I Castelli Romani si preparano a celebrare un riconoscimento storico: l’investitura a Città Italiana del Vino 2025. Un titolo che non si limita a rendere omaggio alla loro millenaria tradizione vitivinicola, ma che sollecita anche una riflessione più profonda: questo territorio ha davvero espresso tutto il suo potenziale? E, soprattutto, quali prospettive offre alle nuove generazioni di vignaioli?

Una viticoltura vulcanica
La candidatura ha coinvolto undici comuni della provincia di Roma con Marino come capofila e Nemi nel ruolo di coordinatore, con la partecipazione attiva di Ariccia, Colonna, Frascati, Genzano di Roma, Grottaferrata, Lanuvio, Lariano, Monte Porzio Catone e Velletri. Questo fronte unito dichiara l’obiettivo di rilanciare un territorio che, pur avendo alle spalle una storia enologica straordinaria, ha vissuto lunghi periodi di potenziale inespresso.
La viticoltura castellana è profondamente legata alla morfologia del Vulcano Laziale, le cui eruzioni hanno creato un terroir irripetibile. Già nel I secolo a.C., Strabone descrive queste colline come un rigoglioso mosaico di vigne e oliveti, testimonianza di una vocazione agricola antica che si è mantenuta nei secoli. Oggi, forse, la vera sfida è però quella di riuscire a valorizzare questo straordinario patrimonio senza snaturarlo, lavorando su vitigni storici come il cesanese, la malvasia puntinata, il bellone e il trebbiano verde, e sperimentando nuovi approcci agronomici e stilistici in grado di restituire ai vini una personalità più definita e competitiva.
I problemi della viticoltura dei Castelli romani
Nonostante il fermento che sta animando la scena vitivinicola castellana, il settore affronta ancora nodi strutturali che ne frenano il pieno sviluppo. L’urbanizzazione e la conseguente perdita di suolo agricolo minacciano la continuità produttiva, rendendo sempre più difficile per i giovani vignaioli trovare terra da coltivare. Molti di loro sono costretti a lavorare in affitto o a gestire piccoli appezzamenti con notevoli difficoltà economiche.
Al problema dell’accesso alla terra si somma la necessità di una strategia di marketing più incisiva, che consenta ai vini dei Castelli Romani di affrancarsi dall’immagine stereotipata del “vino da osteria” e di competere con maggiore autorevolezza sul mercato nazionale e internazionale. A complicare il quadro si aggiunge l’urgenza dell’adattamento ai cambiamenti climatici, che impongono nuove strategie agronomiche per far fronte all’aumento delle temperature e ai periodi di siccità sempre più prolungati.

Castelli Romani Ariccia © Francesco Vignali
Il fermento dei produttori artigianali
Nonostante queste criticità, il territorio sta vivendo una fertile rinascita. Dopo una fase di stagnazione, si sta affermando una generazione di vignaioli che sta reinterpretando il terroir con sensibilità contemporanea. Se a partire dagli anni 2010 una prima ondata di produttori artigianali ha aperto la strada a un approccio più consapevole e sostenibile, e pensiamo a realtà come Ribelà, La Torretta, Merumalia, Gabriele Magno, Colle Formica, oggi è in corso un ulteriore passaggio di testimone.
Una nuova leva di vignaioli sta prendendo in gestione vigne storiche, recuperando parcelle abbandonate e investendo in progetti di grande valore qualitativo. Tra loro, la nuova generazione della famiglia Costantini, con il progetto Borgo del Cedro, sta riscrivendo la tradizione viticola con un approccio fresco e innovativo. Simone Pulcini e Gabriele Pulcini a Monte Porzio Catone, stanno portando avanti un percorso di vinificazione orientato alla qualità e all’identità territoriale. A Valle Marciana, tra Marino e Grottaferrata, i fratelli Jacobini con il progetto Liane stanno sperimentando microvinificazioni mirate per esaltare le peculiarità dei singoli appezzamenti.

La scommessa sullo spumante dei Castelli
E se a Lanuvio, Paul Pansera, geniale fondatore del Trapizzino, ha dato vita a una nuova azienda con il giovane vignaiolo Di Marzio, il Sambuco, puntando su un’idea audace, ovvero la piantumazione di Pinot Nero per la produzione di spumanti di qualità dobbiamo tutti iniziare a fiutare il senso del nuovo.
A Lanuvio, Lorenzo Farina ha ripreso in mano le vecchie vigne di famiglia con lo spirito di chi sa che il passato non si imbalsama, ma si scuote, si rimescola, si rimette in discussione. Ha ripescato tradizioni che sembravano evaporate con l’ultima generazione di contadini autentici e le ha fatte esplodere in una versione nuova, più lucida, più spregiudicata. Nessuna nostalgia da cartolina, solo un’idea chiara: il vino dei Castelli non è un pezzo da museo, è materia viva, è una storia ancora tutta da scrivere.
La grande occasione di rilancio
Il titolo di Città del Vino 2025 rappresenta, quindi, una ghiotta occasione per i Castelli Romani, ma affinché non si riduca a un semplice riconoscimento di facciata è necessario che venga accompagnata da un reale processo di valorizzazione del comparto vitivinicolo. Proteggere il paesaggio, incentivare i giovani produttori e riscrivere la narrazione del Frascati Docg e delle altre denominazioni locali sono passi imprescindibili per far sì che questo titolo non sia solo celebrativo, ma si traduca in un vero rilancio del territorio.
I Castelli Romani sono vivi, e il Vulcano Laziale continua a pulsare. Se il futuro della viticoltura laziale dovrà avere un cuore pulsante, è qui che batterà più forte. E se Città del Vino 2025 saprà essere il simbolo di una rinascita autentica, allora i Castelli Romani potranno finalmente riprendersi il posto che meritano nella geografia del grande vino italiano.