È innegabile: la Borgogna negli ultimi anni è diventata la regione francese dei record. La diciassettesima edizione de Les Grands Jours de Bourgogne (18-22 marzo) lo dimostra, registrando il grande interesse che si è creato attorno ai suoi vini: 2.600 visitatori registrati da 60 nazioni, 130 giornalisti da 27 paesi, 970 espositori e più di 6.000 vini in degustazione. Ancora più sorprendente il fatto che la produzione vitivinicola regionale valga solo il 2,6% di quella nazionale e che la Borgogna, con i suoi 30.815 ettari - il 4% della superficie vitata nazionale - produca in media circa 200 milioni di bottiglie l’anno (poco di 1,5 milioni di ettolitri). Parliamo di una regione dove insistono solo 3.800 cantine per una media di 8 ettari, ma con più di 600mila euro di fatturato cadauna.
La rivoluzione degli ultimi 20 anni
Se la produzione non può andare oltre certi numeri, al contrario continua a crescere il valore. Il mercato negli ultimi vent’anni ha sempre più premiato i vini di Borgogna, cosa che ha fatto lievitare i prezzi verso l’alto, come racconta al Gambero Rosso Luca Cuzziol, importatore e proprietario dell’omonima azienda di distribuzione: «Il mercato dei vini di Borgogna negli ultimi vent’anni ha vissuto una vera e propria rivoluzione passando da una distribuzione orientata prevalentemente verso gli Usa ad una richiesta più globale sia per i vini bianchi sia per i vini rossi. Va da sé che, rimanendo sostanzialmente invariata la superficie vitata, a fronte della crescita esponenziale della domanda, c’è stata una corsa alla speculazione che ha fatto aumentare notevolmente i prezzi. È chiaro che il prezzo è determinato da domanda e offerta - continua Cuzziol – ma a questo si sono aggiunti il fenomeno delle Nft e quello dei fondi di investimento che hanno comprato delle vigne o investito su alcuni produttori».
Ma cosa succederà in futuro? «È ovvio che tutto questo prima o poi avrà un termine, soprattutto quando ci sarà la fine del mercato speculativo – risponde Cuzziol - Nel momento in cui ci fosse una maggiore disponibilità di prodotto (e la vendemmia 2023 sembra andare in questa direzione, con una previsione di produzione di 1,9 milioni di ettolitri: ndr), credo che il mercato tornerà ad una certa normalità».
Le grandi acquisizioni
Intanto, negli ultimi anni, i grandi gruppi del lusso, dopo Champagne e Bordeaux, hanno cominciato ad interessarsi alla Borgogna. Ha iniziato in sordina François-Henri Pinault, patron di Kering e proprietario di marchi come Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent, ma anche di Château Latour a Bordeaux e Château-Grillet in Côtes du Rhône, comprando il Domaine d’Eugénie a Vosne-Romanée.
Nel 2014, il suo rivale di sempre, Bernard Arnault, proprietario del gruppo LVHM, (che, oltre a Louis Vuitton, è proprietario in Champagne di Dom Pérignon, Moët & Chandon, Krug, Ruinart, Veuve Clicquot e Mercier) ha comprato un gioiello borgognotto, il Clos des Lambrays, uno dei quattro Grand Cru di Morey Saint Denis, poco più di 8 ettari. Il prezzo ufficiale non è noto, ma si parla di circa 200 milioni di euro, ovvero 25 milioni ad ettaro. Cifra analoga quella spesa, un paio di anni fa, da Pinault, che per rispondere allo storico rivale, ha comprato il confinante Clos de Tart, un Grand Cru che esiste da 900 anni di appena 7,06 ettari.
E pensare che, sino a qualche anno fa, se si chiedeva ad un produttore quanto costasse un ettaro di terreno in Borgogna, la risposta era sempre la stessa: «Non si sa, qui nessuno vende da anni».
Prezzi a bottiglia fino a 500 euro
Inutile dire che, tra maggiori richieste di mercato, mancanza di bottiglie e investimenti di grandi gruppi, i prezzi, che una volta si attestavano intorno ai 200 euro a bottiglia, sono velocemente più che raddoppiati, se non quadruplicati rispetto ad un lustro fa.
In conto c’è da mettere anche l’impossibilità di aumentare la produzione, in quanto le denominazioni sono strettamente e storicamente legate alle vigne classificate nei secoli scorsi. Motivo in più per far lievitare il valore.
Ci sono, poi, dei territori un po’meno noti, che i consumatori cominciano a scoprire, come ad esempio il Mâconnais, che offre vini dall’ottimo rapporto prezzo qualità. Ma non sappiamo per quanto tempo ancora, visto che molte denominazioni hanno ottenuto il riconoscimento dello status di Premier Cru per alcune vigne - sinora 22 di cui molte a Pouilly-Fuissé – che rivoluzionerà la politica dei prezzi verso l’alto.
Attualmente secondo il BIVB, il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne i vini a denominazione regionale hanno una forchetta di prezzo da 8 a 16 euro; divario che sale con le Appellation Village che vanno da 11 a 65 euro, per salire ancora con i Village Premier Cru, che rappresentano solo il 10% della produzione e che si attestano a prezzi dai 19 ai 116 euro. Infine, ci sono, appunto, i Grand Cru, appena l’1% della produzione, che partono da 60 euro sino ad arrivare ai 535 euro, prezzi franco cantina e tasse incluse. E da questi prezzi medi sono esclusi i grandi vini iconici come quelli precedentemente citati.
Fatturato export a 1,5 miliardi di euro
Infine, a testimoniare l’ottimo stato del mercato dei vini di Borgogna è il fatturato all’estero, che quest’anno si prevede superi il 60% del totale. Negli ultimi dieci anni, la Borgogna è stata una delle regioni vitivinicole francesi a godere di una crescita costante delle sue esportazioni, riposizionando allo stesso tempo la sua offerta in segmenti che evidenziano i suoi sforzi per migliorare la qualità della sua immagine e dei suoi vini. Ciononostante, nel 2023, c’è stata una riduzione dei volumi esportati del 6% rispetto al 2022 (a causa della minore produzione 2021), sebbene nella media degli ultimi dieci anni. Le vendite, invece, sono rimaste sopra il miliardo di euro per il quarto anno consecutivo, esattamente a 1,5 miliardi di euro (in calo dello 0,3% rispetto al 2022).
Principali destinatari sono Stati Uniti e Regno Unito, per il 20% i primi e per il 16% i secondi, seguono Belgio, Canada e Giappone con circa il 10% a testa.
Anche l’Italia beve Borgogna, ma in quantità ridotta (siamo sotto ad una quota di mercato del 2%), come spiega lo stesso Cuzziol: «È indubbio che, nell’ottica in cui un produttore importante esporta in Italia in media tra le 12-15 bottiglie diluite in un mercato dove i ristoranti stellati sono ormai 400, diventa veramente una corsa ad accaparrarsi le bottiglie».