L’ascesa inarrestabile di Montalcino e del Brunello scorre su due binari paralleli: il primo è quello delle tenute storiche gestite da famiglie aristocratiche o grandi investitori che occupano soprattutto il versante sud del comune, dove il paesaggio più dolce ha permesso lo sviluppo di grandi estensioni vitate; l’altro è quello dei vignaioli – autoctoni o forestieri – che formano una piccola “Borgogna” ilcinese con i loro appezzamenti frammentati, arroccati sui declivi nel quadrante intorno al paese oppure nascosti negli angoli più remoti delle altre zone.
Le prime sono state protagoniste della prima età dell’oro, quando, trainato dal successo commerciale di Castello Banfi (azienda della famiglia Italo- americana Mariani), il Brunello ha cominciato a spopolare negli States. I secondi ci hanno messo più tempo per emergere: una falange di cosiddetti “modernisti” ha saputo inseguire il mercato e ha sfondato già tra fine anni 90’ e primi 2000, mentre altri – quelli per cui accorciare una macerazione o sostituire una botte cinquantenne con delle barrique equivale a vendere l’anima – hanno dovuto aspettare quasi vent’anni prima di vedere le luci della ribalta.
L'"altra Montalcino", intima e rurale
Qualcuno fissa ai tempi dello scandalo Brunellopoli il punto di svolta. All’indomani del patteggiamento da parte di alcune aziende in vista, accusate di aver violato i dettami del disciplinare miscelando Sangiovese e vitigni alloctoni per rendere il Brunello più conforme al gusto internazionale, il mondo ha (ri) scoperto “l’altra Montalcino”: intima e rurale anziché patinata ed esterofila; più che alternativa, complementare. Nel decennio successivo, la critica americana – che da sempre governa le sorti del Brunello più che di qualunque altro vino italiano – ha colto l’occasione per assestare il tiro e iniziare a premiare anche etichette agli antipodi rispetto allo stile concentrato ed esuberante prediletto fino a quel momento: dinamici, grintosi,
sicuramente non filiformi – perché il Brunello rimane sempre il più carnoso tra i Sangiovese di razza – ma dotati di grande delicatezza e levità.
Tralasciando Biondi Santi (che ha sempre fatto storia a sé) e pionieri come Gianfranco Soldera e Piero Palmucci di Poggio di Sotto (che seguivano questo stile da molti anni ed erano da tempo assurti allo stato di leggenda in un certa nicchia) è stato Alessandro Mori de Il Marroneto a fare da capofila, lanciato nella stratosfera dalla nota pubblicazione statunitense The Wine Advocate, che ha dato 100 punti all’annata 2010 del cru aziendale Madonna delle Grazie. Il suo successo ha foraggiato il balzo in avanti di un folto gruppo di vigneron oltranzisti, concentrati soprattutto nell’area a nord della denominazione: se in precedenza vivevano nell’ombra, oggi faticano invece a far fronte a una domanda sempre superiore all’offerta, soprattutto Oltreoceano.
Tra questi, Gianni Pignattai e Cecilia Brandini di Pietroso sono forse i più emblematici di uno stile di vino ilcinese “in sottrazione”, e tra i pochissimi a mantenere prezzi non bassi in senso assoluto, ma nemmeno soggetti a costante inflazione.
Pietroso, un’azienda diversa
Il nome, Pietroso, la dice già lunga: evoca il crinale ripido e roccioso subito a ovest del paese sul quale l’azienda è abbarbicata. «Un luogo dove i grandi non hanno mai investito – spiega Pignattai – perché gli appezzamenti sono troppi piccoli e scomodi da lavorare». La casa-cantina della coppia sorge sopra la parcella acquistata dal nonno di Gianni, Domenico Berni, che di mestiere faceva l’impiegato amministrativo e alla viticoltura si dedicava nel tempo libero. L’ha comprata per un pugno di lire nel 1970, ignaro dell’evoluzione che il Brunello avrebbe avuto, ma consapevole della storia di quest’area di Montalcino dove la viticoltura è documentata dal 1363, e il Brunello si faceva anche nei tempi in cui in altre zone regnava il Moscadello.
Tant’è che qualche chilometro più in là si scorgono terrazzamenti simili per pendenza ed esposizione, oggi di proprietà della famiglia Tiezzi, che afferivano al podere di Riccardo Paccagnini, uno dei pionieri ilcinesi, produttore a fine ‘800 di rossi medagliati alle esposizioni universali.
La prima annata di Brunello Pietroso conservata in cantina è la 1978, ma la svolta “professionale” dell’azienda arriva solo nei primi anni ‘90 quando Gianni, di ritorno da esperienze lavorative sul Lago Maggiore, comincia ad affiancare il nonno che è stanco e vorrebbe vendere tutto. Lui si appassiona al mestiere e decide di prendere il testimone, avviando un percorso di progressiva espansione. «Avevamo figli piccoli e un’altra occupazione – spiega Cecilia – ma abbiamo deciso di rischiare, firmando cambiali per far crescere l’azienda».
Lo stile nordico di Pietroso
Alle vigna Pietroso e alla contigua Petroso, entrambe parzialmente terrazzate, hanno aggiunto quella del Fornello, a est del paese, per poi rilevare la vigna del Colombaiolo, l’unica fuori dal quadrante nord in zona Castelnuovo dell’Abate. Quindi, i loro vini sono un assemblaggio di quattro micro-parcelle per una superficie totale di 6,5 ettari.
Ma la chiave di volta dello stile “nordico” di Pietroso sta nell’aver scelto posizioni fresche, ventilate e con altitudini rilevanti: anche la vigna del Colombaiolo, che tecnicamente ricade in una zona più a sud e quindi un po’ più calda rispetto alle altre tre, supera i 400 metri; Pietroso è la più alta: 500 metri sul livello del mare. «In passato poteva essere un problema: avere vigneti così significava produrre vini che dovevano essere tenuti in cantina per tanti anni per esprimersi al meglio». Oggi le temperature medie sempre in salita garantiscono un po’ di prontezza in più già all’esordio. Eppure la loro cifra stilistica è sempre riconoscibile.
Il Rosso di Montalcino è tra i vini più contemporanei della denominazione: definirlo un’espressione di Sangiovese ilcinese che guarda al Chianti Classico può sembrare un’eresia, ma rende l’idea dello stile leggiadro e irresistibilmente succoso. Il Brunello non è poi tanto diverso: sicuramente più profondo, ma ugualmente straordinario per purezza di frutto e sottigliezza aromatica.
Nella foto di apertura
La famiglia di Gianni Pignattai e Cecilia Brandini nella bottaia della loro casa-cantina a Montalcino dove vive dagli anni ‘90