tra produttori che per ora ha visto prevalere Franciacorta e Alta Langa. Un successo che dovrebbe fungere da faro per le altre denominazioni che non sono mai finora riuscite a fare veramente squadra al loro interno per promuoversi e definire un loro stile e gusto di territorio differenziato: con i numeri di produzione attuali è una scommessa troppo grande da perdere quella di essere confusi nel mare magnum del “qualsiasi vino purché abbia le bolle”.

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